don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 1 Novembre 2020

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Puoi essere così ingenuo da non credere?

Tutti i Santi

Forse perché dal monte il respiro si fa più limpido e ti sembra di camminare dentro al cielo. O forse perché dall’alto lo sguardo si dilata e così viene naturale guardarla con stupore la terra, comminarla con gli occhi, smettere di calpestarla.  Forse perché la folla ha bisogno di qualcuno che ricordi la possibilità di fare esperienza di Dio anche sui monti contemporanei, come fecero patriarchi e profeti. Forse perché la natura di un discepolo si dice dal coraggio di avvicinarsi al Maestro (“…e si avvicinarono a lui i suoi discepoli”). Forse perché Gesù aveva bisogno di uno spazio di mezzo, tra Terra e Cielo perché già vedeva l’inevitabile rischio di cristianesimi incapaci di eternità oppure, al contrario, dimentichi di umanità.

Forse per tutti questi motivi insieme o per altri ancora nascosti tra le pieghe di letture esegetiche maggiormente consapevoli della mia.

Ma per me Gesù aveva solo bisogno di un luogo bello. Niente di più. Un posto al mondo dove stare bene, un pezzo di universo baciato dalla grazia di essere particolarmente abitabile, un luogo casa, un luogo che non ti dimentichi più, e poi quel giorno c’era una luce che ti commuoveva dentro e lo sentivi, prima ancora di pronunciare la prima parola, che quella bellezza non poteva finire lì. Aveva bisogno di un canto. Forse Gesù non si era preparato il discorso prima, l’ha trovato lì, l’ha riconosciuto, raccolto, condiviso: beatitudini. Forse Gesù non sceglie il posto giusto per cantare le sue e nostre Beatitudini ma si lascia invadere da quella bellezza tanto da cantare il profilo di un uomo così bello da essere infinito, come la Bellezza e l’Amore. Parenti stretti di quella che sarà Resurrezione.

E così è la Bellezza regala il coraggio di chiedere un cuore povero, mendicante, affamato, quindi esposto e vulnerabile.

E poi occhi che sanno piangere, perché ogni lacrima è già una preghiera, perché quell’eccesso di amore che riga le guance trasformando gli occhi in sorgenti vale più di tutte le parole messe insieme.

Serve tanta Bellezza per avere il coraggio di cantare la mitezza senza sentirsi di tradire la giustizia. Serve di poter respirare il silenzio per sentire che in quell’assenza di pretesa c’è l’unico modo per farsi raggiungere dal respiro sottile della vita.

Non sono le Beatitudini ad avere bisogno di un palcoscenico d’eccezione, è quel pezzo di mondo scelto da Gesù ed è il suo modo di abitarlo a regalarci una pagina commovente e ineguagliabile per coraggio e poetica verità.

E poi fame e sete della giustizia in un mondo che in quel momento appariva giusto. E non perché non ci fosse morte o non esistesse dolore, in natura esiste il nascere e anche il morire, ma perché in quell’immersione nel Creato era evidente che tutto, e tutti, appartenessero a un Creatore talmente innamorato della Bellezza che non avrebbe permesso a nessuno di perdersi.

Ingiusto è dimenticare, è spezzare legami, è lasciar perdere. In quel momento Gesù stava giurando, e stava sperimentando insieme a tutti, che il Padre non si dimentica nemmeno di un passero o di una formica o di una nuvola perché la cosa più ingiusta è non salvare la Bellezza.

(Immagino i genitori stringere a sé i propri bambini, lì sul monte, e i fidanzati abbracciarsi e tante, tantissime persone, guardare al cielo e sentire, con sicurezza, che da quell’Infinito erano osservati da occhi che avevano amato e che non erano più con loro. Perché la morte, se avesse l’ultima parola, sarebbe l’incarnazione dell’ingiustizia. E ogni parola del Vangelo sarebbe illusione. Ma su quel monte, in quel momento, come potevi essere così ingenuo da non credere?)

Tra terra e cielo, perché lì era impossibile non sentire che l’esistenza canta d’Amore per l’Assente-Presente in ogni cosa! E allora lo puoi dire, senza paura, che la misericordia è dono e compito quasi naturale quando ami ogni atomo del creato. E puoi perfino arrivare ad avere misericordia di te stesso, di quello che sei, di quello che hai fatto, della mediocrità e perfino degli errori, perché in quello sguardo nulla aveva il diritto di andare perduto. Sentirsi amati così in profondità da non aver più paura nemmeno di se stessi.

E sentire il cuore puro, puro davvero, che non vuol dire immacolato o senza peccato ma vivo, onesto, felice di essere quel che è, un cuore capace di fare il cuore. Credo che la purezza sia questa totale adesione alla propria natura. Alla propria vocazione. Non poteva che accadere lì, in un mondo che stava scegliendo la bellezza di essere al mondo.

E così anche costruire la pace non è più utopia da conquistare con sacrifici ma semplicemente vita da lasciar scorrere, con stupore, come meditare la bocca di una sorgente. E quindi si può benissimo accettare di essere perseguitati per questo ma solo perché se ti avvicini all’essenza del Vero, al cuore pulsante di ogni cosa, non c’è verso di volertene tornare indietro. Sul quel monte si stava bene e si sarebbe voluti restare per sempre. Ecco, per sempre, la Bellezza sembra incapace di vivere se non partorisce desideri di eternità. E allora si potevano benissimo sopportare i propri dubbi e quella mancanza di fantasia che riduce tutto a ciò che si possiede. Nel cuore di tanta bellezza di può arrivare a sopportare quella mancanza di fiducia nella vita che ci perseguita e ci intristisce.

Il segreto è lottare con il tempo, non permettere che ci faccia dimenticare, trovare il trucco per meditare così profondamente da tornare a essere presenti su quel monte ogni giorno, ogni istante. E respirare tanta bellezza da riuscire a trasfigurare l’altro monte, il Calvario, fino a trasformare un Centurione in discepolo solo perché si è fatto più vicino. E amare così tanto la vita da far l’amore perfino con la morte e vedere che anche il sepolcro non è così ingenuo, e si lascia attraversare dalla Vita. E beato, vive.


AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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