È lo Spirito che gradualmente, anche cominciando da piccole cose, ci conduce verso il costante vegliare sulla sempre nuova venuta di Gesù. Come quelle donne fin dalle prime luci dell’alba. L’umiltà da sola può divenire falsa modestia. Su questa scia sono centrato su me stesso, su come devo, in realtà , fare l’umile, apparire umile.
Lo Spirito aprendomi con delicatezza il cuore mi rende naturalmente umile, fiducioso nel suo amore capace di darmi vita sempre nuova, di rinnovare il mio cuore nel profondo. Le virtù senza la grazia, l’amore, possono diventare vuote apparenze. Lo Spirito mi conduce fuori del vecchio me stesso rivelandomi un Dio sempre nuovo e orirntandomi a pensare al vero bene degli altri. Gesù pur essendo Dio ha vissuto nascostamente per trenta anni e nella vita pubblica non ha imposto la sua realtà con la potenza. E quando si è in parte più visibilmente manifestato, come nella Trasfigurazione, non si è concesso un attimo di esaltazione.
Era sempre l’amore alla persona concreta a guidarlo. Né falsa modestia, né superomismo. Non apparenze esteriori di virtù ma fede, amore. Il terremoto indica tutto ciò. Pensiamo a queste donne formate da una mentalità millenaria, con le sue possibili strutturazioni. Eppure lo Spirito le ha portate oltre. Lo Spirito dona gradualmente un cuore sincero, sempre più disponibile a lasciarsi rinnovare nel profondo, lì dove agiscono le vere motivazioni.
Il cuore tenero, lo chiamerei. Che ha bisogno di sentirsi amato, compreso e gradualmente, con delicatezza, portato oltre strutturazioni, ferite, difese, in un nuovo, libero, respiro. Questo significa tornare in Galilea. Sempre tornare vissutamente, per grazia, alla vita di Gesù nei vangeli, fin dai suoi esordi. Perché la Parola di Cristo non è un concetto ma il mistero senza fine del suo amore meraviglioso, che fra tremila anni ancora gli uomini riscopriranno in modo più bello, con stupore.
Via lucis
Nella cineteca della memoria
prendo il film della tua storia
con sorpresa sempre nuova
di mille sfumature inavvertite.
E cercandoti mi scopro,
lì, sull’argine nebbioso,
a metà del primo tempo,
nell’ultima parola, non colta,
di quel canto, ai titoli di coda.
Poesiola tratta da Piccolo magnificat, un canto di tanti canti (poesie che un prete ha sentito cantare, inavvertitamente, dalla vita, dalla sua gente).
A cura di don Giampaolo Centofanti su il suo blog