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Dal Sussidio per l’Avvento/Natale CEI – Commento alle Letture di domenica 24 Dicembre 2023

Commento al brano del Vangelo di: ✝ Gv 1,6-8.19-28

La IV domenica d’Avvento celebra la proposta che Dio rivolge all’umanità affinché divenga la sua casa; pone la Chiesa accanto alla Vergine Maria perché impari da lei ad accogliere e custodire la Parola, lasciandosi plasmare dallo Spirito. L’imminenza del Natale del Signore allarga gli orizzonti rendendo la comunità radunata voce del creato, in cui ogni uomo e ogni donna trovano spazio e invocano: «Stillate, cieli dall’alto» (Is 45,8; cf. Antifona d’ingresso).

Le dimensioni dell’ascolto e dell’accoglienza, della casa e della familiarità di Dio liturgicamente si possono esprimere con la processione d’ingresso portando anche l’evangeliario; con il silenzio che scandisce la liturgia della Parola (Ordinamento Generale del Messale Romano, n. 56).

Anche la benedizione dei “Gesù Bambino”, con la relativa preghiera da recitare in famiglia davanti al presepe, potrebbe favorire pastoralmente la consapevolezza che il Signore viene ad abitare tra noi e costruisce in noi la sua dimora.

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Indicazioni liturgiche

  • Per il saluto liturgico si propone di utilizzare 2Cor 13,13 (MR p. 309).
  • Per l’Atto penitenziale si può scegliere il III formulario introdotto dalla monizione “Gesù Cristo, il giusto, intercede per noi” (MR p. 312) e le invocazioni Tempo di Avvento 2 (MR p. 315).
  • Come colletta si utilizzi quella propria della IV di Avvento (MR p. 309).
  • Al termine della preghiera dei fedeli si può pregare la colletta alternativa Per il tempo di Avvento. IV domenica B (MR p. 1006), chiaramente con la conclusione breve: “Per Cristo nostro Signore”.
  • I temi biblici mariani ed ecclesiologici suggeriscono di utilizzare il

Prefazio dell’Avvento II/A: Maria nuova Eva (MR pp. 332-333).

  • Per la benedizione finale si potrà utilizzare la Benedizione solenne 1: nell’Avvento (MR p. 456).

Monizione introduttiva

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Oggi, la Chiesa pregusta la gioia profonda dell’incontro con il suo Signore, che viene a costruire la sua dimora tra noi. La storia della salvezza è anche la storia del luogo che Dio cerca tra gli uomini quale sua dimora. Per la fede, il cuore della vergine Maria di Nazaret diviene il luogo accogliente del Verbo e per lo Spirito il suo grembo accoglie il corpo umano del Figlio di Dio che viene ad abitare tra gli uomini.

Con la vergine Maria, invochiamo la Potenza dell’Altissimo affinché ci avvolga con la sua ombra e ci prepari ad accogliere e celebrare il mistero dell’Emmanuele.

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Avvento 2023 – Commento alle Letture di domenica 24 Dicembre 2023 6,00 Mb 26 downloads

Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. …

«A Dio, che solo è sapiente» (Rm 16,27): a discapito della pretesa umana di possedere i segreti del cosmo, oggi risuona forte la proclamazione della sapienza di Dio. L’uomo crede di poter dominare il corso del mondo, piegando il creato in modo violento ai propri interessi; cerca continuamente di manipolare l’intelligenza e la coscienza dei fratelli; spesso presume anche di fare i conti in tasca a Dio sapendo meglio di lui come dovrebbe agire in favore degli uomini. Ma la buona notizia è che Dio solo ha in mano le chiavi della storia, ne conosce il mistero, poiché lui stesso vi ha impresso il senso e l’orientamento.

