Nei giorni prossimi al Natale la liturgia assume un carattere decisamente mariano. Nella quarta domenica di Avvento risuonano le antiche voci profetiche sulla Vergine Maria e sul Messia e si leggono gli episodi evangelici relativi alla nascita imminente del Cristo e del suo Precursore (cfr. Marialis cultus, n. 3).
I fedeli «considerando l’ineffabile amore con cui la Vergine Madre attese il Figlio, sono invitati ad assumerla come modello e a prepararsi per andare incontro al Salvatore che viene, vigilanti nella preghiera, esultanti nella sua lode» (cfr. Marialis cultus, n. 4).
Potrebbe essere utile valorizzare il silenzio liturgico.
Il sacro silenzio non rappresenta una pausa fine a sé stessa ma è parte integrante della celebrazione: «La sua natura dipende dal momento in cui ha luogo nelle singole celebrazioni. Così, durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura o l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la Comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di supplica» (OGMR, n. 45).
Commento al Vangelo
- Is 7,10-14 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio.
- Sal 23 Ecco, viene il Signore, re della gloria.
- Rm 1,1-7 Gesù Cristo, dal seme di Davide, Figlio di Dio.
- Mt 1,18-24 Gesù nascerà da Maria, sposa di Giuseppe, della stirpe di Davide.
La IV domenica di Avvento ci introduce ormai nel racconto della nascita di Gesù, come del resto fanno anche le letture feriali di questa novena di Natale.
Il Vangelo di Matteo ci racconta come “fu generato Gesù Cristo”. Ci dice che Maria “si trovò incinta per opera dello Spirito Santo” (Mt 1,18) e poi ci parla dell’annunciazione a Giuseppe, da parte dell’angelo, del mistero che si stava compiendo in Maria, sua sposa. L’evangelista poi commenta che “tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta” (Mt 1,22), e segue una citazione del brano di Isaia, che abbiamo ascoltato come prima lettura.
Il profeta, nel contesto di una crisi politico-militare che l’antico regno di Giuda stava attraversando, annuncia al re Àcaz un segno di speranza: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele” (Is 7,14). Non possiamo sapere cosa avrà colto il re di Gerusalemme in quel segno misterioso (forse l’annuncio di un discendente e quindi di una prosecuzione della dinastia, o forse il segno di una particolare vicinanza di Dio, “Emmanuele”, cioè Dio-è-con-noi): nella lettura di fede dell’evangelista, però, quel segno annunciato da Isaia si è compiuto solo 735 anni dopo la sua proclamazione: allora infatti una donna, una vergine, ha concepito il Figlio di Dio nel suo seno, per opera dello Spirito Santo.
Questo linguaggio è duro, la nostra mentalità positivista e scientista sente questo racconto di Matteo come una specie di mito. Eppure, pur nel doveroso riconscimento che il genere letterario usato dall’evangelista non è quello della cronaca storica, il messaggio che il Vangelo oggi ci vuole trasmettere è proprio questo: un evento unico si è compiuto in un momento della storia del mondo. Dio è entrato realmente nella nostra vicenda umana, Dio si è rivestito davvero della carne della nostra fragilità, debolezza e mortalità, perché il bambino di cui Maria è rimasta incinta è l’Unigenito Figlio di Dio, l’increato Dio, che si è voluto fare creatura nel seno della Vergine Madre.
Che questo sia il contenuto di fede e di verità che Matteo ha voluto trasmetterci, ce lo conferma S. Paolo, che nel bellissimo prologo della Lettera ai Romani descrive il “vangelo di Dio… che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore” (Rm 1,3-4). Questo è l’annuncio che Paolo non si stanca di ripetere a tutti i popoli che evangelizza, questo è il mistero, “promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture” (Rm 1,2), che Dio ha rivelato a Paolo, e che egli sparge nel mondo come seme buono che porti frutto per il regno di Dio.
Abbiamo atteso in queste quattro settimane di Avvento l’annuncio di questo fatto straordinario e unico, l’annuncio dell’ingresso di Dio nella storia del mondo, perché tutto il piano di salvezza di Dio, dalla creazione in poi, puntava a questo evento, culmine della storia della salvezza: l’incarnazione del Figlio suo nella nostra quotidianità, la condivisione da parte di Dio delle nostre gioie e dei nostri dolori, dell’esperienza umana in tutto il suo spessore, fino a quel vertice che è l’esperienza della nostra morte.
Come ci chiedeva il Salmo responsoriale, allora, purifichiamo le nostre mani, purifichiamo i nostri cuori, smettiamo di rivolgerci agli idoli di cui è ancora così piena la nostra vita (cfr. Sal 24,4): il Dio vivo e vero è entrato nella nostra storia perché noi potessimo ricercarne il volto (cfr. Sal 24,6): quel volto ha i tratti umani di Gesù di Nazareth, figlio di Maria, vero uomo e vero Dio, tratti disegnati dallo Spirito del Dio vivente, perché tutti possiamo innamorarci di quel capolavoro di bellezza e restarne affascinati per sempre.
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