Il peso della neve
Maria Madre di Dio
E così inizio a piangere, improvvisamente, una tazza di caffè tra le mani, gli occhi rapiti oltre il vetro della finestra e la percezione esatta e dolorosa di essere invecchiato di colpo, ad ogni fiocco di neve che scende dal cielo un tonfo muto dentro al cuore. Non me l’aspettavo. Che la neve fosse così pesante. Vent’anni fa don Claudio stava morendo e mentre scivolavo via dall’ospedale di Pavia con la morte incastrata nel cuore: stava nevicando. Ancora non riesco a credere di essere riuscito a ritrovare la via per tornare a casa, o forse non sono più tornato, perché ci sono nevicate che la vita te la cambiano.
Ieri mi arriva una foto della tomba di papà sotto la neve. Una neve pesante, pesantissima, insostenibile. Il peso enorme di ogni singolo fiocco, come fossero sentenze di ghiaccio ad allontanare le persone che si amano. E io, io che non so come reggere l’urto di tutta questa vita. Mi sembra sempre troppa. Non ce la faccio. E allora un messaggio WhatsApp ai fratelli: “vengono in mente tutte le persone morte…come avete fatto a resistere alla nevicata dei giorni scorsi?”. Enrico, mio fratello manda una foto, è la sua risposta: Dolomiti, sei di mattina, papà che guarda l’orizzonte. L’ho scattata io quella foto, eravamo io e lui. Padre e figlio, io avevo chiesto e lui mi aveva accompagnato. Quel giorno sono stato davvero felice. Anche mia sorella risponde con una foto: i miei tre nipotini che giocano nella neve. Qualche giorno fa. Ecco come si resiste, dice Silvia. In due foto: ecco come si resiste.
Guardo Pietro, Miriam ed Elisa, i miei nipotini, e penso ai pastori, al loro andare “senza indugio”, al loro stupore ingenuo di quando la vita narrata dal Cielo, dagli angeli, dai sogni poi la ritrovi davvero tra le cose di ogni giorno. Penso ai miei nipotini e ai pastori, e poi alla vita che nasce, solo oggi due persone mi hanno mandato fotografie di nuove vite: Alessandro e Beatrice. Senza indugio ci sono fiocchi di neve che diventano vita. Ripenso che se siamo ancora qui a resistere dopo un anno come questo, dopo una vita che comunque scorre sempre anche dolorosamente, è grazie allo stupore che nasce da una fiducia nella felicità . Fiducia nel Cielo, nel Sogno. Una fiducia senza indugio. Anche ingenua, ma così vera! Come quando il cielo si concede lieve e a fiocchi, come quando ti sembra che parli, il cielo, e ti spinga a correre verso una mangiatoia per vedere niente di speciale: una mamma, un papà e un bambino. Per vedere che è la vita ad essere speciale e miracolosa di per sé.
Per i pastori la famiglia nella mangiatoia è la prova dell’affidabilità dei sogni. I pastori si stupiscono che il sogno è vero, che gli angeli non hanno mentito, che per una volta non c’è la delusione a trasformare la speranza in utopia. Che per una volta hanno fatto bene a dire di sì alla vita e a farlo senza indugio. Come il bacio a quella ragazza, come quando hai detto sì a un viaggio, come quando non ci hai pensato troppo, come quando ti sei buttato, come quando credevi che un buon sogno fosse il progetto di una bella realtà . Come quando ci credevi.
Intanto nevica ancora, è tanto che non li vedo ma io stupidamente penso che un po’ vorrei proteggerli i miei nipoti, vorrei che non subissero mai lo scarto tra speranza e realtà , vorrei che la loro gioia non venisse mai calpestata, vorrei che nessuno calpestasse il loro entusiasmo perché si sta male, davvero tanto male, vorrei che ci fosse sempre neve fuori nel giardino e vorrei che nessuno entrasse a calpestarla, per nessun motivo. E sento che sono uno stupido. Che mentre scrivo queste cose sto solo augurando loro l’allontanamento dalla vita…allora mi fermo. Guardo la foto e credo sia dolce gettarsi nella neve, buttarsi in questo regalo dal cielo, e farlo senza indugio.
