Il cammino della fede comporta un graduale venire condotti dalla sicurezze umane, anche buone, al sempre più profondo abbandono in Dio. Chiusi nella nostra mentalità, coi nostri personali obiettivi, non riusciamo a riconoscere e a godere dei doni che ci possono venire elargiti.
Ma quando non si tratta di pervicaci resistenze volontarie Cristo stesso ci guida, anche attraverso queste grazie apparentemente poco accolte, verso il sempre più profondo riconoscimento della sua viva presenza in noi. Un’esperienza che matura orientandoci a mettere in discussione persino Gesù, il nostro Gesù, nel Gesù autentico.
Non crearci fasulle certezze religiose, non trattenere il Cristo ma lasciarlo salire al Padre, ossia condurci in una fede che cresce di continuo. E proprio lasciandoci portare oltre le nostre certezze troviamo anche noi stessi, il nostro autentico nome, la nostra personalissima vocazione.
Si svela il senso sorprendente, vivificante, delle nostre attese liberate dai travisamenti di una mentalità ancora terrena. L’aprirci alla luce sfolgorante del venire di Gesù nella nostra esistenza.
Come l’estate
Neanche d’estate il cielo
si lascia imbrogliare a parlare.
Ma cadono stelle nel petto
la notte al primo assopire
-e non se ne vede una-
e cosa canta allora la luna?
E la macchia del sud dalle rocce
ed il mare a spergiurare…
Ma pungono ai vichi salmastri
gli aghi di pino e i fichi
provano male a fare gli indiani
e le ginestre, dal limitare,
sempre a guardare, come finestre.
Questa da noi è l’estate.
Questo per te è il dolore.
Bussano alle quieti scugnizzi
e fuggono via nascosti nel sole.
Anch’essi a risvegliare segreti.
Poesiola tratta da Piccolo magnificat, un canto di tanti canti (poesie che un prete ha sentito cantare, inavvertitamente, dalla vita, dalla sua gente).
A cura di don Giampaolo Centofanti su il suo blog