L’evangelista Marco, con la ripresa del T.O., ci presenta due parabole di Gesù: la parabola del seme che cresce da solo e la parabola del granello di senape. Mediante rappresentazioni tratte da paesaggi agresti, Gesù presenta il mistero della Parola e del Regno di Dio, indicando le ragioni della nostra speranza e della nostra responsabilità.
Nella prima parabola il pensiero è posto sul dinamismo della semina: il seme che spunta da solo, dopo essere stato gettato nella terra, dipinge un piccolo quadro di vita agreste, dove l’immagine della comune e naturale esperienza di ogni agricoltore, chiarisce l’atteggiamento spirituale dell’umano innanzi al Regno.
Si tratta di una parabola molto significativa dove Gesù, in un certo senso, si esprime con quello che Egli è veramente: una Parabola che parla in parabole, cioè un linguaggio di immagini con le quali il nostro Maestro trasmette i significati più profondi della vita, richiamando anche il mistero della creazione e della redenzione, dell’opera feconda di Dio nella storia.
Gesù non chiude la verità dentro gli schemi rigidi della logica umana, ma la sfuma dietro le sembianze di un’immagine con le movenze di una piccola storia, permettendo così ad ognuno di noi di intuire i propri profondi insegnamenti secondo la propria possibilità di comprensione: ogni cristiano sa bene di dover fare tutto quello che può, ma che il risultato finale dipende da Dio, ben sapendo che questa consapevolezza lo sostiene nella fatica quotidiana, specialmente nei momenti difficili. A tale proposito l’apostolo Paolo nella prima lettera ai corinzi, scrisse: «Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha fatto crescere».
A questo punto, però, questa parabola pone un interrogativo: a cosa si può paragonare il Regno di Dio?
In realtà, Gesù stesso pone la domanda, alla quale dà anche la risposta. Illumina così il cammino di ogni cristiano, sollecitato dalla sua Parola a diventare sempre più un Suo autentico discepolo. Grande è, pertanto, la responsabilità di noi discepoli, e immensa la nostra gioia: immeritatamente siamo chiamati a far crescere – come indegni maestri – questa verità che credevamo tanto grande, e che ora ci è data in consegna, provvisoriamente, come prova del nostro insegnare, cioè di lasciare un segno oppure un solco, nel quale entra questo seme di verità, e ogni giorno cresce con noi: come e quanto riceva da noi, non lo sappiamo e mai lo sapremo. Certo, possiamo dire che ogni buona reiterazione dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni, parallelamente, si porta accanto il misterioso ma efficace avanzamento del regno della verità nel mondo.
Ora, il mistero del Regno e lo stile di Dio vengono svelati dalle due parabole evangeliche del seme, che cresce spontaneamente, e del granello di senape, che vien considerato il più piccolo di tutti i semi; pertanto il Regno di Dio è una realtà umanamente piccola, composta da chi è povero nel cuore, da chi non confida nella propria forza, bensì in quella dell’amore di Dio, da chi non è importante agli occhi del mondo; eppure proprio attraverso di loro irrompe la forza di Gesù e trasforma ciò che è apparentemente insignificante.
Questo ci fa capire che Dio lascia da parte le persone potenti e si serve di creature umane povere, umili, quindi piccole, come è piccolo un seme gettato nel campo, un chicco di senape, un tenero virgulto. Anche in questo caso non possiamo decidere diversamente, perché è lo stile di Dio, e che Gesù è venuto ad annunciarci: un Dio che non s’impone per potenza o grandezza, ma che rimane celato nei cuori umili che lo accolgono.
Ma c’è un’altra caratteristica dello stile di Dio, che Marco mette in evidenza: la pazienza.
Se la realizzazione del Regno è opera di Dio, all’umano è richiesta la pazienza dei tempi del Regno, che non sono quelli terreni. Quindi, il cristiano è chiamato ad operare, però con una mentalità nuova. Mentre si riconosce povero e piccolo nelle mani del Padre, è cosciente che Egli agisce in lui senza legarsi al suo tempo e ai suoi desideri, in quanto l’agire di Dio è motivato esclusivamente dalla logica dell’Amore misericordioso che si dona.
Le due parabole evangeliche, dunque, richiamano alla povertà, alla disponibilità, alla pazienza. Richiamano la necessità del buon terreno della fede perché il seme deposto possa germogliare. Ricordano l’indispensabilità della fatica e dell’attesa, affinché il germoglio possa crescere e divenire un albero frondoso.
Nell’avvento del Regno vi è, pertanto, la libera e gratuita iniziativa di Dio; all’umano non rimane che operare con tutte le sue forze senza chiedere nulla, meditando profondamente su quel «Venga il tuo Regno» presente nella preghiera del «Padre nostro», che Gesù stesso ci ha insegnato. Infatti, le parole iniziali della parabola -«come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce»- sono un richiamo o, meglio, un ammonimento, che non è il cristiano a far crescere il Regno, poiché Esso cresce per una sua forza interiore.
Il cristiano è chiamato solamente a non resistervi, ma a collaborare nella consapevolezza che non è lui il responsabile della crescita. Tutto questo significa saper guardare con fiducia la storia del mondo credendo nella vittoria definitiva di Gesù.
La Vergine Maria, che ha accolto come terra buona il seme della divina Parola, rafforzi in noi questa fede e questa speranza.