Noi, che professiamo di essere quello che in fondo sappiamo di essere, abbiamo compreso che il Signore doveva risuscitare dai morti?
In verità, possiamo dire che non si tratta meramente di credere al fatto storico della Risurrezione, bensì di saper affrontare le conseguenze quotidiane di fede che quell’evento comporta dal punto di vista pratico. Ciò significa che credere in Gesù risorto non consiste semplicemente nel lasciarsi coinvolgere dalla memoria che se ne fa, ma nel riconoscere che questo nostro Gesù è ancora vivo; pertanto, è tuttora la sorgente del nostro domani, la nostra speranza oltre la morte, il senso della nostra esistenza. Allora, su questo lato possiamo, anzi dobbiamo crescere e valere, proprio perché, anche se non lo sappiamo, il nostro volto è illuminato da un raggio del Volto divino del Risorto.
A questo proposito, Gesù aveva affermato: «Io sono la Via, la Verità e la Vita», e l’aveva anche mostrato, richiamando Lazzaro di Betania dal sepolcro; però, quando i discepoli l’avevano contemplato morto su quella croce, si era allontanata dalla loro memoria che Lui è “anche” la Vita, e soprattutto si era allontanata la certezza dal loro cuore.
Tuttavia, dopo aver visto il sepolcro vuoto e aver avuto l’incontro poco dopo con il Signore, li confermò in questo: quell’Uomo, Gesù di Nazareth, era venuto, vivo come loro, ma portatore di un’altra Vita, la quale era del tutto irriducibile alla morte perché era la Vita di Dio. Ebbero la conferma non soltanto che Gesù era quella vita, perciò era morto e subito tornato vivo; bensì, capirono che Gesù era quella vita per loro: il sepolcro vuoto non significò che Egli se ne era andato, svincolandosi dalla morte, ma che Egli ricominciava a essere loro amico, nostro amico.
Dunque, il Signore in cui crediamo è questo Dio eterno, ma fatto Uomo come noi e per noi per tornare a mangiare alla nostra mensa tutti i giorni: è il Dio di un’incarnazione che non finisce.
E già qui professiamo la fede nella vita di Dio, nella vita di Dio amico della vita dell’umanità. Però, questo stupore di fede, che diventa certezza di fede, va oltre. Cioè, se Gesù porta in sé la Vita di Dio, la umanizza e la incarna, allora dobbiamo pensare che non sia una vita qualunque, bensì è la Santa Vita di Dio. E poiché Dio è Verità, dobbiamo ricordare che Gesù è la Santa vera Vita, vera per tutti, che vale per tutti; non vivendo la quale, ci sfugge il segreto del nostro esistere in questo mondo.
In tale maniera, comprendiamo perché le Scritture possono fare un passaggio, che è logico: da questo vivere nuovo acconsentiamo di vivere non solo fisicamente, ma santamente con Gesù per la vita eterna. Sì, entrare nella sua Vita è accettare la sua Santità. Il Nuovo Testamento trabocca di questa espressione, per cui noi camminiamo in una vita nuova.
Ma, che cosa significa questo nuovo cammino?
Significa che siamo morti al peccato, viviamo con un’altra forza, con un altro lievito – il lievito della santità – che non è la pulsione dei nostri istinti disordinati: sopravvivere, vivere, poi diventare imperiosi, egoisti ecc.
Ora, la nostra personalità vive sotto l’impulso della nuova vita che si chiama la Grazia di Gesù. E quanto ai peccati che potremmo fare, siamo morti; e non è una teoria, perché la Vita vincente è santa e vuole portare in noi se stessa. È per questo che ci convertiamo, che chiediamo perdono dei nostri peccati e ci nutriamo del Pane della Vita.
Si può affermare, a questo punto, che lo specifico del cristianesimo è qui, con un orizzonte di bene storico e sociale incalcolabile, appunto per questo, non si tratta di godere di un beneficio privato, ma di realizzare una storia migliore per il mondo intero, dal momento che «Gesù è andato dappertutto facendo del bene e guarendo tutti quelli che erano sotto il potere del diavolo», pertanto chi vive la Vita di Gesù prende parte a questo misterioso potere di beneficare e guarire.
Raccolti, dunque, con il cuore che vibra nella fede e nella gratitudine, attorno al Risorto che ora è in noi e non ci lascerà mai più, possiamo ripetergli che noi siamo il suo gregge e che, nutriti della sua vita, moriremo al peccato che c’è ancora in noi; cammineremo nella vita nuova beneficando non chissà chi e chissà dove, ma beneficando quelli che sono a portata del nostro sguardo, della nostra mano, nella nostra quotidianità più umile e più semplice, a cominciare dalla nostra famiglia.