Notte. Nella celebrazione della Notte il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio è presentato dalla liturgia nella sua dimensione storica, nella sua umanità. Si tratta di uno sguardo sulla storia dell’umanità che, attraverso vicende personali, giunge a riconoscere una “presenza” capace di cambiare le sue sorti. Il profeta Isaia (I lettura) annuncia come una nuova creazione, un passaggio dalle tenebre alla luce. La nuova creazione riguarda la vita del popolo, nella quale si rende presente l’azione di Dio creatore che continua a diradare le tenebre e a far risplendere la luce. Nella Lettera a Tito (II lettura) troviamo ugualmente l’annuncio di una realtà meravigliosa: la grazia di Dio che si manifesta. Qui passiamo dalla storia del popolo alla vita del singolo credente. Infine nel brano del Vangelo di Luca troviamo un primo testo, nel tempo natalizio, che ci presenta la venuta nella carne del Figlio di Dio e il mistero della sua accoglienza o non accoglienza da parte dell’umanità.
Aurora. La liturgia del Natale nella celebrazione dell’aurora ha al suo centro la visita dei pastori al bambino, la cui nascita era stata loro annunciata dall’angelo del Signore (Lc 2,8-14; cf. vangelo della notte). Continua la prospettiva propria di Luca di mostrare come siano i poveri ad accogliere il Signore e ad avere occhi capaci di vedere e orecchi in grado di udire le meraviglie compiute da Dio.
Giorno. La liturgia di Natale del giorno corona il percorso fatto nelle precedenti celebrazioni. Il suo centro sembra consistere nel presentare una dimensione maggiormente teologica e una visione del mistero dell’incarnazione più chiaramente legata alla storia della salvezza. In modo particolare sono il prologo del Vangelo di Giovanni (vangelo) e il prologo della Lettera agli Ebrei (II lettura) a fornire questa visione. Il testo di Isaia (I lettura) annuncia il perdono e la consolazione di Dio agli esiliati.
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Testo tratto dall’introduzione.
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IL MISTERO DELL’INCARNAZIONE: LO SGUARDO DI TENEREZZA, DI BONTÀ E DI LUCE.
È Natale: giorno pasquale dell’Incarnazione. Come fra qualche giorno ricorderemo nella liturgia dell’Epifania, tutto l’anno liturgico scaturisce dalla Pasqua. Il Natale non è il compleanno di Gesù, ma il mistero della sua incarnazione, della sua nascita nella condizione umana, la nostra condizione umana. Il Credo ci trasmette integralmente la fede degli apostoli: «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo».
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Così oggi, secondo il tempo messianico sperimentato nel cammino di Avvento, la fede nell’incarnazione del Verbo potrebbe essere trasmessa: “Gesù Cristo, stupore dello Spirito, Figlio di Maria, nostro fratello, lieto annuncio del Regno, Riscatto ai poveri, Libertà ai prigionieri, Giustizia agli oppressi, Speranza agli afflitti, a tutti Pace, Segno di contraddizione, ha condiviso in tutto la condizione umana”. La lettera agli Ebrei oggi, nella seconda lettura, usa un’espressione bellissima: «il Verbo è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza, e tutto sostiene con la sua parola potente». La celebrazione del Natale è attraversata interamente da un comune sentire spirituale di festa e di stupore.
Sembra che l’assemblea riesca veramente a farsi tutta bambina, così come chiede il Risorto nel vangelo, dando all’intelligenza genuina dei bambini la capacità di cogliere la presenza del Regno di Dio tra di noi. Festa, stupore, tenerezza. Sono i sentimenti del Regno di Dio. È importante che i sensi vengano coinvolti nella celebrazione e che questi donino alla vita interiore, alla vita d’anima e alla coscienza, un’esperienza spirituale. La festa del Natale veicola un desiderio diffuso e collettivo di bontà, di purezza, di genuinità. E anche un forte rammarico per la consapevolezza che il sentire del Natale viene spesso poi dimenticato, abbandonato, considerato non capace e non forte per sostenere il peso della vita e le 12 sfide della quotidianità e le ferite della cattiveria. Eppure, questa lotta spirituale tra il sentire del Natale e la lucidità disincantata del quotidiano ospita in verità il paradosso che celebriamo: Dio, l’Onnipotente, si fa bambino.
Il Dio bambino è un mistero paradossale difficilmente armonizzabile con logiche mondane di potere, ricchezza, forza. Davanti ad un bambino il chinarsi non è espressione di paura e di sudditanza, ma di tenerezza e di cura, di stupore e di gioia. Un bambino è sempre una bella notizia. Così si può partecipare alla gioia del profeta Isaia provata grazie al messaggero di pace e di buone notizie che annuncia la salvezza.
Il prologo giovanneo stesso racconta, nel suo respiro mistico trinitario, della relazione che il Figlio ha con il Padre, e di come per il Padre il Figlio sia la norma, la misura, la bontà, la bellezza di ogni cosa. E poi racconta ancora il dramma pasquale della lotta tra luce e tenebre, tra rifiuto e accoglienza, che suscita la scelta inedita, gratuita, nuova, del farsi carne del Figlio e del porre la sua dimora in mezzo a noi. Il tra di noi di Dio, l’Emmanuele, diventa la novità della storia, della fede, della vita. Pienezza di grazia e di verità.
È guardare il bambino di Betlemme con sguardo di tenerezza e di bontà e riconoscere in Lui riflessi di una luce eterna, riflessi di cielo, di santità, di salvezza. Egli è la luce. Lo sguardo di tenerezza e di fede è capace di vedere, di fare discernimento, di attraversare la notte, di non perdersi, proprio perché viene custodito dalla Luce. Lo sguardo di luce nella celebrazione natalizia proviene (e anche prepara) dalla grande celebrazione della luce nella notte santa del Sabato Santo. Tutto per noi è Pasqua.
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NOTA: nel pdf è presente anche il sussidio in simboli CAA.