Il Signore si rivela ai piccoli. Non agli umili, ai piccoli, agli infanti, dice il testo, ossia a quelli che ancora non sanno parlare. Non devo fare tutto e subito io ma semplicemente cercare di corrispondere alla grazia che via via Dio mi dona. Accettando dunque la mia reale umanità, senza modelli astratti.
È Dio che mi porta, non sono io a fare. Io meramente farei, Lui entra e mi dà vita sempre nuova. Anche nella Chiesa è un dono e un cammino uscire dal moralismo, dal fare e venire condotti nella fede. Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio? Questa è l’opera di Dio (prima e più che degli uomini): credere in colui che egli ha mandato. È un cammino: non di rado la piccolezza è stata vista spiritualisticamente, una piccolezza delle intenzioni mentre la cultura intellettualista è troppo sviluppata per poter dare grande ascolto ad un piccolo.
Ma oggi per grazia possiamo intuire forse meglio che lo Spirito scende su ciascuno con delicatezza, a misura, non calpestando ma facendo fiorire l’umanità di ciascuno. Allora non un’anima disincarnata ma tutto l’uomo viene portato nel mistero e vede ogni cosa in modo sempre nuovo. Si sciolgono i nodi, si aprono nuovi orizzonti a tutto campo. È Dio che rinnova anche la cultura e lo può fare attraverso i piccoli non i meramente dotti e sapienti (dunque non bisogna mai impossessarsi della sapienza).
Preghiera del vespro.
La sera tu vieni sileziosa
come una pace segreta
tra il vento e la rosa.
Un raggio di luce rossa
ferisce per un solo istante
la siepe odorosa di gelsomini.
Qui nella campagna
tu parli confidenzialmente
come il marito e la sposa.
Come la mamma e il bimbo
che rotola sull’erba
senza farsi male.
E la mamma ride contenta
di questo gioco che
non le dà pensiero
ma solo infonde fiducia
in questo tempo di prova.
Poesiola tratta da Piccolo magnificat, un canto di tanti canti (poesie che un prete ha sentito cantare, inavvertitamente, dalla vita, dalla sua gente).
A cura di don Giampaolo Centofanti su il suo blog