Una folla numerosa andava con Gesù (Lc 14,25). Una notizia così può subito sembrare solo positiva, auspicabile. Come nei giorni scorsi, quando ho visto radunarsi tantissima gente proveniente da tutto il mondo a Medjugorje, Bosnia-Herzegovina. In quel posto dove mi reco da tanti anni, mi chiedevo ancora una volta: ci andiamo tutti solo per Gesù e sua madre? Certo, guardando una sera più di 8000 persone assiepate in adorazione eucaristica, c’è da sperare. Ma è bene far risuonare alle nostre orecchie le prime parole del Signore di oggi, per ricordarci insieme che Egli non va a caccia di followers, né ha bisogno di avere un’espansione di influenza su questo mondo a tutti i costi. Questa caratteristica del Regno di Dio continua ad essere malintesa o addirittura respinta persino all’interno della chiesa. È sempre la stessa tentazione che si ripresenta in molte forme. A Gesù non sta a cuore quanti gli vanno dietro, ma chi è che gli va dietro. Gli preme che si formi bene la nostra identità cristiana, non il nostro numero. E dice a tutti: se uno viene a me e non mi ama più di…(Lc 14,26). C’è poco da interpretare. A chi gli va incontro, il Signore dice che solo se lo si ama perché è Dio, si può diventare suoi discepoli. Se qualche altro amore diventa più importante del suo, non ci siamo. Queste prime parole possono sembrare molto esigenti e probabilmente lo sono, io vorrei sottolineare solo 2-3 cose utili su di esse che faranno sentire maggiormente quanto ci giovano.
1) Sono parole che aiutano il discernimento sulla mia relazione con Gesù: mi rivolgo a Lui come il Dio della mia vita o come un guru da consultare ogni tanto, quando ne ho voglia o quando mi sento in affanno? La mia relazione con Lui è diventata il sole attorno a cui ruotano, come altri pianeti, le altre relazioni d’amore? Oppure il di più se lo becca mio padre, i miei fratelli, mia moglie, me stesso, gli amici, o i figli? Attenzione perché se il surplus d’amore non ce l’ha Lui, la dichiarazione che ne consegue è cristallina: non può essere mio discepolo (Lc 14,26b). E aggiungerei: vuol anche dire che si sta facendo di altri un dio, dunque un idolo. 2) Queste parole non ci sono dette perché Gesù vuol stabilire una competizione d’amore con gli altri, ma semplicemente per il nostro bene. Perché da noi stessi non possiamo veramente amare gli altri. Solo se il nostro amore si radica sulla relazione che coltiviamo con Lui, possiamo amare i nostri cari. Quasi tutte le confusioni a cui assistiamo ogni giorno, in nome dell’amore, discendono dal non riconoscere, consapevolmente o meno, questa legge. 3) Non può essere discepolo nemmeno chi pensa di poter diventarlo senza una croce da portare, cioè senza una fatica e una sofferenza costante da cui imparare, mentre si cammina dietro Gesù. Cosa assolutamente non scontata, esperti come siamo a metterci davanti a Lui e a volergli insegnare il suo mestiere! (cfr.Mt 16,22-23)
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Le parabolette che Gesù racconta dopo a sostegno delle prime parole, offrono gli adeguati settings per operare una scelta sulla domanda: voglio veramente diventare suo discepolo? O vado da Gesù perché cerco qualcos’altro? Magari me stesso, qualche benefit, la salute, ecc.ecc.? Notate che la prima parabola ci parla di costruzione, la seconda invece di strategia in battaglia. C’è qualcosa di generale sulla vita da apprendere per afferrare dove si gioca il discepolato e dunque una fede matura. La propria vita infatti è come un’opera da costruire (torre) nella quale ci sono da fare, a suo tempo, puntuali e accorte valutazioni per calcolare bene il margine di rischio. Ma è anche come una lunga campagna di guerra contro un nemico, all’interno della quale vanno fatte le stesse difficili valutazioni. Che cosa ci vuol dire Gesù? Che nell’andargli dietro bisogna pensarci bene. Bisogna pensar bene ai rischi che si corrono “nella” e alle conseguenze “della” sequela, per non incorrere in facili pretese ed illusorie attese. In entrambe le parabole c’è comunque una sorta di messaggio subliminale che le percorre. Come se il Signore invitasse a considerare bene la propria piccolezza e insufficienza davanti all’opera edile o bellica, proprio affinché nella vita si faccia leva su di Lui piuttosto che su di noi.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi non può essere mio discepolo (Lc 14,33). Tiriamo le somme sul versetto conclusivo. Se Gesù è arrivato a questa affermazione finale, significa che l’ostacolo maggiore al discepolato è innanzitutto la ricchezza. È un tema caro all’evangelista. Ma non è tutto. La rinuncia a tutti i propri averi di cui ci parla Gesù, più che indicare la ricchezza come ingente quantità di risorse, sembra indicare piuttosto l’invito alla libera rinuncia al verbo avere per abbracciare con gioia quello dell’amare: ricordate l’incontro con il giovane ricco? Si tratta di organizzare una vita sulla persona di Gesù e non su quello che si può possedere, poco o tanto che sia. Si tratta di fondarla sul nome di Gesù e non sul proprio nome. Il discepolo vero cerca e trova il “di più” della vita in Gesù, perché ha scoperto e compreso che noi stessi siamo sua opera da costruire con Lui. Poiché con Gesù, l’opera giungerà certamente a termine e la battaglia sicuramente porterà pace. Senza di Lui invece, si costruisce solo (sulla sabbia) una torre verso il cielo, senza arrivare da nessuna parte (cfr. Gen 11,1-9 e Mt 7,26-27).
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI