Nella lettura di oggi, riscontriamo un complesso di elementi della pericope, che ci vuole dimostrar essere il principio formale del racconto giovanneo, ponendo, così, in rilievo tutta la dinamica del perché il Verbo, del perché il Figlio si è fatto carne, cioè uno di noi, anzi, di più: il Figlio fattosi pane spezzato per amore!
Entrando nella storia, rileviamo che il Verbo si fa carico dei bisogni primari del popolo di Dio e lo introduce al «pane di vita», all’acqua che cancella ogni sete, vale a dire a un cibo che non si può ridurre a un bene materiale qualsiasi: la persona non è solo materia! È spirito; la persona non è solo legata al tempo! Ha in sé l’anelito della trascendenza; la persona non è il denaro che contratta nelle piazze d’affari, il progresso che progetta, il consumo, il superfluo che genera! la persona è intelligenza, è sapienza, è cultura, è anima, è spiritualità , è scienza, è quella qualità che sa elaborare come etica, fine, senso della propria vita e tensione verso l’infinito che l’ha posto nel tempo.
A queste considerazioni, l’apostolo Giovanni ci ripresenta il capitolo sesto per aprirci cuore e mente alla scena in cui il Figlio di Dio rivela alla nostra fame e sete di verità sulla nostra esistenza, la sua identità in riferimento a ognuno di noi, la sua forte e decisa esperienza, la sua parola.
Ora, la trama del racconto evangelico si chiarisce in quanto essa è il filo conduttore, consapevole o non consapevole, della nostra indefessa ricerca del Messia, di una persona viva, anzi, la Persona più viva di tutte: la fonte della Vita. Gesù, però, è collocato dal Padre un po’ più in là di quanto si crede, per cui non è per coloro che si accontentano solo dell’aldiquà . Di conseguenza, occorre andare più avanti, metterci a confronto con Lui, ascoltare attentamente i consigli che ci dona: «Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà ». E questo cibo è il Signore offerto per noi. Allo stesso modo Egli offrì alla Samaritana l’acqua che zampilla per la vita eterna.
Dinanzi a questi segni tangibili di Dio, è richiesto di avere fede in Lui, nell’aura d’eternità , nell’unica opera che salva in quanto è l’opera che Dio ha fatto per la sua creatura umana affinché riceva la vita: «il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Dunque, il dono di Dio è anche altro, dal momento che raggiungendoci, per dirla con l’apostolo Paolo, ci fa persone nuove, create «secondo Dio nella giustizia e nella vera santità ». E se la giustizia è il nostro anelito, la speranza diventa l’apertura del nostro cuore a Dio; e poiché la santità è solo di Dio, allora solo Lui la può dare donando se stesso.
Così, il Pane a cui ci accostiamo lo chiamiamo Santo, perché è Dio stesso che ci nutre della sua essenza di vita, di amore, di misericordia, di pazienza, di sapienza, di verità . Non solo il Pane dell’esodo: la manna per un’attraversata del deserto verso una terra materiale, pur così importante e decisiva per il popolo di Dio, perché garante di libertà , di prosperità , di cultura, di religiosità ; ma un Pane per la traversata della vita che ha già in sé la dolcezza del Regno, la bellezza e bontà di sapere che chi ci ha chiamati alla vita, ci mantiene in vita, e se anche non ci toglie la fatica ci dà la gioia della forza conveniente, e già possiamo intravedere l’orizzonte della Terra nuova e dei Cieli nuovi, dove Egli si trova.
E allora, lasciamoci penetrare da questi consigli dell’apostolo Paolo: «vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri», rinnovatevi «nello spirito della vostra mente» e rivestite «l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità ».