Al centro della liturgia di questa domenica c’è sempre la figura di Giovanni Battista. Si tratta di discernere il tempo degli eventi che si compiono, senza scandalizzarsi se questi non corrispondono ai nostri parametri ma a quelli di Dio. Vediamo a confronto «le opere del messia» e le «contraddizioni della storia».
A questa lettura ci conduce anche il testo di Isaia della prima lettura (Is 35,1-6.8.10) che afferma che laddove c’è l’assenza della vita, cioè nel deserto, risplende la gloria di Dio: laddove la vita è impossibile, Dio la rende possibile. Dio rende il deserto ospitale alla vita: per opera sua i ciechi vedono, i sordi odono, gli zoppi saltellano, i muti gridano di gioia. Ma per questo discernimento occorre la longanimità dell’agricoltore di cui ci parla la seconda lettura (Gc 5,7-10).
Testo tratto dall’introduzione.
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IL VANGELO DELLA GIOIA, RESPIRO SPIRITUALE DELL’INTERO POPOLO DI DIO
Le letture di questa terza domenica compiono e raccolgono l’itinerario di Avvento, il senso spirituale fatto fino ad ora, e ci orientano, con il Vangelo della gioia, all’attesa e alla memoria dell’incarnazione, del farsi carne del Figlio di Dio, che è Dio, del suo farsi bambino. Il Vangelo della gioia diventa il modo con cui noi raccogliamo quanto maturato come kerygma escatologico di uno sguardo profetico sul tempo messianico come senso spirituale della fede; maturazione intesa come conversione, che ci ha posto in comunione di discernimento – la buonafede dell’ascolto – con il Battista e con Maria. Nel Vangelo di oggi ritorna il Battista, secondo quel discernimento già indicato in prossimità del martirio, ma qui con una nuova dimensione: quanto Gesù stesso ha detto di lui, dopo aver indicato ai suoi discepoli i segni del compiersi del tempo messianico.
La chiave di questa domenica è il Vangelo della gioia. Nessun’altra categoria spirituale e pastorale potrebbe rendere maggiormente ragione del magistero di Francesco oggi. Dalla gioia del Vangelo alla letizia della famiglia, passando per il gaudio della santità. Tutto ciò che ruota attorno a Cristo è gioia per Francesco. Questo deve spingerci a considerare in modo speciale il legame di questa domenica con il dono della gioia. La gioia è il respiro sollevato e senza affanno dell’intero popolo di Dio, è il suo respiro spirituale. Solo chi conosce bene la stanchezza, l’affaticamento, agli uomini e le donne liberate e redente dalla schiavitù del peccato e da ogni altra forma di oppressione.
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Bisogna ora ripercorrere la Parola di Dio ascoltata per cogliere in profondità la bella notizia del Vangelo della gioia, del soffio vitale liberato e restituito. Il profeta Isaia invita ad un gesto di sollevamento, movimento del prendere aria, del respirare, del non restare schiacciati 11 ed oppressi, ad alzare lo sguardo per attendere con gioia il giungere di Dio tra di noi come giustizia e come liberazione. È lo sguardo che scruta l’orizzonte in attesa di riconoscere il giungere di Dio, è il sentire i suoi passi in lontananza. Questo vedere e sentire suscita un profondo senso di gioia. Quell’uomo anziano, il cui tempo di vita come paternità lo legava come attesa alla venuta del figlio, e non al raggiungimento della morte, nella sua debolezza del vedere e del sentire, come sentiva i passi del figlio sulla scala e lo vedeva salire, provava una gioia d’anima che era il respiro della vita: giungeva suo figlio! Il suo respiro di gioia era la sua forza. Raccoglieva tutte le sue forze di paternità perché potessero reggere ancora l’abbraccio, il camminare insieme, il fare festa. Qui a fare festa, secondo Isaia, è il popolo liberato dalla schiavitù e dall’oppressione, segno del desiderio della paternità umana di essere liberata dal suo legame con la morte per il ritorno del Figlio come il Vivente, il Risorto. Respiro spirituale e vita, il Risorto e lo Spirito, per un popolo che diventa memoria del Padre nell’attesa, nello sguardo e nel sentire il giungere del Figlio.
La memoria della paternità si coniuga con una seconda metafora propria della II lettura di oggi: la pazienza dell’agricoltore. La pazienza come relazione con il tempo, il saper aspettare che il frutto nasca e maturi grazie alle piogge. Oggi la pazienza è veramente una virtù nascosta e preziosa. Il tempo oggi si è raccolto in “tempo reale” e in “connessioni velocissime”, in subito. Tutto ciò che necessita di pazienza e di attesa ci costringe ad una pazienza spesso insopportabile e ci spinge verso logiche di lamentazioni, di rabbie, di delusioni, di rinunce; se non addirittura a delle scelte e realizzazioni di cose che annullino il tempo come attesa, come pazienza, come sacrificio. La pazienza è invece la nobiltà d’animo della paternità. Dio è paziente e misericordioso, lento all’ira e grande dell’amore. La pazienza, riflesso della paternità di Dio, è una virtù. È dimensione propria della carità, per questo è relazione. La pazienza, il saper attendere, è anche la spiritualità propria del discernimento della profezia del Battista che il Vangelo di oggi ci ha narrato.
Lungo queste riflessioni noi abbiamo già incontrato il riferimento 12 alla domanda del Battista, e ora se ne comprende pienamente il senso: le attese di Israele, la pazienza di Israele, riflesso della paternità di Dio, ora si consegnano al compiersi del tempo messianico, ai segni del regno di Dio, alla venuta del Messia. Il Figlio è il Messia. Ma il compiersi come Vangelo della gioia del Kerygma escatologico ci restituisce, nel paradosso della misura, il legame tra profezia e piccolezza, segno del legame paradossale della volontà di Dio tra cielo e terra: il Battista, il profeta nel deserto, è il più grande tra i nati di donna; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui! Il legame paradossale della volontà di Dio ci ha spinti fin qui in questo cammino escatologico dell’Avvento, posti nel fossato pasquale tra ciò che Dio promette e ciò che Dio stesso permette.
La virtù della pazienza, riflesso di paternità e relazione di carità, ci permette di abitare in quel “fossato”. Ci viene donato come segno la santità, fino al martirio, del Battista. Le sue misure di piccolezza, i lembi della sua povertà coincidevano con le misure e i lembi del regno di Dio. Mi piace ardire che qui il Risorto prega per il Battista, testimoniandolo come segno del compiersi del tempo messianico, allo stesso modo di quanto indicato prima ai suoi discepoli, lo consegna al Padre come buonafede, come obbedienza, come pazienza, come attesa, come speranza.
Lo consegna al Padre come riflesso della sua promessa, perché quanto in lui si sta per compiere come martirio, abbia il senso pasquale della risurrezione e del sacrificio, perché il suo ultimo respiro di profeta venga assunto e inverato dal respiro che poi il Risorto stesso dalla croce, chinato il capo, restituirà al Padre. Il paradosso pasquale del respiro filiale e profetico, il Vangelo della gioia e la consegna del martirio, come in cielo così in terra. Gesù è la nostra preghiera.
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NOTA: nel pdf è presente anche il sussidio in simboli CAA.