d. Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 5 Settembre 2021

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Domenica scorsa Gesù ha diagnosticato un problema profondo nell’uomo, presente nel religioso come nell’ateo: l’ipocrisia. Con questa, la fede e la stessa vita, invece che essere spazio per la conoscenza di Dio e di sé stessi, diventano maschera dietro cui ci si nasconde a Dio e a sé stessi. I motivi sono tanti: vanità, paura, vantaggi, bisogno di controllare gli altri ecc. Un culto costruito sull’osservanza delle regole e della cura meticolosa dei riti esterni, ma non sulla “regola” dell’amore e della cura della propria interiorità.

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Un culto che allontana da Dio. Si vive “religiosamente” trascurando quel che Lui vuole per il piacere di osservare solo umane tradizioni, illudendosi di onorare in questo modo Dio. Apparire cristiani senza esserlo, è un rischio che corriamo tutti. Come superarlo? Lo stesso vangelo, ancora una volta, con la diagnosi offre anche la terapia.

Il cuore ipocrita è sostanzialmente un cuore duro, ottuso. È il cuore di una persona molto rigida nelle cose della fede come in tante altre. Generalmente si occupa di scovare ed evidenziare il male negli altri, riducendo la fede a un discorso morale. Come non riconoscere tutti, chi più chi meno, questa durezza in noi? Il percorso di guarigione del sordomuto ci fa capire come Dio lavori per guarirci in profondità dall’ipocrisia. Infatti, come per ogni miracolo, quello che vediamo fare a questo sordomuto è quello che il Signore vuole compiere in noi. I miracoli sono sempre segni di realtà più grandi, non lo dimentichiamo. Di cosa è segno la sordità e l’esser muti? E cosa significa guarire da essi? Una persona sordomuta è per definizione uno che non comunica correttamente in entrata e in uscita, uno che non può esprimersi bene, uno che fatica ad ascoltare/capire gli altri, è insomma qualcuno a cui non riesce spontaneo stabilire relazioni distese e belle. In senso spirituale, questo è precisamente ciò che genera l’ipocrisia.

Infatti, dire che siamo tutti duri di cuore, equivale a dire che siamo tutti, un po’ o tanto, sordomuti. Siamo sordi (oltre che ciechi) quando non sappiamo udire il grido “sordo” dei migranti che s’affacciano al nostro mondo in cerca di dignità e futuro. Siamo sordi quando continuiamo a rimandare l’impegno urgente di curare una natura che urla per gli abusi che stiamo perpetrando su di lei. Un padre o una madre possono essere sordi davanti ai molteplici segnali di un figlio che sta attraversando qualche problema. Anche un prete può essere sordo davanti a un’anima che, dietro certe parole o silenzi, cela la paura di parlare di sé su certi argomenti. Ma siamo anche muti quando per paura, convenienza o altro interesse, tacciamo invece che denunciare qualcosa che fa male. Siamo muti quando, invece che aprirci a glorificare Dio per il bene che qualcuno compie, rimaniamo in silenzio per non ammettere l’invidia che ci abita (cfr. Mc 3,5). Siamo muti quando ci chiudiamo in un orgoglioso sdegno davanti a qualcuno che ci chiede perdono per il male fatto. Potremmo continuare con altri numerosi esempi.

Nell’era imperante dei grandi mezzi di comunicazione dobbiamo ammettere che all’umana comunicazione spesso non giova la sua potenza. Perché per la Bibbia la comunicazione non è corretta nella misura in cui la scienza ne aumenti le sue possibilità, ma nella misura in cui si stabilisce una corretta relazione con Dio. Quando Adamo ed Eva avevano una buona relazione con il Signore, tra loro c’era armonia comunicativa. Quando infransero quella relazione, subito le cose tra loro si rovinarono in un’ipocrita accusa reciproca (cfr. Gen 3). Quando gli uomini progettarono di farsi una torre (la famosa Babele, cfr. Gen 11) per arrivare al Cielo senza consultare Colui che vi abita, la Bibbia racconta che, come prima conseguenza di un tale progetto, gli uomini non si capivano più gli uni gli altri. Basta dare uno sguardo a certi dibattiti televisivi per riconoscere lo stato di ipocrisia in cui vivono moltissime relazioni.

Gesù porta in disparte il sordomuto, lontano dalla folla (Mc 7,33). Questo il primo passo imprescindibile per guarire da ciò che indurisce e falsifica la vita, rendendoci difficili le relazioni. I gesti che compie successivamente, indicano il processo che il Signore avvia per liberarci da tutte le voci che impediscono di ascoltare la sua parola. Solo essa infatti è in grado di ristabilire in noi la giusta postura davanti a Dio e agli uomini. Solo una relazione in cui prima “si dà la parola” a Dio, ci dona di stabilire corrette relazioni con gli altri, perché ci fa parlare correttamente (Mc 7,35). Se la relazione verticale è buona e funziona bene, le relazioni orizzontali si armonizzano. Se no, l’uomo non abita più nella verità di sé stesso e diventa preda dell’ipocrisia, che è come dire della menzogna. Il vangelo di oggi invita dunque ciascuno a pesare la propria relazione con il Signore. Quello che Gesù fa gemendo (Mc 7,34), garantisce che il suo ardente desiderio è di farci rinascere a una vita autentica e bella, dove scopriamo che Dio fa solo del bene alla nostra vita (Mc 7,37).

Foto nel video di freestocks.org da Pexels

AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI