Domenica scorsa la Parola di Dio ricordava la necessità della preghiera insistente, perseverante, per una vita autentica nella fede. Il messaggio che ci offre oggi riguarda invece il “come” pregare, cioè con quale assetto del cuore presentarsi al Signore affinché la preghiera non cada nel vuoto.
Perché anche oggi si può andare al tempio con disposizioni ambigue. L’identità dei due personaggi del vangelo la dice già abbastanza lunga su chi corre il rischio maggiore. Il pubblicano è figura abbondantemente disprezzata in Israele, un peccatore per antonomasia nei vangeli; mentre il fariseo, nello stesso popolo, è persona religiosa per eccellenza. Il primo implicito messaggio allora, è già tutto qui: rischia di più chi si vuole impegnare in un cammino spirituale.
Dunque badare bene che nel proprio cuore non nasca e non cresca l’intima presunzione di essere giusti disprezzando gli altri (Lc 18,9). La parabola è per tutti, ma soprattutto per i credenti.
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La postura del fariseo nella preghiera è quella di un uomo che sta in piedi. In sé, potrebbe essere un buon atteggiamento. Stare in piedi potrebbe indicare prontezza nell’ascolto, nell’obbedienza e nel servizio. Solo che il contenuto della preghiera smaschera un assetto del cuore totalmente incompatibile ad entrare in relazione con Dio. È l’assetto di chi fonda la sua pseudo-fede sulle proprie opere, le opere della Legge (Lc 18,12), e sul moralistico confronto con gli altri.
È la rivelazione di una persona tutta concentrata a mantenere una buona reputazione davanti a sé e a Dio, come se Dio fosse qualcuno che chiede prima di tutto questa qualità della vita. È indizio di una vita preoccupata a distinguersi dagli altri, protesa sempre alla ricerca di un successo. Tipico di tutte le persone che, per affermarsi, hanno sempre bisogno di disprezzare/distruggere la fama altrui. Personalità autosufficienti, ma in realtà inconsistenti: sono quelli che, come si dice, “cadono sempre in piedi” proprio perché godono della caduta degli altri invece che averne compassione.
Il colmo di questa equivoca postura sta poi nel fatto che il fariseo ringrazia Dio per tutto questo (Lc 18,11). Come se Dio potesse averne una qualche soddisfazione dalla sua preghiera, perché a tale vita lo chiamerebbe. In realtà, chi pregasse come il fariseo, è incentrato su una falsa immagine di Dio. La sua preghiera è sintomo di una vita solitaria e illusoria, cioè di uno che non incontra Dio ma solo sé stesso. Uno che parla solo con la proiezione del proprio triste io.
Non così il pubblicano, il quale conferma, nella postura e nel contenuto della sua preghiera, che davvero il Signore Gesù non è venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori; e che non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Infatti, spicca subito tra le 2 preghiere che l’una (del fariseo), suppone un (falso) bisogno che Dio avrebbe delle opere dell’uomo e di una moralità superiore che faccia emergere sugli altri; mentre l’altra (del pubblicano), suppone un (vero) bisogno dell’opera di Dio da parte dell’uomo, ovvero della sua Misericordia. Da notare il suo fermarsi a distanza, il non osare alzare gli occhi al cielo e il suo battersi il petto mentre proferisce poche e semplici parole: oh Dio, abbi pietà di me peccatore (Lc 18,13). Il pubblicano manifesta l’assetto fondamentale di ogni autentica preghiera: quello che identifica subito chi è Dio e chi siamo noi, il puntare il dito su di noi e non su di Lui, il bisogno di salvezza che noi abbiamo di Dio e non Lui di noi.
Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato (Lc 18,14). Cioè, il pubblicano torna a casa reso giusto da Dio nella sua preghiera, il fariseo invece vi torna non giustificato, perché si giustificava da solo nella sua preghiera. Cosa aggiungere? Davvero se la nostra giustizia non supererà quella degli di scribi e dei farisei, non entreremo nel regno dei cieli (cfr. Mt 5,26). Solo la giustizia divina, che è la sua Misericordia, superiore a quella umana, può rendere giusto l’uomo.
È questa l’opera di Dio compiuta sulla croce da Gesù Cristo. La giustizia umana infatti, è di sua natura “ingiusta”. Oltre a farci prendere spesso delle cantonate, tende a farci autoesaltare, come accade al fariseo, e può portare al delirio di una vita fuori dalla realtà. Conosco un uomo in pensione che vive una vita simile. Strenuamente convinto di essere integerrimo praticante nella chiesa di Dio, si è allontanato poco a poco dalla comunità cristiana, creandosi dentro e fuori casa una piccola succursale con tanto di effigi cristiane. Scrive lettere minacciose a preti (tra cui il sottoscritto) e vive isolato da tutti.
E conosco anche una umile donna che vive in una sperduta frazione del basso Veneto, la cui preghiera è diventata talmente una sola cosa con la sua persona, che tanti si ritrovano a cercarla per essere ascoltati e raccomandarsi alla sua intercessione. Nella vita, prima o poi, trovi sempre confermata la parola del vangelo, ma te ne accorgi solo se la tua preghiera sta diventando come quella del pubblicano.
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI