La magnifica cornice di Palazzo Borromeo a Roma ospita il nuovo appuntamento del Cortile dei Gentili. L’incontro è sul tema “Diplomazia e Verità” ed interverranno: il cardinale Jean-Luis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, l’ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede Miguel Humberto Diaz, l’ambasciatore del Marocco presso il Quirinale Hassan Abouyoub, l’editorialista del Sole24 Stefano Folli e il presidente di IPALMOON. Gianni de Michelis. Questi illustrissimi personaggi del panorama politico e culturale internazionale dialogheranno insieme al cardinale Gianfranco Ravasi sull’ intricata questione del rapporto tra Diplomazia e Verità.
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Boris Biancheri Chiappori nel 1999 apriva il suo “Accordare il mondo. La diplomazia dell’età globale” con una frase di Henry Kissinger secondo la quale “gli ambasciatori oggi non servono più”. E lo stesso Bianchieri, che diplomatico lo fu per tantissimo tempo, a smentire l’ex Segretario di Stato Americano: “Capire la storia, capire ciò che avviene nel mondo, significa conoscere anzitutto gli uomini (…) questa opera di interpretazione delle diversità del mondo, di aggiustamento degli interessi di ciascuno con gli interessi dell’altro, di ricerca di convergenza, di composizione di contrasti, questa opera di analisi e di persuasione talvolta diretta a cose minime e talvolta a cose massime, è il lavoro dei diplomatici. Ogni tanto lo fanno bene, altre volte – come dice Kissinger – lo fanno male. Ma non è nell’arco di una generazione e neppure di due o di tre generazioni che questa funzione perderà il suo valore”.
L’ambasciatore è un diplomatico che vive nel paese ospitante imparando a vedere le sfumature che a qualsiasi viaggiatore “turista per caso” sfuggono. Non solo. Il diplomatico ha una forma mentis culturale precisa e definita che non lo abbandona durante tutta la permanenza nella nazione ospitante. Questo gli permette di vivere in una condizione, spesso contraddittoria, di perenne dualismo culturale e politico, impossibile da replicare in qualsiasi altra forma. Nella contemporaneità frantumata da divisioni politiche e sociali, dalle urla sguaiate e dal flagello della crisi economica, questo lavoro di comprensione e dialogointerculturale non può essere abbandonato o denigrato come inutile gingillo nazionale. È necessario quanto lo è indagare ed interrogarsi profondamente sul rapporto tra Diplomazia e Verità e sulla Verità stessa. In fondo, la diplomazia è uno dei primissimi “mestieri” che ogni essere umano impara ancora in fasce, già quando inizia a relazionarsi con i propri familiari. È una tecnica che si affina nel corso della vita: alcuni la praticano meglio, altri un po’ meno…
La contraddizione intrinseca della diplomazia, il rapporto di questa con la Verità, sono questioni che l’uomo impara, talvolta, per non dire spesso, senza mai comprenderle veramente. Essere diplomatico significa proprio destreggiarsi quotidianamente tra Verità e Diplomazia, con la differenza che quando si rappresentano gli altri bisogna tener conto che si parla per conto di diplomazie individuali e/o collettive differenti dalla propria e spesso in contraddizione (questo, molto spesso, è il caso degli Ambasciatori) da quella dell’interlocutore altro, per conto d’intere nazioni, per poche come per milioni di persone.
Bisogna fare i conti con uno dei periodi più destrutturati e destrutturanti della storia umana. Riflettere sulla Verità è una delle strade che in fondo arriva alla bellezza, per l’umanista religioso profondamente divina, per l’umanista laico profondamente spirituale. Riflettere sul quantomeno controverso rapporto tra Verità e Diplomazia è un esercizio di costanza che ogni diplomatico compie tutti i giorni tutto il giorno per porgersi nel miglior modo possibile nei confronti dell’altro. O almeno così dovrebbe essere…
Fonte: Cortile dei Gentili