La III domenica di Avvento celebra la gioia della fedeltà nuziale del Signore che viene e indica alla Chiesa la testimonianza del Precursore Giovanni: con la sua vita e il suo ministero anticipa il riscatto della gioia messianica ed escatologica, come cantato, per antichissima tradizione romana, nell’antifona d’ingresso che ha dato la denominazione di Gaudete a questa domenica: «Rallegratevi sempre nel Signore» (Fil 4,4-5; cf. Antifona d’ingresso).
La dimensione della gioia cristiana può essere recuperata anzitutto valorizzando l’accoglienza dei fedeli nell’aula liturgica prima della celebrazione, da parte dei presbiteri e di altri operatori pastorali. Durante la celebrazione il coinvolgimento di tutta l’assemblea nel canto esprimerà la partecipazione alla gioia condivisa.
Anche la Novena di Natale in famiglia (Cf. Direttorio su Pietà popolare e liturgia, n. 103) con proposte semplici potrebbe favorire pastoralmente la riscoperta della gioia per la presenza del Signore e delle persone amate.
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Indicazioni liturgiche
- Per il saluto liturgico si propone di utilizzare Rm 15,13 (MR p. 310) che introduce così nel clima gioioso della celebrazione.
- Per l’Atto penitenziale si può scegliere il II formulario introdotto dalla monizione “Fratelli e sorelle, all’inizio di questa celebrazione eucaristica” (MR p. 312).
- Qualora non si fosse usata come orazione colletta, al termine della preghiera dei fedeli si potrà pregare la colletta alternativa Per il tempo di Avvento. III domenica B (MR p. 1005), chiaramente con la conclusione breve: “Per Cristo nostro Signore”.
- I temi biblici dell’attesa del Signore e della gioia che essa provoca suggeriscono la scelta del Prefazio dell’Avvento II: Le due attese di Cristo (MR p. 331).
- Per la benedizione finale si suggerisce la Preghiera di benedizione sul popolo n. 26 (MR p. 476).
Monizione introduttiva
Oggi, la Chiesa Sposa gioisce per l’approssimarsi della venuta del suo Signore e Sposo, Gesù Cristo. Questa gioia – che dà il nome alla domenica odierna chiamandola “domenica Gaudete” – è la gioia del profeta e del popolo; è la gioia di Giovanni il precursore e di ciascuno di noi.
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[Se i paramenti liturgici usati sono di colore rosaceo si aggiunge: Anche il colore rosaceo dei paramenti liturgici esprime la gioia dell’imminente venuta del Signore, che illumina ogni notte e risplende di ilare luce].
Insieme a Giovanni il precursore invochiamo lo Spirito Santo su di noi perché ci prepari a celebrare il mistero della gioia e ci renda esultanti nel percorrere la via al Signore e nel testimoniare la sua presenza nel mondo.
Avvento 2023 – Commento alle Letture di domenica 17 Dicembre 2023 1,36 Mb 14 downloads
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete: a lui non sono degno di slegare il…«Siate sempre lieti!» (1Ts 5,16). La liturgia di oggi ci parla in molti modi di gioia. È questo il terzo atteggiamento, dopo quello della attenzione/ vigilanza e quello della disponibilità/preparazione, che il tempo di Avvento propone come indispensabile per accogliere il Signore che viene.
Ma la gioia non è granché diffusa tra i cristiani. Eppure il Vangelo e tutta la Bibbia ne sono impregnati. Come è possibile aver conosciuto il Dio della tenerezza e della fedeltà, aver incontrato in Cristo il suo volto, aver capito che la sua grandezza e bontà superano ogni nostra aspettativa e proiezione su di lui e non esplodere di gioia? Paolo arricchisce l’invito allo stare sempre lieti con le parole: «pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie» (1Ts 5,17-18) ribadendo così che ciò che apre le porte alla gioia è la fede, intesa come ricerca continua di comunione con Dio e disponibilità ad accogliere con gratitudine ogni suo dono e la sua volontà.
Tante volte la mancata gioia cristiana è dovuta al fatto che dalla sequela di Cristo ci si aspetta contentezza, benessere, fortuna e invece poi si fanno i conti con il dolore, la solitudine, la noia. Se ci aspettavamo che la fede ci desse gioia nel senso che non avremmo più sofferto, che ogni nostro desiderio sarebbe stato realizzato subito, che sarebbe scomparso ogni problema dalla vita, abbiamo mancato l’obiettivo. È un’esperienza di disillusione che tutti i credenti hanno fatto presto o tardi nello scoprire che la gioia cristiana, e questo deve continuamente essere ricordato, è qualcosa di diverso dall’assenza di sofferenza. La liturgia della parola ci aiuta nel comprendere quali siano i tratti specifici della gioia cristiana e quali siano le strade da percorrere per trovarla.
Non era lui la luce
Anche in questa domenica siamo accompagnati dal personaggio di Giovanni Battista, nella peculiare presentazione che ne dà il quarto vangelo (Gv 1,6-8.19-28): «Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce» (1,8). Ciò che è evidente per tutti non necessita di testimoni; ma esistono dati circoscritti a un determinato luogo e tempo, o che sono segreti e difficili da determinare, o accessibili a pochi, per avere notizia dei quali ci si può solo affidare a testimoni degni di fede, a persone che hanno partecipato a quell’avvenimento o che ne sono venuti a contatto (come il testimone in un processo). Molte cose, spesso anche molto importanti, sono accessibili solo per mezzo di testimoni.
Giovanni è testimone della luce. Non c’è nulla di più evidente della luce, ed è paradossale che proprio la luce abbia bisogno di un testimone. La luce vera risplende per ogni uomo, eppure gli uomini non vengono a trovarsi naturalmente nel suo splendore. Come un tesoro nascosto, essa deve essere prima scoperta; soltanto dopo risplende e rende visibile tutto nella sua vera realtà. È caratteristico di Cristo che la sua vera realtà non sia accessibile con qualsiasi tipo di approccio: egli non si impone, non fa violenza e non costringe nessuno; è sempre possibile evitarlo e prescindere da lui. Cristo è la luce che esige la libera decisione dell’uomo. A causa di questo suo essere nascosto, egli ha bisogno di testimoni.
Giovanni quando viene interrogato insiste con solennità («confessò e non negò»: 1,20) su chi non è (non è il Cristo, non è Elia, non è il profeta); la sua identità trova un senso pieno solo nel riferimento a un altro da sé: egli è solo testimone, rimando, “voce”. Egli definisce se stesso solo in relazione all’evento Cristo. Cristo è la Parola, Giovanni è soltanto voce.
Questa domenica Gaudete ci suggerisce che la gioia cristiana è legata all’atteggiamento di Giovanni, il quale prepara la strada ma tende a scomparire per dare rilievo a Cristo. Spesso infatti la tristezza è proprio causata dalla smania e dalla pretesa di essere al centro dell’universo, riferimento ultimo di sé e degli altri; su questa strada, assoldando ogni sforzo e ogni mezzo alla realizzazione del proprio egocentrismo, si potrà godere o vivere all’eccesso, ma difficilmente si gusterà la gioia interiore e profonda.
Essa la troviamo solo nel momento in cui riconosciamo ciò che siamo: creature limitate e fragili di un Dio che ci ama. «Lui deve crescere; io, invece, diminuire» (Gv 3,30): la saggezza del Battista ci insegna che la gioia la troviamo veramente quando nel deserto (quando cioè è tolto ogni possibile appiglio: la gioia in ciò che ho, in ciò che so fare, nelle relazioni che so intrattenere…) riconosciamo profondamente e con tutto noi stessi che solo alla bontà di Dio ci si può appigliare, e quello è un appiglio sicuro, certo.
Cristo, colui che è venuto per rivelarci questo volto amante di Dio, è una luce nascosta («in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete»: 1,26) e tante volte ci riduciamo a ricorrere ad essa solo quando si sono spente per noi tutte le altre luci apparenti (la fama, il potere, la realizzazione dei progetti), ma è la luce vera.
È venuto a portare il lieto annuncio ai miseri
Giovanni dice di non essere degno neppure di prestare al Cristo il servizio più umile, quello che lo schiavo presta al suo padrone: sciogliergli i legacci dei sandali. Tale affermazione ci rimanda alla dignità suprema del Messia, il consacrato con l’unzione dello Spirito.
I versetti del profeta Isaia (Is 61,1-2.10-11) che risuonano in questa domenica della gioia parlano della missione di un inviato/unto di Dio. La rilettura cristiana di questo testo, fin dall’epoca della tradizione evangelica (cf. Lc 4,18-19), ha ritenuto senza dubbi che l’opera di Gesù si pose in continuità e in piena corrispondenza rispetto alle azioni qui elencate: nel suo annuncio e nei suoi gesti si rese presente l’intervento di Dio. Nelle parole del libro di Isaia, rilette a partire dalla loro comprensione cristiana, è stato così sovente riconosciuto uno spessore messianico.
Tutte le azioni elencate sono funzionali a riabilitare la situazione di alcune categorie di persone tra le più derelitte: i poveri, gli afflitti, gli schiavi e i prigionieri; in questo modo il verbo ebraico bsr (“portare un messaggio”) che apre la serie acquista un carattere di solidità e concretezza: non si tratta di portare l’annuncio di un messaggio teorico e astratto, ma una notizia che è lieta e buona perché produce effetti di bene e di salvezza.
Ai vv. 10-11, ascoltando le parole «Io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio», siamo colpiti nel percepire l’ambiguità su chi sia il soggetto parlante. La tradizione giudaica ha spesso affermato che qui possiamo riconoscere la voce di Gerusalemme, nel giubilo di riconoscersi visitata, redenta, rivestita di giustizia. L’immagine degli ornamenti preziosi di due sposi parla di una relazione intima tra la città santa e Dio, alleanza che si attualizza ancora una volta nel dono della salvezza e della giustizia portate dall’inviato di Dio. In questo canto ogni particolare trasuda di gioia, situazione interiore che deriva dalla comunione ritrovata con Dio.
L’Arte del Predicare
Ma che sia Gerusalemme redenta a parlare qui non è così scontato e l’ambiguità che avevamo riscontrato può essere colmata anche da un ulteriore punto di vista; i commentatori moderni di questo testo, infatti, tendono a riconoscere qui la voce dello stesso profeta/unto del v. 1 che è stato da Dio inviato per portare la notizia gioiosa della salvezza. Gioisce non solo chi riceve da Dio la sua visita, ma anche chi si fa portatore di essa, chi fa da tramite e mediatore, chi crede nella promessa di Dio a tal punto da avere il coraggio di diffonderla senza bloccarsi di fronte alle possibili situazioni di limite e di indigenza. Per noi, assemblea cristiana, non sarà difficile vedere in Gesù di Nazaret che trova la sua gioia nel compiere fino in fondo la missione affidatagli dal Padre, una meravigliosa attualizzazione di questo poema; e possiamo anche cogliere noi stessi in qualche modo investiti di questo incarico profetico.
Vi santifichi interamente
In conclusione, la gioia cristiana è qualcosa di tutt’altro che superficiale e dunque non si esaurisce semplicemente nella contentezza o nell’allegria. Riguarda invece la pace profonda di chi sa di essere nel bene.
L’augurio che Paolo offre nella seconda lettura (1Ts 5,16-24) va proprio in questa direzione: «il Dio della pace vi santifichi interamente»; la benedizione ha a che fare con una vita santificata (che cioè porta l’impronta di Dio) nella sua interezza. Ogni dimensione della persona entra in questo dinamismo: lo spirito (l’apertura al trascendente), l’anima (il mondo interiore e le dinamiche intrapsichiche con i pensieri e i sentimenti) e anche il corpo (la vita pratica e la nostra attitudine relazionale). È felice chi vive integrato in queste dimensioni e non diviso tra ciò che brama, ciò che professa, ciò che vuole mostrare e ciò che compie. Questa è pace!