Monizione introduttiva
Messa della Notte
L’oscurità di questa notte viene squarciata da parole cariche di speranza:
«Vi annuncio una grande gioia… oggi è nato per voi un Salvatore» (Lc 2,11). Uniamoci allo stupore dei pastori e al coro festoso degli angeli per innalzare a Dio il canto della lode e accogliere con cuore semplice Gesù che nasce e viene ad abitare l’umiltà della nostra natura umana, per renderci partecipi della sua vita divina.
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Messa del Giorno
Il Verbo si è fatto carne ed è venuto a porre la sua tenda tra noi, per narrarci il Volto del Padre. È l’annuncio della liturgia di oggi che contempla nella fede quel «dono di grazia» che porta a compimento le promesse fatte agli antichi padri e inaugura una nuova ed eterna alleanza per la quale ogni uomo e donna, in ogni tempo e in ogni luogo, potrà sperimentare la presenza di un Dio che salva, di un “Dio-con-noi”.
Nota: Tutti gli elementi della liturgia odierna manifestino la solennità che meritano e si favorisca il canto di tutto ciò che è possibile e opportuno, soprattutto per quanto riguarda le parti presidenziali (orazione Colletta, Prefazio e dialoghi con l’assemblea).
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Atto penitenziale
Messa della Notte
- Signore, venuto ad abitare tra noi peccatori per essere Dio di misericordia, Kyrie, eleison;
- Cristo, nato nella debolezza di un bambino per essere Dio di umiltà, Christe, eleison;
- Signore, apparso in un corpo mortale per essere il Dio vivente per sempre, Kyrie, eleison.
[ Messa dell’Aurora
- Signore, in te si è manifestata l’umanità di Dio nostro salvatore, Kyrie, eleison;
- Cristo, in te si è rivelato l’amore di Dio per noi uomini, Christe, eleison;
- Signore, in te è apparsa la misericordia del Padre, Kyrie, eleison. ]
Messa del Giorno
- Signore Gesù, tu che sei l’“Emmanuele”, il “Dio-con-noi”, Kyrie, eleison;
- Cristo Signore, che ti sei fatto uomo per salvarci dai nostri peccati, Christe, eleison;
- Signore Gesù, “Principe di pace” rivelato agli uomini che Dio ama, Kyrie, eleison.
Nota: Nelle celebrazioni, soprattutto in quelle della Notte e del Giorno, si curi in modo particolare l’inno del Gloria, favorendo nel canto la partecipazione di tutta l’assemblea.
Prefazio – Preghiera eucaristica
Nella messa della Notte si suggerisce di utilizzare il prefazio del Natale I (MR p. 334), nel quale si fa riferimento alla luce che rifulge «nel mistero del Verbo incarnato». Sarebbe opportuno, seguendo la proposta del Messale Romano, che in questa notte il prefazio potesse essere cantato.
Se si celebra la Messa dell’aurora si potrebbe utilizzare il prefazio di Natale III (MR p. 337), il cui testo sottolinea che nell’incarnazione «la nostra debolezza è assunta dal Verbo», mentre «l’uomo mortale è innalzato a dignità perenne».
Per la messa del Giorno appare invece più adatto il prefazio di Natale II (MR p. 336), per gli evidenti riferimenti al prologo del Vangelo di Giovanni, proclamato come brano evangelico: «Generato prima dei secoli, cominciò ad esistere nel tempo, per reintegrare l’universo nel tuo disegno, o Padre, e ricondurre a te l’umanità dispersa».
Come Preghiera eucaristica è auspicabile usare di preferenza la III, adattando gli opportuni riferimenti al giorno/notte di Natale (in base alla celebrazione particolare). Nella Messa della Notte si potrebbe anche utilizzare il Canone Romano (Preghiera Eucaristica I).
Benedizione
Nelle celebrazioni del Natale, soprattutto in quelle della notte e del giorno, si può utilizzare la benedizione solenne propria, opportunamente adattata (MR pp. 456-457).
Natale 2023 – Commento alle Letture di lunedì 25 Dicembre 2023 9,50 Mb 14 downloads
Il Verbo si fece carne e noi abbiamo contemplato la sua gloria. …MESSA DELLA NOTTE
Tu sei mio figlio
Una parola brilla nel cielo della liturgia di questa Notte: è la parola “figlio”. La cita l’antifona d’inizio col versetto 7 del Salmo 2: Tu sei mio figlio, oggi ti ho generato; la annuncia la Prima Lettura dal profeta Isaia: un bambino è nato per noi ci è stato dato un figlio.
Agli orecchi dell’assemblea cristiana non potrà non far pensare al deserto di figli che si è aperto nelle nostre famiglie, a quel fenomeno di denatalità che ha colpito tutta l’Europa e, in special modo, gli Italiani. Rapina di futuro e di gioia. Contro il magnifico testo di Isaia, i figli non vengono avvertiti più come un “dono”, che prepara per noi la venuta alla luce di Gesù: Veniva nel mondo la luce vera – dice il Prologo di Giovanni –, quella che illumina ogni uomo (…) eppure il mondo non lo ha riconosciuto (Gv 1,9-10). Con questo “mondo” non dobbiamo, forse, identificarci anche noi? Dio viene al mondo coll’apparire della Sua luce: un figlio! Forse che anche noi si preferisca il buio alla luce?
