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Dal Sussidio per l’Avvento/Natale CEI – Commento alle Letture di domenica 3 Dicembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: ✝ Mc 13, 33-37

La I domenica d’Avvento orienta la Chiesa verso Cristo, suo compimento; celebra la venuta escatologica del Signore; ricorda alla comunità radunata come la vigilanza operosa sia la dimensione costitutiva della vita cristiana:

«A te, Signore, innalzo l’anima mia» (Sal 24,1-3; cf. Antifona d’ingresso).

La liturgia di questa domenica riannoda il nuovo anno liturgico e la vita ecclesiale alle ultime domeniche dell’anno liturgico precedente, creando una vera inclusione e mantenendo l’apertura verso il compimento. Questa unità tematica e celebrativa proclama Cristo come il vero “Anno liturgico”, garantendo l’unitarietà del mistero celebrato.

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La dimensione della vigilanza liturgicamente si può esprimere e ravvivare con la celebrazione della Veglia di Avvento da celebrarsi nelle cattedrali o nelle parrocchie la sera o la notte dopo i primi vespri della I domenica. Secondo la possibilità offerta dai Principi e Norme per la Liturgia delle Ore nn. 70-73, essa consiste nel prolungare l’ufficio delle letture inserendo, dopo la lettura biblica e quella patristica, i cantici, il vangelo del giorno o uno della resurrezione, l’omelia, l’inno del Te Deum. Anche la proposta di esperienze di preghiera in famiglia con la preparazione e l’accensione della candela nella «corona d’Avvento» (cf. Direttorio su Pietà popolare e Liturgia, n. 98) potrebbe richiamare pastoralmente la dimensione della vigilanza cristiana.

Indicazioni liturgiche

  • Per il saluto liturgico si propone di utilizzare 1Cor 1,3 (MR p. 309), ripreso dalla seconda lettura che sarà proclamata durante la liturgia della Parola.
  • Per l’Atto penitenziale si può utilizzare il III formulario introdotto dalla monizione “Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi” (MR p. 312) e le invocazioni Tempo di Avvento 1 (MR p. 314).
  • Qualora non si fosse usata come orazione colletta, al termine della preghiera dei fedeli si potrà usare la colletta alternativa Per il tempo di Avvento. I domenica B (MR p. 1003), chiaramente con la conclusione breve: “Per Cristo nostro Signore”.
  • I temi evangelici della vigilanza e dell’attesa suggeriscono di utilizzare il Prefazio dell’Avvento I: La duplice venuta di Cristo (MR pp. 328-329).
  • Per la benedizione finale si suggerisce la Preghiera di benedizione sul popolo n. 19 (MR p. 475).

Monizione introduttiva

Entriamo oggi nel nuovo Anno liturgico con il tempo dell’Avvento. Il Signore è venuto storicamente facendosi uomo come noi. Il Signore tornerà alla fine dei tempi per trasfigurarci in lui e trasfigurare in bellezza il cosmo. Nell’attesa della sua venuta, lo stesso Signore ci invita a vegliare, cioè a vigilare sui doni e i carismi che ci ha affidati. Per non smarrire il senso della speranza e rimanere svegli, mettiamoci a servizio gli uni degli altri e alla sua venuta sarà il Signore a servirci.

Invochiamo ora il dono dello Spirito Santo perché ci renda capaci di vegliare su noi stessi, sui doni di Dio e sui fratelli e le sorelle a noi affidati.

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«Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti» (Is 63,19). Ecco il grido che apre il tempo di Avvento: il grido del desiderio e dell’attesa. Un grido che – formalmente – è una preghiera di supplica diretta all’orecchio di Dio, il quale apparentemente sembra distante e disinteressato a quanto sta avvenendo nel nostro mondo. Un grido che, però, prima di tutto squarcia il mio cuore indurito, lo risveglia dal torpore e fa sussultare le montagne delle mie abitudini; sì, perché proprio l’abitudine può diventare il nemico numero uno del cristiano!

