La seconda tappa dell’itinerario dell’Avvento si sposta dal discorso apocalittico alla predicazione di Giovanni Battista. La liturgia non ci spinge a guardare al messaggio che portò Giovanni ma all’evento che egli fu.
È il «tempo di Giovanni» che viene celebrato dalla liturgia e proiettato realmente nell’attuale esistenza della Chiesa e dei credenti. In particolare, il Vangelo di Matteo ci guida proprio in questa direzione. La prima lettura, tratta dal Libro del profeta Isaia (Is 11,1-10) pone l’evento di Giovanni il precursore sullo sfondo della profezia isaiana del rinnovamento della discendenza di Davide, attraverso l’immagine del germoglio che spunta dal tronco di Iesse.
Dio non restaura qualche cosa di vecchio, ma crea qualche cosa di nuovo, pur rimanendo fedele alle sue promesse. Nella seconda lettura (Rm 15,4-9) l’esortazione dell’Apostolo si fonda sul fatto che «Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri». La fedeltà di Dio nel compimento delle sue promesse diventa per il credente motivo di impegno nella storia, e di vita nuova.
Testo tratto dall’introduzione.
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LO SGUARDO PROFETICO COME IL VEDERE SPIRITUALE I SEGNI DEL TEMPO MESSIANICO
Giovanni Battista, il precursore, è colui che concretizza l’attesa messianica del popolo di Israele, le attese di un popolo che vive la propria storia in base alla promessa di Dio. Nel momento più difficile del suo discernimento e della sua testimonianza alla verità e alla giustizia fino al martirio, mentre era in carcere chiese ai suoi discepoli di interrogare Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettarne un altro»? E Gesù rispose: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete» (Mt 11,4).
E poi il Risorto richiama i segni del tempo messianico. Quegli stessi segni scritti nel rotolo del profeta Isaia e che, secondo la narrazione di Luca, Gesù poi leggerà nella sinagoga di Nazaret, e li referirà a sé stesso. Il tema per l’assemblea celebrante di questa seconda domenica: il compito della profezia di riconoscere e annunciare i segni del tempo messianico. La promessa di Dio come tempo generativo dell’attesa – esperienza di fede grazie alla liturgia della prima domenica di Avvento – ora cede il passo ai segni del tempo messianico – esperienza della fedeltà di Dio alla sua promessa – e spinge verso parole e gesti che abbiano la forza della profezia.
Come riconoscere intorno a noi i segni del tempo messianico? Dove guardare? Quali segni oggi spingono alla conversione al Vangelo e al suo annuncio con profezia? È questione di sguardo. Ancora, riflettendo sul Vangelo di oggi con altre pagine di Vangelo: che cosa ha visto il Battista in Gesù, che passava, per riconoscerlo e indicarlo ai suoi discepoli come l’Agnello di Dio? Lo sguardo profetico del Battista ci riguarda, perché ci permette di riconoscere ciò che è segno del Messia, come il germoglio del tronco di Iesse, riconosciuto da Isaia. In che modo la profezia guarda e vede? Lo sguardo profetico, ovvero il discernimento, è partecipazione alla profezia di Cristo che ci è stata donata nel battesimo. Quali sono le dimensioni proprie dello 10 sguardo profetico?
Non ci potrebbe essere alcuna profezia senza il dono dello Spirito Santo. Lo sguardo spirituale, nel senso più trinitario possibile, è dono dello Spirito. È il modo con cui Gesù guardava i bambini e vi vedeva il compiersi del regno di Dio, guardava i gigli dei campi e gli uccelli del cielo e vi riconosceva la provvidenza del Padre, guardava i pescatori e le loro reti e vi individuava il disegno di salvezza, guardava i malati e vi discerneva l’appello all’ora del Padre, guardava i peccatori e vi scorgeva la misericordia del Padre. In tutto ciò che guardava, Gesù vi vedeva i legami con il Padre. Questo è lo sguardo spirituale, perché lo Spirito, legame e nesso d’amore del Padre e del Figlio, permette di riconoscere nella realtà, nella storia, nelle relazioni, tutto ciò che riguarda Dio.
La seconda dimensione propria dello sguardo profetico è la misura di ciò che riguarda Dio nella realtà. Non sono le grandi cose, i grandi discorsi, le opere che impressionano per la loro imponenza; la piccolezza di Betlemme, il nascondimento di Nazaret, il rovesciamento dei troni cantato nel Magnificat, la pagina delle beatitudini, dicono che la misura del regno di Dio tra di noi è la piccolezza. Nelle cose piccole va ricercato il passaggio di Dio e la sua fedeltà. Ai lembi della piccolezza sorge, come abito profetico, la povertà. La povertà è criterio dell’autenticità della profezia e della credibilità del profeta.
I potenti, gli arricchiti, non possono essere profeti. La povertà, lembo della piccolezza, racconta di un Dio che sceglie e si lega agli umili e agli scartati. La terza dimensione propria colta dallo sguardo spirituale, dopo la misura della piccolezza con i lembi di povertà, è la profondità della conversione, lì dove la verità e la vita si incontrano e diventano un’unica via. Ancora il Vangelo racconta del seme della Parola che porta frutto, ma anche che si perde lungo la strada o viene soffocato dalle spine, o secca perché non ha posto radici.
La conversione è il legame profondo, dentro di noi, tra la verità e la vita, è legame spirituale, inteso ancora come dono dello Spirito. È l’unità della nostra identità di discepoli. È molto più della coerenza: è dono di grazia ed è scelta di vivere allo stesso modo di Gesù di Nazaret, via verità e vita.
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