Benedire
Anche Cristo, per tentare l’avventura dell’incarnazione, ha avuto bisogno di arare il ventre di una donna con il taglio di una benedizione. Senza benedizione la vita rimane un guscio chiuso, inattaccabile, senza benedizione la vita non si lascia sorprendere, si costringe a una replica triste del conosciuto, senza benedizione in noi ristagna l’accumulo delle delusioni, imputridisce il risentimento, senza una benedizione che spacca la crosta esteriore la vita non riesce a raggiungere il flusso del sangue, non si espone a fecondazione.
Senza una benedizione la vita non si accorge di essere viva. Benedire, gesto antico e misterioso, gesto rischioso e possibile solo a pochi, perché non sono solo parole, non litania di una liturgia replicata, non il muovere solenne di una mano, non basta l’ordinazione sacra, per benedire davvero bisogna che il benedicente perda qualcosa di sé, ogni gesto di vera benedizione è una consegna di parte della vita, solo perdendosi di può benedire davvero. Non può benedire chi tiene tutto sotto controllo, chi ha paura di morire. Benedire è riconoscere una vita più grande di noi, è riconoscersi solo parte transitoria nella traiettoria di compimento del mistero. Non si può benedire se non si crede nella resurrezione, se non si ha la ferma convinzione che la nostra vita è stata plasmata per essere scagliata, a brandelli, tra le braccia di Dio.
Benedetta tu fra le donne, dice l’angelo a Maria, e in quel momento Dio stesso si mette in gioco, si lascia strappare la carne, si compromette, si espone, si lascia scalfire dal tempo. Senza quel passaggio Cristo non sarebbe mai nato. Nasciamo solo per benedizioni coraggiose, ma servono uomini che sappiano morire, che arrivino a benedire perché provati dall’umiltà , quella vera, quella che trasforma la nullificazione in una consegna.
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Solo i mistici sanno benedire. Solo chi ha confidenza con l’eterno, solo Mosè, un angelo, o un saggio che abbia fatto l’amore per tutta la vita con la morte. Solo chi osa credere nella resurrezione.
A volte penso che solo questo dovremmo saper fare, come Chiesa, come comunità , esercitarci nell’arte della benedizione, imparare il silenzio, il nascondimento, l’apprendimento umile delle cose della vita. Imparare a benedire, che significa smettere di lottare contro nemici che stanno fuori, smettere di cercare sempre qualcuno contro cui lottare, iniziare la vera lotta che ha senso portare avanti, quella con sé stessi, con l’egoismo che non ci molla, con la paura di morire che non ci permette di esercitarci nella libertà , una lotta serrata contro il terrore che abbiamo di non essere riconosciuti, apprezzati, cercati, valorizzati. Smettere di lottare contro chi non la pensa come noi, contro chi non fa parte del nostro gruppo, della nostra chiesa, del nostro giro. Smettere di difendere con arroganza il nostro modo di gestire il potere, di sognare una parrocchia, di celebrare una liturgia, di appoggiare una parte politica… non siamo i detentori dell’unico modo di dare forma alla Verità . Chi non concepisce la diversità non saprà mai benedire, metterà sigilli blasfemi tirando in ballo Dio ma non benedirà mai, i suoi saranno solo sorridenti violenti esercizi di potere.
Benedire è esporsi verso l’ignoto, è perdere qualcosa di vitale, è accettare che il Signore ami chi non vive come noi. Benedire è smontare le barricate, è saper chiedere scusa, è riconoscere altre strade possibili, è lasciar parlare finalmente Dio, è farsi ferire, a morte.
Benedire, perché stringe il cuore vedere uomini e donne risentiti dalla vita, convinti che tutto sia una lotta e che vince solo chi si impone, perché è dolorosa la vita di figli che credono di aver deluso i padri, o di coppie che non sanno consegnarsi l’uno all’altra con gratitudine, perché il dramma vero della vita è aggredire ogni spazio con l’ansia di dover sempre dimostrare di essere all’altezza. Ma ad altezza divina non arriveremo mai contando solo sulle mostre forze, serve una benedizione, che poi non è altro che l’Eterno che si china sulla nostra bassezza. Seve di incarnare il nostro Magnificat personale. No, non saremo mai all’altezza, non è possibile ergersi da soli all’altezza divina, occorrerà arrendersi prima o poi, sperare di incontrare e riconoscere almeno un saggio, almeno uno, nella vita, che con gli occhi di Dio saprà benedire ciò che siamo.
AUTORE: don Alessandro Dehò – pagina Facebook
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