– Chi è per te questo Gesù in cui dici di credere?
A Gesù non interessa quello che sappiamo di lui per sentito dire: lo sa anche lui che la gente non lo conosce nel modo giusto, e non lo riconosce come Messia. Mediante l’interrogativo posto, vuole che si prenda una posizione personale, che si passi da un’opinione a una decisione di fede, quindi a un impegno di vita.
San Paolo un giorno disse che Gesù è il sì, cioè la risposta definitiva alle attese della gente: è il primogenito della nuova creazione, il tipo di persona che sogniamo tutti di diventare.
Ciononostante, siamo al corrente che Colui che è il Primo e Unico Generato dal Padre è un po’ diverso da quello che la gente avrebbe voluto. Del resto proprio questa era l’immagine del Re Messia descritta dal profeta Isaia: «Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi». È, senza dubbio, l’immagine del Servo sofferente che salva espiando il peccato di tutti noi.
Ora, direi che non è in gioco la messianicità, ma piuttosto la sua modalità concreta, la sua prassi. Ed è questo il punto, lo spartiacque tra fede e non fede, mentalità cristiana e mentalità mondana: «non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini», rimproverò Simon Pietro dinanzi al suo tentativo di distoglierlo dalla Croce, giacché: espressione dell’opposizione del mondo al disegno di Dio e, più profondamente, espressione della tentazione di Satana. La sottile tentazione di Satana è il tentativo di distogliere dalla via tracciata da Dio per sostituirla con una via elaborata dalla saggezza del medesimo principe di quel mondo di peccato e di morte.
Dopo che è stata precisata l’identità del Messia e dopo aver smascherato la presenza della tentazione, Gesù si rivolse alla folla e con una certa chiarezza propose il suo stesso cammino, dicendo loro che non vi sono due vie, una per il Figlio di Dio e una per la gente, bensì una sola: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
Qui sta il punto: quello stile, quel morire in croce di Gesù deve diventare emblema e sorte anche del suo discepolo. Niente va preferito a Lui, anche a costo della vita: «Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà». In una forma o in un’altra, ciascuno nelle circostanze dell’esistenza quotidiana si troverà davanti a delle scelte che potranno essere a volte realmente crocifiggenti.
Dinanzi a questo modo di agire così rigoroso, alcuni si domandano:
Era proprio necessaria una parola così dura? Noi che cerchiamo a tutti i costi di salvare la vita, ci spaventa questa radicalità di Gesù. Eppure, sta proprio qui il cuore della fede. In fondo, che cosa guadagniamo noi con tutti i nostri sforzi per la vita? L’avere rifiutato il Dio della vita che ci ha resi incapaci di salvarci da soli. Quindi, il salto da compiere sta esattamente nella risposta su «chi è Gesù», che a sua volta comporta, certamente, la risposta su chi siamo noi.
Possiamo, allora, confermare che la dichiarazione di Simon Pietro, è un’autentica confessione di fede nella sua massima espressione teologica, in quanto Gesù è realmente il Re Messia, il Figlio di Dio che ci domanda: «Mostrami la tua fede!», quella fede che è anche opera e non solo parole: «Io con le mie opere ti mostrerò la mia fede», dacché la fede non può essere disgiunta dalle opere, non si possono compiere opere di vita eterna senza la fede, né non operare se si ha la fede: ecco Gesù; ecco la fede; ecco la vita ricevuta da lui come dono e non come nostra conquista.