d. Giampaolo Centofanti – Commento al Vangelo del 22 Novembre 2020

Come si concilia questa parola di Gesù che presa da sola può incutere profondo timore con la parabola del figliol prodigo dove appare l’amore tenerissimo del Padre? L’insegnamento di Gesù è ricco di sfumature e va meditato nel suo complesso. Esiste una giustizia divina ma non come la potrebbe intendere uno sguardo terreno.

Giustizia nei vangeli significa vita giusta, insomma vera. Quando andremo in cielo Dio aiuterà con delicatezza chi almeno ha accettato la sua misericordia senza limiti ad aprire il cuore alla fiducia, all’abbandono, in Lui e in Lui all’amore per i fratelli. Gradualmente dunque si scioglieranno le chiusure, le strutturazioni striminzite, tutta la nostra umanità rinascerà in Cristo.

E vedremo con quanto amore e con quanta pazienza Egli ci ha sostenuto, accompagnato, dato appuntamenti di grazia nella preghiera e nei fratelli. Orientandoci in un cammino ad amarli con crescente attenzione a tutta la loro vita, ai loro autentici, personalissimi, bisogni: avevo fame e mi avete dato da mangiare, non da bere vorrei dire.

Il paradiso non una cosa che ci viene messa in mano, è una vita. La parabola del figliol prodigo talora è stata letta forzandone moralisticamente l’interpretazione: il giovane si è pentito e perciò il Padre lo ha perdonato. Ma uno che si pente si direbbe addolorato di aver dimenticato il proprio padre non curandosi di Lui. Invece il ragazzo torna perché ha bisogno dell’aiuto paterno per sopravvivere. Il punto è che il Padre ora sa che il prodigo ora ha vissuto anche concretamente l’esperienza del fallimento del fare da solo.

È insomma pronto ad accogliere, certo con grande stupore, il dono di una grazia nuova e grande, piena di vita, che prima invece avrebbe follemente sottovalutato.


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