Al tempo del profeta Isaia le tenebre che coprivano il Paese erano la metafora della schiavitù e della guerra: ora – egli annuncia – Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Finalmente la notte si è rischiarata, sciogliendosi in aurora: concretamente – dice Isaia – la guerra è finita! Perché ogni calzatura di soldato che marciava rimbombando e ogni mantello intriso di sangue saranno bruciati, dati in pasto al fuoco.
Il principe della pace
L’arrivo di un figlio è l’“arma” efficace contro la guerra, contro la voce dei dominatori, dei violenti, dei fratricidi, degli aguzzini della vita del popolo di Dio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà…Principe della pace. Stupisce ancor oggi – o forse oggi più che mai! – sentire che il potere è di un bambino, che il nome di questo bambino è “Dio potente” e, specialmente, “Principe della Pace”. Stupore e scandalo per tutti noi che coniughiamo senza appello, invece, il potere alla guerra, al dominio armato e violento, alla morte dei più deboli e, in specie, alle stragi di bambini! È vero: la guerra ha potere…ma solo sulla morte! Potere osceno che uccide anche i carnefici. Sulla vita hanno potere solo i bambini, i figli, la mitezza dei fiori che matureranno, per tutti, frutti di futuro. Tutto ciò Isaia proietta in una splendida visione, nella forza di una parola che attraversa e “buca” il buio della storia attuale: quella dell’oppressione degli Assiri guidata da Tiglat Pileser sulle regioni di Zabulon e Neftali e quella di oggi dove rimbombano tempeste di missili, droni e orrori di fiamme accese, specialmente, con la carne dei bambini. Una catastrofe inumana che ci renderà inevitabile la domanda: come potremo sperare in un futuro se abbiamo uccisi i nostri figli?
È nato per noi il salvatore
Nel contesto storico del profeta Isaia, il desiderio e la speranza di vedere spezzate le catene della schiavitù, si cristallizza, infatti, nell’immagine di “un figlio”, un messia, un nuovo re mandato e riconosciuto da Dio che sarà saggio e capace di portare la pace. Isaia lo vedeva probabilmente nel re Ezechia che, a differenza del suo predecessore Acaz, non avrebbe dato retta a cattivi consiglieri, portando il Paese alla rovina. Si sottolinea l’importanza della sapienza nel governare, una Sapienza che viene da Dio che è chiamato, appunto: Consigliere mirabile…padre per sempre. Il re che ascolta il consiglio di Dio non rifletterà l’oscurità dei “consigli” del mondo, ma riverserà la luce della Parola sulla notte della sua follia. Nella speranza della visione profetica, Isaia canta il sentimento che il “figlio” donato da Dio imprime in ogni cuore: Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. La profezia è un credito alla Luce di Dio che viene a forare le tenebre che coprono l’intera umanità; è la risposta al bisogno di nutrirsi di gioia che agita ogni animo umano.
Un desiderio che, dilatato e sorretto dalla fede, si incarna, si fa prossimità, diventa “Emmanuele”, in un germoglio, un virgulto di Iesse che giunge come un “Salvatore”. Ed ecco la parola del Vangelo (messa della Notte): oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore.
Gesù è quel “figlio” che viene per essere baluardo dove l’umanità possa piantare un ulteriore sogno di speranza, un’altra via di sopravvivenza.
Nella città di Davide
Nel racconto di Luca (Cf. Lc 2,1-14) sulla “avventurosa”, precaria, irrituale nascita di Gesù, un ruolo decisivo gioca il decreto che Cesare Augusto emette per un censimento “di tutta la terra” con cui dobbiamo intendere quella che stava entro i confini dell’Impero Romano. Scopriamo che Giuseppe non è di Galilea ma nato anch’egli in Giudea, come sarà per Gesù. Il censimento, segno di dominio e controllo sulla popolazione, sicuramente odioso agli Ebrei, si trasforma nell’occasione provvidenziale per scoprire l’origine betlemmita di Giuseppe e perché avvenga che la nascita di Gesù sia proprio qui, nel villaggio di David: Il Messia deve nascere in Giudea, come è stabilito nelle antiche profezie (Cf. Mi 5,1). Giuseppe e Gesù appartengono, dunque, alla dinastia eletta dei re di Israele e ciò permette a Luca di stabilire un altro elemento di paragone con l’imperatore di Roma: anche Gesù è re! Da una parte, dunque, Luca vuole accostare Gesù al grande Augusto, che pure era, a sua volta, un “figlio di dio” e nato da una vergine. Che pure si riteneva un essere divino e diverso da tutti gli altri abitanti di Roma. Ma la sfida che Gesù lancia è sulla differenza tra i due “re”: piuttosto che nascere atteso da tutti in un Palazzo, Gesù nasce da solo, in una mangiatoia di animali di pascolo. C’è di più, Luca dice che: diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce; primogenito di sua madre, che, sola, lo assistette nel suo nascere e gli fece anche da ostetrica. Ma soprattutto primogenito tra i figli di Dio sulla terra. Gesù, in effetti, è sguarnito di ogni diritto di primogenitura messianica, di ogni blasone regale o sacerdotale. La sua primogenitura gli fa ereditare soltanto il grembo di una vergine, e la compassione di un uomo giusto – Giuseppe – che lo custodirà per ubbidienza e per amore.
Gesù trova la sua origine nei luoghi più impressi nella mente dei Giudei:
i pascoli di Davide e quelli di Mosè. Figlio di Iesse pastore, Davide era a pascolare quando venne chiamato da Samuele a regnare su Israele (Cf. 1Sam 1-13). Lontano dalla tenda dove suo padre aveva raccolto i suoi fratelli, il profeta dovette mandare a chiamarlo in mezzo ai campi dei pastori. Così pure Mosè stava pascolando il gregge di suo suocero Ietro quando gli apparve il fuoco da un cespuglio che bruciava e non si consumava: in quel fuoco era il Dio che veniva a liberare gli Ebrei dalla schiavitù (Cf. Es 3). Questi due giganti della storia della salvezza ci appaiono accanto al piccolo Gesù come un presagio e un augurio. Il presagio non è tranquillizzante e riguarda la condizione di partenza di Gesù: è svantaggiata come quella di Davide e di Mosè? Davide, quando Dio lo designa, era stato già escluso dal suo stesso padre dal novero dei possibili candidati al trono di Israele; Mosè, quando incontra il Dio del roveto, colui che lo invierà a far uscire gli Ebrei dall’Egitto, si trovava in cattività in Madian, località di pastori, fuori dal grande centro del mondo conosciuto di allora. Ambedue, insomma, sono fuori dai giochi, sono degli estranei. Così, dunque, sarà anche per Gesù. Ma…Dio sceglie coloro che il mondo rigetta!
Adorato dai pastori
I primi a vedere Gesù appena nato sono i pastori, gente che dorme fuori, la notte. Gente che veglia sul gregge e sull’arrivo del giorno, che aspetta solerte qualcosa di nuovo che sorga a portare stagioni migliori. Che aspetta un altro Mosè, un altro Davide, che aspetta, insomma, un Messia e un Liberatore.
La scena che Luca dipinge ci fa ricordare la liturgia dell’incenso nel Tempio di Gerusalemme che Luca ha narrato all’inizio del suo Vangelo (Cf. Lc 1,5ss.); la notte sembra il Santo e i pastori sono tutti come dei sacerdoti, dentro un tempio di Cielo. Viene un angelo e li inonda di luce, similmente a Gabriele anch’egli annuncia una grande gioia che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato un Salvatore! Questa notte dell’angelo all’aperto che va a trovare il campo dei pastori completa la serie delle visite di Dio nel ciclo dei vangeli dell’infanzia di Luca: dal tempio, a Nazaret, ai pascoli di Betlemme. Dio non ha più bisogno di un tempio per visitare il suo popolo. Egli va a bivaccare tra i pastori, il suo popolo amato ed eletto. Non c’è più bisogno di un sacerdozio che faccia da tramite, tra il popolo e Dio, quando un angelo annuncia la presenza di un Salvatore deposto in una mangiatoia.
La veglia nella notte dei pastori sembra un’altra maniera di pregare e di attendere, così come faceva l’assemblea di Israele riunita fuori dal tempio, in attesa dell’uscita di Zaccaria (Cf. Lc 1,10.21) Era un tempio di attesa e di speranza, di buio e di paura. Ma in questa cattedrale non c’è più chi, con la sua incredulità possa bloccare la gioia del dono di Dio. Il grande spavento che coglie i pastori, segnala che Dio era sceso con tutta la sua gloria presso di loro. Alla visita di Dio essi reagiscono come Zaccaria e come Maria, che ambedue restarono turbati (Cf. Lc 1,12-13; 1,29-30). Ma l’angelo indica loro le fasce e una mangiatoia: lì c’è il messia, lì, in mezzo a loro è la grazia pura di Dio! Lì è la porta della pace. Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama (Lc 2,14). Gli angeli annunciano pace agli uomini che accolgono quel Figlio. Poiché Egli ha fatto apparire la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini come dice l’Apostolo Paolo nella sua Lettera a Tito. Una grazia che insegna la via della giustizia e della pietà così sbarrate, ancora, ai cuori umani. Una grazia che insegna a resistere, a rinnovare, a riprendere la fede e la speranza anche quando sembrano scomparse dall’orizzonte del mondo. Per restituire i figli alla terra e la terra ai figli.