Dehoniane – Commento al Vangelo del 9 Aprile 2019

Il commento alle letture del 9 Aprile 2019 a cura del sito Dehoniane.

V settimana di Quaresima I settimana del salterio

Convertire… il morso

La  conclusione  della  prima  lettura  di  quest’oggi  esige  un  di  più di  riflessione  e  quasi  di  immaginazione:  «Quando  un  serpente aveva  morso  qualcuno,  se  questi  guardava  il  serpente  di  bronzo,  restava  in  vita»  (Nm  21,9).  Nella  nostra  lingua  la  stessa  parola  indica  il  morso  del  serpente  e  il  «morso  della  fame».  Se non  sentissimo  più  il  «morso  della  fame»  saremmo  –  pur  senza saperlo  –  in  pericolo  di  vita.  Infatti,  il  morso  della  fame  è  per noi  un  segnale  che  abbiamo  bisogno  di  mangiare,  appunto,  per restare «in vita» e non morire. Nel deserto il popolo deve sperimentare  il  duplice  morso:  quello  dei  «serpenti  brucianti»  (21,6) che  mordono  e  uccidono,  e  il  rimorso  di  aver  mormorato  contro il  Signore.  Il  morso  dei  serpenti  è  un  veleno  con  cui  il  Signore Dio  cerca  ci  far  scattare  nel  cuore  degli  israeliti  un  sussulto  di coscienza,  per  non  dimenticare  il  dono  della  possibilità  di  diventare  liberi  senza  per  questo  rimanere  degli  eterni  assistiti.  Il popolo si lamenta nel deserto, proprio come facciamo anche noi mentre attraversiamo il mistero della nostra vita con il suo carico  di promessa e di esigenza.

Le  lamentele  del  popolo  sono  due.  La  prima:  «Perché  ci  avete fatto  salire  dall’Egitto  per  farci  morire  in  questo  deserto?».  La seconda: «Perché qui non c’è né pane né acqua e siamo nauseati di questo cibo così leggero» (21,5). Gli israeliti devono affrontare un  viaggio  più  lungo  e più complicato  di  quello  che  avevano immaginato  lasciandosi  alle  spalle la schiavitù  dell’Egitto.  Davanti  alla  fatica  della  concreta  conquista  della libertà,  il  popolo è preso dal rimorso di aver osato mettersi in cammino verso una promessa che, se è un dono di Dio, esige pure il lento e faticoso apprendistato  di  un  modo  nuovo  di  vivere  e  di sperare.  Quando il popolo  accusa  Mosè  e  Aronne  –  in  definitiva,  Dio! –  di  averli fatti uscire  dall’Egitto  per  «farci  morire»,  non  resta  altro che  far sperimentare  da  vicino  la  morte  attraverso  l’invasione  dei serpenti. Davanti alla lamentela per il «cibo così leggero» non resta altro che  far toccare  con  mano  che  serve  molto  poco  per  vivere e ci vuole assai meno per morire. Il morso velenoso dei serpenti diventa l’esternazione di quel morso interiore del rammarico che distrugge la speranza cominciando a inquinare la memoria.

Solo il rimorso per la dimenticanza può rimettere in carreggiata la  marcia  della  speranza:  «Abbiamo  peccato,  perché  abbiamo parlato contro il Signore e contro di te» (21,7). Se i serpenti sono il  simbolo  esteriore  dei  pensieri  «brucianti»  che  nel  cuore  seminano  il  veleno  del  sospetto  di  Dio,  allora  non  c’è  altro  da  fare se non innalzare un serpente «sopra un’asta» perché «chiunque sarà  stato  morso  e  lo  guarderà,  resterà  in  vita»  (21,8).  Come l’antidoto  lo  si  trae  dallo  stesso  veleno,  così  i  pensieri  brucianti che  riducono  a  valutare  ciò  che  si  vive  in  modo  troppo  «terraterra» hanno bisogno di elevarsi. Per questo il Signore Gesù non esita  a  dire:  «Quando  avrete  innalzato  il  Figlio  dell’uomo,  allora conoscerete  che  Io  Sono  e  che  non  faccio  nulla  da  me  stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato» (Gv 8,28). Il mistero di Cristo  innalzato  sulla  croce  ci  permette  di  dare  un  orientamento diverso  al  nostro  modo  di  pensare,  per  scoprire  che  l’essenza dell’essere  di  Dio  rivelatoci  nell’abbassamento  di  Gesù  non  è altro che l’«esserci» senza risparmiarci nessuna fatica. Proprio la sua croce apre davanti a noi la strada della libertà, che nessuno può  percorrere  al  nostro  posto.  Sapremo  guardare  più  in  alto? Sapremo  pensare  più  in  grande?  Sapremo  sentire  più  profondamente?

Signore Gesù, verso di te volgiamo il nostro cuore e a te rivolgiamo i nostri pensieri, per trovare nella croce la chiave per dare un senso alle nostre fatiche e un orientamento di speranza alle nostre delusioni. Sii per noi l’Oriente, senza il quale non possiamo che lasciarci avvelenare dal morso del rammarico. Kyrie eleison!

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Avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono.

Dal vangelo secondo Giovanni
Gv 8, 21-30

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?». E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati». Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre. Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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