Come afferma Paolo in un altro luogo: «nel disegno sapiente di Dio, il mondo con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio» (1Cor 1,21). La pretesa dell’uomo coinvolge anche la conoscenza del mistero di Dio e del suo agire; ma per via razionale questo non è possibile. Le categorie del pensiero umano infatti si arenano di fronte a quei misteri che invece sono “rivelati ai piccoli e ai semplici” (cf. Mt 11,25). Il movimento non è dunque dal basso all’alto (l’uomo con le sue facoltà razionali o ascetiche o morali può accedere alla comprensione di Dio), ma dall’alto al basso (Dio per la sua grande condiscendenza rivela il suo volto e il suo cuore all’uomo). Non si tratta di “sforzarsi di comprendere per carpire i disegni di Dio”, ma semplicemente di “contemplare ciò che è stato rivelato”. Proprio l’atteggiamento della contemplazione umile e disarmata ci apre all’accoglienza del Natale.

Sono io che farò una casa a te

Dopo che Davide ebbe consolidato il suo potere e dopo che ebbe espugnato Gerusalemme ai Gebusei, la città divenne la sede del re ed egli si affrettò a fortificarla e a far costruire per sé un palazzo. Il Signore aveva accompagnato Davide fin da quando era stato scelto in mezzo ai suoi fratelli più grandi e forti ed era stato unto come re dal profeta Samuele, pur regnando ancora Saul a quel tempo. Il giovane Davide si era fatto strada introducendosi prima alla corte di Saul e poi distinguendosi nel campo di battaglia contro i Filistei. Aveva resistito anche alla prova della persecuzione da parte di un Saul divenuto invidioso e iracondo e il Signore gli aveva dato la possibilità di mantenere un cuore buono e non vendicativo.

Voltandosi indietro, Davide riconosceva come Dio lo avesse guidato passo a passo nella sua ascesa al trono ed era pieno di gratitudine. Quando fece portare l’arca dell’alleanza nella nuova capitale del regno manifestò il suo giubilo e il suo ringraziamento danzando alla testa di un grande corteo processionale, rivestito solo di un efod, una veste sacerdotale e non regale; per questo fu anche deriso, apparendo il suo comportamento disdicevole per un re. Quel giorno Davide non nascose la propria volontà di “abbassarsi e rendersi vile davanti agli uomini”, per riconoscere e lodare la grandezza di Dio.

Dunque il re era mosso da retta intenzione nel momento in cui manifestò il proprio desiderio di costruire a Gerusalemme un tempio, una casa per l’arca di Dio; anche il profeta Natan in modo istintivo gli confermò che si trattava di un progetto saggio. È il racconto che ascoltiamo in questa quarta domenica di Avvento (2Sam 7,1-5.8b-12.14a.16), in cui nella figura di Davide viene rappresentata la nostra continua voglia di essere noi a fare qualcosa per Dio. Da sempre l’uomo religioso crede di dover offrire qualcosa, dire un certo numero di preghiere o fare qualche rinuncia o sacrificio per essere accetto a Dio; come se Dio avesse bisogno di una prova di valore per continuare a volerci bene, come se l’amore di Dio non riuscisse ad essere gratuito ma potesse solo ricompensare quanti se lo meritano.

È bello e santo il nostro desiderio di fare qualcosa per Dio, ma spesso esso viene inquinato da quella superbia spirituale che tenta la persona religiosa per farla cadere nell’idolatria. È facile infatti, per chi vive questa dinamica, fare di Dio un oggetto di consumo (“io ho fatto e lui mi darà”) oppure un talismano da possedere e controllare (“Dio è dalla mia parte”). L’oracolo ricevuto da Natan per Davide rimette al centro un messaggio che capovolge il naturale approccio religioso: è Dio che fa per noi, molto prima e molto di più!

Il testo ebraico gioca sul doppio senso della parola “casa”. Se Davide desidera costruire a Dio una casa, sarà piuttosto Dio a garantire a Davide una casa, cioè una discendenza regale, consolidando il suo erede e impegnandosi a rendere stabile per sempre il suo casato. Questo capovolgimento della naturale dinamica religiosa è al cuore della promessa messianica.

Natale, mistero di accoglienza

“Non sei tu l’artefice” – ha ricordato Dio a Davide – “tu sei colui che accoglie”. Se proprio c’è una casa che vuoi costruire, quella è la casa accogliente del tuo cuore invitato ad aprirsi alla luce di rivelazione del volto di Dio.

Maria, protagonista del vangelo ascoltato oggi (Lc 1,26-38), è la quintessenza dell’accoglienza. La verginità («non conosco uomo»: 1,34) era al suo tempo una situazione tutt’altro che esaltata, per questo le donne dovevano maritarsi presto: per generare la vita! La situazione della verginità era terra non seminata che non produce, steppa deserta e maledetta. Nel lessico del vangelo, invece, la verginità diventa totale disponibilità all’opera di Dio. È una terra aperta al disegno di Dio: l’umanità mette il terreno e Dio, come sapiente architetto, edifica la casa.

La vergine di Nazaret (cittadina anonima e trascurata dalle grandi epopee dell’Antico Testamento) viene salutata kecharitoméne, «piena di grazia» (1,28) o – meglio – “riempita dall’amore gratuito” di Dio; nella misura in cui Dio trova spazio accogliente, la grazia abbonda e riempie oltre misura. Il dono migliore, l’offerta più alta che l’umanità poteva fare a Dio, era proprio questa terra accogliente, questa madre vergine.

Maria è un grembo accogliente, non uno strumento passivo nelle mani di Dio. Il vangelo sottolinea molto la libertà di Maria, nella misura in cui riferisce il suo turbamento, la sua domanda interiore circa il senso del saluto e la sua richiesta di chiarimenti sulla modalità in cui la promessa avrebbe potuto realizzarsi. I testi di tanti autori spirituali (come per esempio S. Bernardo nelle Omelie sulla Madonna) e le opere di tanti artisti (come Andrea della Robbia alla Verna) hanno immortalato l’istante di silenzio tra le parole dell’angelo e il sì della vergine. Un silenzio che è la cifra della libertà dell’uomo nel corrispondere agli inviti di Dio, libertà alla quale Dio stesso resta appeso, totalmente rispettoso e in attesa. E si noti anche che la libertà di Maria fiorisce per il bene non perché Dio le ha richiesto delle cose o dei sacrifici, ma perché le ha fatto una promessa di bene: «ed ecco, concepirai un figlio» (1,31).

La rivelazione del mistero

Quando la libertà degli uomini è invece utilizzata senza considerare le promesse di Dio, ecco che germina il peccato e la presunzione. Fu l’eccessiva confidenza nel proprio valore e la chiusura alle parole dei profeti (secondo la rilettura storica di Isaia) a trascinare Gerusalemme verso la rovina, quando l’invasione dei Babilonesi fece di fatto crollare la casa regale di Davide. La promessa di 2Sam 7 sembrò quel giorno smentita e sconfessata. Nelle parole dell’angelo a Maria invece possiamo contemplare come nella sapienza ineffabile di Dio il giuramento fatto a Davide non è venuto meno: «il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (1,32-33). In Cristo, massima attualizzazione di questa profezia, scopriamo come le parole di Dio si compiono continuamente e in modi inaspettati. Così la sapienza di Dio recupera anche dal fallimento la storia gloriosa della stirpe di Davide, dandole una continuità meravigliosa e stupefacente. Gesù di Nazaret, nuovo Davide, è il re che prova compassione per il popolo – gregge senza pastore – e annuncia il compiersi del regno di Dio.

Le promesse di Dio restano valide, nonostante noi, e con Paolo (è la bella dossologia a conclusione della lettera ai Romani che ascoltiamo oggi: Rm 16,25-27) possiamo solo meravigliarci di fronte al suo disegno sapiente che scopriamo essere custodito nel cuore di Dio dall’eternità e che contempliamo oggi rivelato a noi in Cristo. Dio in Cristo ci fa conoscere la sua salvezza; a noi l’accoglienza, lo stupore, l’obbedienza e la lode.

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Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. …

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