Poi però mi vengono in mente le lettere a cui ho risposto in questo tempo di Natale, alle tante mail, al dolore che mi restava addosso dopo la lettura, all’amore e alla morte, all’intreccio inestricabile e misterioso, all’enigma di tutte quelle storie spesso torturate, a quei vasi spezzati da malattia o abbandono o incomprensione. E allora ecco che di colpo vorrei fermarli i pastori e dir loro almeno di moderare lo stupore, di non esagerare con l’entusiasmo, di provare a mettere in pratica l’arte dell’indugio, della sospensione, del dubbio. Vorrei fermarli, che non vadano a raccontare speranze troppo grandi per noi uomini, che poi rischiamo di crederci davvero che poi, poi un giorno nevica e ti senti vecchio e smarrito.
Ma gli occhi scivolano sulla foto che Enrico mi ha mandato, la foto è del 2004, era mattina presto, all’alba Alessandro Baricco avrebbe raccontato la morte di Cyrano di Bergerac scritta mirabilmente da Rostand, avrebbe letto sulle note del violoncello di Mario Brunello, io e papà avevamo dormito in tenda quella notte, notte di pioggia, notte di dubbio, forse sarebbe saltato tutto, forse lo fanno al rifugio ma solo per pochi, forse lo rimandano a domani nella palestra del paese… invece, al mattino, un’alba da togliere il fiato. Sotto i nostri piedi un tappeto di nubi e sopra: il sole. E in quel momento scattai la foto. E lui la scattò a me. Sicuramente uno dei giorni più belli della mia vita. Credo di aver scelto di vivere qui a Crocetta, anche per questo, perché spesso anche qui c’è sole sopra a un tappeto di nubi, come quel giorno di tanti anni fa. E sento Maria, la vedo, lei che “da parte sua custodiva tutte queste cose meditandole nel suo cuore”, lei che i pastori non li ha fermati. E forse capisco, che il dolore è un buon segno, e che è stupido voler fermare lo stupore per evitare di soffrire, e che l’unica cosa che si può fare, quando si è a contatto con la bellezza, non è difendersi ma diventarne custodi. La meditazione non è altro che la custodia della bellezza. Diventare scrigno, guscio, grembo. Non è negando il dolore, non è preservandosi dall’abbandono, non è disinnescando lo stupore, ma è nella meditazione e nella custodia della vita, di tutto quello che la vita ci fa scivolare dentro il cuore il segreto della felicità . E che le lacrime e il peso dei fiocchi e il dolore che ti toglie il fiato e anche invecchiare e piangere con una tazza di caffè in mano, tutto è scandalosamente bello, terribilmente vivo. Tutto va semplicemente custodito e meditato.
Angelo custode di tutta la bellezza che ci scorre attorno,
angelo innamorato, muovi i nostri cuori
e fallo senza indugio.
Angelo custode della bellezza non aver paura che si feriscano
e se a volte opponiamo resistenza
sappi che è solo perché abbiamo tanta, troppa paura.
Custodisci i nostri cari dal rischio di non viverla, tutta,
la storia.
Angelo custode della bellezza, abbi pietĂ della nostra fragilitĂ .
Custodisci chi sta soffrendo, e custodisci anche la Sofferenza.
Custodisci il dolore, che è una bellezza che non riusciamo ancora a capire,
Custodisci e proteggi chi è solo e custodisci la Solitudine,
Custodisci chi è sepolto da fiocchi di abbandono, chi non se la sente di ricominciare ad amare.
Angelo custode della bellezza illumina gli occhi e bacia ogni lacrima.
Reggi le tende del cielo e lasciaci danzare ancora questa cosa misteriosa
che si chiama vita.
Governa il ciclo delle stagioni, il nascere e il morire, fa che non nessuno fermi nulla,
nemmeno il dolore. Sì, nemmeno il Dolore.
Angelo custode della bellezza
ogni volta che la neve diventerĂ troppo pesante,
ogni volta che ci sentiremo traditi dal Sogno
sussurra nel vento che siamo tutti
tutti
cari all’Eterno
alla sua e nostra Compassione.
Amen.
AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica