La difficoltà di dare una risposta esauriente su chi è Gesù, è affiorata sin dal principio; purtuttavia, nel breve tratto del Vangelo di Marco, è ottimamente formulata e di per sé rappresenta un episodio secondario della narrazione evangelica: Gesù torna nella Sua patria accompagnato dai Suoi discepoli, torna tra i Suoi contemporanei, però suscita scandalo, tant’è che se ne allontana proferendo la celebre frase: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».
Aldilà di questo episodio secondario, è molto confortante quando, parlando a dei credenti, si percepisce che Gesù è per loro un’esperienza che ne sostanzia tutta la vita; dove il termine esperienza indica un rapporto che coinvolge la totalità dell’essere, più comprensivo del termine conoscenza, che, in genere, interpretiamo in maniera più intellettuale.
Ora mi sorge spontanea la seguente domanda: che cosa può impedire anche a noi, del tempo presente, di riconoscere che Gesù è la Parola-risposta che il nostro essere interpellanza pone?
Qui, l’espressione ben formulata è dell’apostolo Paolo, quando parla di una spina nella carne che vuol ergersi a criterio di verità e non tiene conto di quella debolezza di pensiero, di morale, di esistenza che da solo non può essere risposta al bisogno di verità, di libertà, di amore di cui siamo portatori. È proprio questa nostra fame e sete di infinito, la nostra debolezza il concavo in cui porre la parola, l’azione, la salvezza che porta anche oggi di villaggio in villaggio.
Ebbene, noi credenti che sappiamo molto di Gesù, possiamo essere abituati a Lui e non essere più disposti a scoprirne la novità e la forza, non consentendogli di entrare ancora di più nella nostra vita.
Quest’abitudine, dunque, anche quando si applica a realtà in sé buone, può facilmente insinuarsi nel nostro rapporto con il Maestro. E questo accade anche con le persone che pure amiamo. Penso, invece, che occorra riscoprire ogni volta questo nostro Gesù in una persona sofferente o povera, in un incontro inaspettato, in una parola, in un gesto, che lo rivelano in chi ci è vicino, quindi, in quel Figlio di Dio che guida la traversata della vita e porta la potenza risanatrice del Padre nella nostra riva.
Gesù non accetta di essere un’abitudine, e nemmeno una buona abitudine. Egli vuol essere sempre nuovo per noi, una scoperta continua, un’esperienza in crescita, come accade sempre quando vi è di mezzo l’Amore.
Gesù, allora, pretende di entrare nella nostra vita non attraverso i nostri eroismi, ma attraverso la nostra debolezza. È il rovesciamento del giudizio del mondo, che solo Dio poteva pensare.
Per tale motivo, l’apostolo Paolo si gloria della sua debolezza. Il suo discorso è molto forte e sincero: «Quando sono debole, è allora che sono forte». Se non fossimo così deboli, Dio non sarebbe venuto per noi, non lo avremmo conosciuto. È la realtà più grande della nostra vita: quanto la nostra debolezza è un’esperienza quotidiana, altrettanto in essa diventa esperienza quotidiana la potenza di Gesù Salvatore.
San Paolo conosce la fragilità delle genti, ma sa anche che, quando il Signore bussa, viene davvero. Abbiamo sicuramente tutti già fatto l’esperienza di Gesù che ci rende migliori, ci lancia nel bene e ci fa sentire che possiamo essere capaci di cose belle e giuste.
Questo è il nostro Gesù di ogni giorno, che diventa la nostra esperienza. Non sempre gli saremo fedeli, ma Egli ha messo in conto anche le nostre infedeltà. Ha chiesto all’apostolo Pietro di perdonare settanta volte sette, per dire che la sua volontà di perdono è infinita.
Perciò, abbiamo accolto il Signore, ma dobbiamo imparare ad accoglierlo di più, dando più credito alla Sua grazia, alla Sua potenza, alla Sua buona ispirazione, all’energia dello Spirito che riceviamo nei Sacramenti, all’aiuto che riceviamo pregando, accettando che la forza per fare questo ci venga da Lui, ma anche mettendo a sua disposizione la nostra buona volontà.
C’è ancora molto da dire, ma voglio soffermarmi qui, offrendo al Signore il nostro amore, la nostra attenzione, il nostro ascolto, la nostra fiducia e la nostra fedeltà, ma anche le nostre debolezze, perché Egli le trasformi con la sua potenza. E questa preghiera passi per il cuore della Vergine e Madre, Maria. Anche Lei ha imparato a conoscere progressivamente Gesù: «Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore», dice il Vangelo.
Così sia anche per noi.