Il Pastore insegna a vivere
Chi sono i pastori identificati da Geremia nella 1a lettura come quelli che disperdono, fanno perire, scacciano le pecore del Signore? (Ger 23,1-2) Sono coloro che prima di tutto, come afferma il profeta, non se ne preoccupano. Cioè non hanno a cuore la loro vita perché qualcos’altro gli sta più a cuore. E se c’è qualcos’altro che gli sta più a cuore, vuol dire che la loro vita sta perdendo quella capacità di attrarre a Dio, perché non stanno seguendo Dio come loro pastore. Infatti, l’unico pastore di tutti è il Signore stesso. Se i chiamati ad essere pastori nel popolo di Dio non coltivano la loro relazione con Lui per esserne guidati, prima o poi questo lo si toccherà con mano nella relazione che hanno con le pecore. Invece di portare queste alla fonte della loro vita, cioè al Signore, invece di unirle suscitando sempre maggior fiducia in Lui, le disperdono: ovvero, quando non giungono persino a scacciarle, ne abbassano le difese verso i pericoli che le attorniano. E così le pecore rischiano di perdere l’unico punto di riferimento indispensabile alla loro vita: Dio.
Generalmente questi fratelli trasmettono un’immagine falsa di Dio perché a loro volta la portano dentro di sé. Qui sta la radice del problema. Nelle relazioni sono sempre piuttosto calcolatori, guardinghi e permalosi, malgrado i sorrisi di circostanza. Anche se ortodossi nel parlare di cose di fede, nelle relazioni non se ne ha riscontro: non si avverte empatia, nel peggior dei casi c’è vera e propria anaffettività. Generano sgomento e angoscia nelle delicate situazioni umane da affrontare, invece di aiutare a scioglierle e umanizzarle. Si rifugiano facilmente nelle norme e nei riti. A messa un sacerdote sta leggendo il vangelo. Il chierichetto che gli sta accanto con la candela stramazza a terra. Il prete si ferma, lo guarda per qualche istante e poi prosegue la sua lettura. Siccome nel presbiterio nessuno soccorre il bimbo, lo fa un uomo presente nell’assemblea. Quell’uomo mi raccontò il fatto non indignato, ma arrabbiato. “Dimmi adesso: – mi chiese alla fine – quello è un prete?”
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Radunerò io stesso il resto delle mie pecore (Ger 23,3): meno male che il Signore ci mette sempre una pezza. Lui non è quel Dio che tanti pastori fanno immaginare che sia. Il salmo 22 riecheggia con dettagli la profezia di Geremia. Il Signore è l’unico vero pastore perché non fa paura alle pecore, ma le conduce a una vita piena. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dice: io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza (Gv 10,10). Gesù è quel germoglio di cui parla Geremia alla fine della sua profezia. Nella sua umanità vediamo risplendere cosa significhi che Dio è il pastore del suo popolo. Nel vangelo di oggi Marco va alle radici del suo essere. Gesù ascolta volentieri i suoi discepoli tornati dalla 1a missione. Gode del bene che essi hanno seminato in parole ed opere. Si prende cura anche della loro necessità di riposare. Attorno a loro vi era un gran movimento di gente, Gesù sceglie accuratamente il luogo desertico dove dirigersi insieme ai suoi. Ma molti vengono a saperlo e li precedono giungendo sul posto. Appena sceso dalla barca il Signore viene attraversato da un fremito preciso: egli vide una grande folla ed ebbe compassione di loro perché erano come pecore che non hanno pastore (Mc 6,34).
La compassione è il tratto distintivo del pastore secondo il cuore di Dio. Se manca questa capacità, manca tutto. L’amore porta per sua natura a farsi carico della sofferenza altrui, così come a condividerne la gioia. È interessante osservare la motivazione della compassione per la folla che gli sta davanti: non hanno pastore. Cioè non hanno il necessario punto di riferimento per scoprirsi e sentirsi amati nella bellezza della propria vita. Pensando a noi uomini smarriti di oggi che abbiamo demolito tutte le alleanze e perso ogni punto di riferimento, rimanendo prede di grande sfiducia e molteplici paure, è consolante sapere come ci guarda Gesù. Ha compassione dello smarrimento generale in cui viviamo, sa che abbiamo bisogno di Lui ma, come amore autentico chiede, non si impone, non colpevolizza gli uomini. Si offre ancora a noi per insegnarci molte cose sulla vita. Bisogna solo verificare se abbiamo ancora voglia che Dio ci insegni a vivere. Ci converrebbe, se non vogliamo continuare a impoverirci in umanità.
AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI