Dio è una sorpresa! L’avvento di Dio è una sorpresa. È questo l’annuncio che possiamo leggere tra le righe delle letture di oggi. Il testo del brano del Vangelo di Matteo (Mt 24,37-44) è accompagnato dalla prima lettura tratta da Isaia (Is 2,1-5), nella quale troviamo il «secondo titolo» del libro profetico (Is 2,1), un nuovo inizio del testo dopo la prima apertura del c. 1.
È una visione. Il profeta «vede» una «parola» che non riguarda qualche cosa che è al di là della storia, ma nella storia dell’umanità. Si tratta di quella «salvezza vicina» di cui ci parla Paolo nella seconda lettura (Rm 13,11-14a) tratta dalla lettera ai Romani. Attraverso la seconda lettura l’annuncio di Isaia e del Vangelo si fa esortazione ed impegno. La consapevolezza di vivere un tempo nel quale Dio si fa presente diventa forza che trasforma la vita.
L’annuncio della «venuta di Dio» per il credente non diventa motivo di «disimpegno» dalla storia umana, bensì fondamento di una presenza attiva e responsabile: egli infatti rinuncia alle opere delle tenebre e indossa «le armi della luce».
Testo tratto dall’introduzione.
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LA PROMESSA DI DIO COME TEMPO GENERATIVO DELL’ATTESA DELLA SUA VENUTA: IL KERYGMA ESCATOLOGICO
Secondo le Scritture, la domanda degli angeli e dello stesso Risorto alle donne e ai discepoli, è stata: «Chi cerchi? Chi cercate?». In questo modo si apre il Vangelo delle vocazioni e la ricerca di Gesù, prima tra i morti e poi tra i vivi. Il tema vero di questa prima domenica di Avvento è la nostra ricerca del Signore Risorto, del Vivente, la nostra attesa di Lui, il nostro desiderio che Egli ritorni, che Egli venga di nuovo. Il nostro desiderio di Lui, la speranza che Egli torni, come giudizio, come carità, come perdono, come compimento, è l’anima stessa della nostra preghiera, ed il nutrimento della nostra speranza, capace ancora di gridare nel nome delle vittime e di lottare per la giustizia. Occorre allora, profondamente, chiedersi che cosa è la dimensione escatologica per la nostra gente.
La prima parte dell’Avvento, lo sappiamo bene, cerca di porre come esperienza credente comunitaria la nostra attesa della venuta del Figlio come compimento della storia umana e cosmica e come giorno del giudizio. È una domenica importante per provare a vivere una sorta di kerygma escatologico: il Risorto, il Vivente, tornerà, come ha promesso, e porterà a compimento la storia fra gli uomini e le donne come giorno di luce, come pienezza di carità, come realizzazione del regno di giustizia e di pace.
Quali sono le dimensioni proprie del kerygma escatologico, del ritorno del Vivente e del compimento della storia? Una è certamente la memoria, quella di tutta l’assemblea celebrante, che nel memoriale pasquale, ricorda l’attesa della sua venuta; chi non ricorda il Cristo secondo le Scritture, chi non riconosce i segni e i volti della sua presenza, non può aspettare la sua venuta, può piuttosto aspettare la propria morte come momento del proprio incontro con Dio; aspettare di morire o aspettare la venuta del Figlio? Questa è una domanda vera, che ci riguarda come comunità celebrante e come coscienza credente, come lievito nella storia del regno di Dio. La mentalità credente ha il compito della differenza dell’attesa, che si nutre della memoria Jesu. Questa va formata. Altra dimensione propria è la luce della speranza, che nell’attesa della sua venuta, si pone nel difficile iato dell’esperienza quotidiana tra ciò che Dio promette e ciò che Dio permette. Il male che colpisce l’innocente, le ingiustizie contro le vittime, le strutture di peccato che imprigionano la storia, provocano nella comunità celebrante un grido. Grido di speranza e di invocazione. Grido che attende che venga restituita giustizia, verità, libertà alla condizione dei giusti, dei buoni, dei miti, dei perseguitati a causa del Vangelo. Il nostro compito evangelico, la nostra opera di fede, consiste nel prenderci cura della speranza del popolo delle beatitudini, perché il grido diventi preghiera e non disperazione e rassegnazione. Qui la forza escatologica del kerygma mostra tutta la sua concretezza e forza. Come la fede smuove le montagne e sradica gli alberi, così la speranza giunge come grido fino al cospetto di Dio.
La terza dimensione propria del kerygma escatologico è la sua relazione con il giorno, con la luce, con la possibilità di vedere e discernere. Attraversare la notte, vincere le tenebre, resta la sfida. Vedere nella notte per riconoscere il ladro e difendersi e riconoscere il Signore ed accoglierlo, diventa la responsabilità del servo fedele. Ciò che l’orazione di colletta ha definito lo spirito vigilante. Ovvero il discernimento. “Uno sarà preso e l’altro sarà lasciato”, è discernimento; “il Signore verrà nell’ora che non ti aspetti”, è discernimento; “il ladro viene quando non ti aspetti”, è ancora discernimento! L’atteggiamento presente della comunità celebrante è dunque il discernimento. Ciò che permette di vedere e riconoscere. Vedere e riconoscere tutto ciò che riguarda il Figlio, che ha promesso di tornare, e che con i suoi segni e i volti e le storie che sono sua memoria, rinnova il nostro spirito vigilante in attesa della sua venuta.
«Sapeva bene quell’uomo anziano, con i segni dei legami attraversati nella vita, scavati nelle sue pieghe e nelle sue piaghe di carne, che a breve sarebbe morto; ma lui non aspettava di morire, ogni giorno, la sera sempre alla stessa ora, invece chiedeva a suo figlio lontano quando sarebbe tornato. L’attesa di suo figlio era la ragione perché ogni giorno usciva dal letto e viveva i suoi riti di quotidianità, dono di una promessa di ritorno. La venuta di suo figlio determinava i suoi riti, il suo tempo, la sua speranza».
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NOTA: nel pdf è presente anche il sussidio in simboli CAA.