La vita scorre spesso nel grigiore di un quotidiano affannato e abitudinario, nel tran tran di ogni giorno sempre uguale all’altro, tutti presi dalle nostre cose e tesi soltanto alla realizzazione dei piccoli progetti che ci facciamo giorno per giorno (andare in quel posto, comprare quella cosa, arrivare alla fine della settimana, dare quell’esame, terminare quel lavoro). Ma più che obiettivi raggiunti, queste cose hanno piuttosto il sapore di un sollievo momentaneo o di un appagamento fugace. Tutte “scaglie di speranza” che dicono che il mio cuore sa ancora attendere qualcosa, ma che narcotizzano l’attesa vera, quella che è attesa di una vita.

Questa prima domenica d’Avvento sembra proprio che intenda coglierci in questa nostra capacità di sperare “ribassata”, guidandoci ad alimentare nel nostro cuore la nostalgia di una vita con Dio.

La tattica del nemico: uccidere il desiderio

Il brano del profeta Isaia che ascoltiamo oggi (Is 63,16b-17.19b; 64,2-7) ci riporta ai tempi dell’esilio babilonese; il ricordo amaro della distruzione di Gerusalemme con il passare del tempo diventava sempre più flebile e subentrava il rischio di abituarsi alla terra straniera (gli esuli non erano schiavi, ma a loro veniva permesso di stabilirsi, di coltivare il proprio piccolo orto, di avere quanto bastava per vivere). Era la strategia dei Babilonesi per tenere soggiogato il loro impero: deportare i popoli dei territori conquistati e disperderli in diverse zone, permettendo loro di condurre una vita accettabile lontano dalla loro terra, perché lo spirito nazionale si sfilacciasse e si affievolisse la forza delle tradizioni culturali di ciascuno.

Uccidere il desiderio del ritorno: questa era la tattica del nemico. Pian piano ci si abitua a tutto e si dimentica ciò che più si desidera; pian piano si spengono le speranze e la cosa più terribile è che si accetta di sopravvivere, dimenticando di essere popolo. Un cuore che smette di sperare e che si abitua a vivacchiare da individuo, con il tempo perde la memoria e si indurisce. Il profeta invita il popolo a riaccendere il desiderio di tornare a Gerusalemme, gli insegna a domandarsi ancora “perché sta avvenendo tutto questo?”.

Forse anche io mi sono dimenticato di quella speranza radicale che mi abita e mi faceva scuotere il cuore; forse anche io non mi faccio più toccare dalla parola di Dio, non mi lascio più commuovere dal grido del povero o del bambino, non mi indigno più di fronte alle ingiustizie sociali o al maltrattamento del pianeta. In fondo, forse, non desidero più così tanto che il regno di Dio venga, che finalmente possano essere i criteri di Dio a guidare la società, la cultura, le relazioni, i progetti e la mia stessa vita. Forse anche a me in fondo sta bene che le cose vadano come vanno…

Il nemico cerca di portarmi dentro la spirale delle cose: appena desidero una cosa per me subito posso averla, posso avere tutto, permettermi tutto, riuscire ad autodeterminarmi sempre e comunque; e in questa spirale (che alterna momenti di esaltazione a momenti di depressione) i miei desideri più veri sono uccisi! Obiettivo del nemico è farci addormentare; corriamo il rischio di vivere la nostra vita nella dimenticanza, nella superficialità, nella fretta, ansiosi di trovare un po’ di tempo per riposarci e ripartire: «tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento» (64,5).

Le parole dell’Avvento risuonano oggi con forza per risvegliare le coscienze e ripristinare in noi l’attesa del Regno: «Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore?» (63,17). Perché ciò sia possibile occorre volgersi indietro per fare memoria della nostra storia santa e delle meraviglie che Dio ha compiuto con noi (cose ben più grandi di quanto avremmo potuto attenderci): «Quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, tu scendesti e davanti a te sussultarono i monti» (64,2).

La nostalgia di Dio chiede di essere risvegliata e il profeta ci guida a pregare così: «Tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci plasma» (64,7). Ricordando il nostro essere creature, torniamo a supplicare Dio che torni a plasmare quest’uomo che sono io. Sono argilla, una creatura incompiuta, ma incamminata verso la pienezza.

Dalla nostalgia all’attenzione

La coscienza addormentata, richiamata da Isaia («nessuno si risvegliava per stringersi a te»: 64,6), è al cuore dell’esortazione fatta anche da Gesù ai discepoli (Mc 13,33-37) nel passo evangelico proposto dalla liturgia odierna. La veglia, contrapposta al sonno, è un’immagine ricorrente nel Nuovo Testamento per descrivere i discepoli (“figli del giorno”): essi sono consapevoli di sé e della realtà, radicati stabilmente nella storia e nella concretezza della vita, operosi nel bene.

La similitudine del ritorno del padrone e dei servi non addormentati, che conclude il discorso di Gesù sulle cose ultime, non intende comunicare un clima di minaccia (anche se rimane l’effetto sorpresa di un’ora che nessuno conosce). Piuttosto essa descrive una situazione di attività che non dipende solo dalla presenza immediata di colui che comanda o controlla; ma si tratta di una casa dove i servi sono sempre al lavoro, con dedizione e generosità, perché ciascuno sa cosa è chiamato a fare e volentieri svolge il proprio ruolo.

L’immagine parla della comunità cristiana, operosa e creativa, che da una parte sa di essere investita di una missione, quella di propagare il vangelo in questo mondo, e dall’altra vive il proprio compito con pace e speranza perché c’è un kairós che segna l’esito della storia («non sapete quando è il kairós»: 13,33). Questo compimento, il tempo propizio che ricapitola la storia, è la manifestazione futura del Cristo nella sua potenza e immediatezza («vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria»: 13,26), inscindibile rispetto alla realizzazione di una comunione piena a tutto campo, che supererà le barriere dello spazio e del tempo («radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo»: 13,27).

L’attenzione spirituale (espressa dal verbo blépo, “guardare, fare attenzione”: 13,33) è l’atteggiamento pratico suggerito. Nell’Avvento infatti si ricorda con gratitudine la prima venuta di Gesù nel Natale di Betlemme e si riaccende la speranza dell’ultima venuta del Figlio dell’uomo che tornerà alla fine dei tempi. Memoria e attesa sono però funzionali ad una vita che sappia riconoscere in ogni istante del presente – ed è questa appunto l’attenzione spirituale – l’azione di Cristo che opera nel nostro quotidiano e cammina al nostro fianco. E nella sua compagnia la nostra umanità fiorisce.

Trafficate i vostri doni

Il ringraziamento che Paolo compone all’inizio della sua Prima lettera ai Corinzi (1Cor 1,3-9) sviluppa proprio questo tema del presente vissuto con lo sguardo rivolto alla venuta futura del Cristo. Nella comunità cristiana di Corinto, la grazia di Dio si manifestava con larghezza non solo nell’accoglienza dell’annuncio evangelico, ma anche nel conferimento di molti doni straordinari («quelli della parola e quelli della conoscenza»: 1,5; un elenco completo si troverà in 1Cor 12,7-10). Così avviene per noi oggi, anche se spesso in modo meno evidente che a Corinto: Cristo infatti si rende presente nella sua Chiesa, la quale manifesta il suo Signore nella società attraverso la carità, il perdono, l’ascolto, la consolazione, il discernimento; nella misura in cui la comunità cristiana rimane radicata nella testimonianza evangelica, essa sarà sempre più trasparenza del volto di Dio.

Tra i cristiani di Corinto serpeggiava però la tentazione di “sentirsi arrivati” e di schiacciare tutto l’impatto dell’evento cristiano nella storia in una visione presenzialista. I nostri tempi difficili di certo non corrono lo stesso rischio: forse più che un eccesso di entusiasmo ci sovrasta spesso un’atmosfera di depressione. Ma il consiglio di Paolo resta utile anche per noi: ogni talento trafficato, ogni gesto di amore, ogni parola di bene manifestano il volto di Cristo e possono essere alimentati solo dalla nostalgia di Dio. La parusia, vista come compimento della nostra comunione con Dio, imprime sulla storia una forza di attrazione che è più potente di ogni nostro sforzo di volontà o di ogni nostro proposito.

Scarica il PDF del Sussidio di questa domenica.

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