d. Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 13 Novembre 2022

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L’uomo ha un irresistibile fascino per il passato. La recente scoperta di 24 statue etrusche da parte di alcuni ricercatori universitari a San Casciano dei Bagni, è andata oltre la ribalta nazionale e sta facendo il giro del mondo per la sua importanza. È un fascino molto simile a quello che prese alcuni che si trovavano con Gesù nel Tempio di Gerusalemme ad ammirare belle pietre e doni votivi posti a perdurante memoria della bellezza dell’opera umana. L’uomo vuol lasciare memoria di sé stesso, non sopporta di essere sopraffatto dalla storia. Ed ecco il fascino per ciò che riemerge dal passato. Il commento di Gesù sembra spegnere un po’ questo incanto. Il suo annuncio di distruzione di quanto i suoi uditori ammirano non va però interpretato come disprezzo di quanto l’uomo realizza (Lc 21,6), ma invito a non restringere l’orizzonte della propria vita all’opera umana. Gesù è venuto per parlarci “del” e portarci “nel” futuro, non nel passato.

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Le domande dei presenti rivelano una popolare credenza circa l’imminenza della fine del mondo. Del resto Luca scrive il suo vangelo a una generazione di cristiani provenienti dal paganesimo che cominciano a soffrire le prime persecuzioni e che vanno incoraggiati e educati ad una corretta attesa della fine di tutte le cose (Lc 21,7). Gesù invita i suoi uditori e noi lettori a non concentrare la nostra attenzione su tutti quelli che riportano date puntuali sulla fine del mondo, né a farsi ingannare soprattutto da coloro che si fanno suoi portavoce (Lc 21,8). E nemmeno il rumore di guerre e sconvolgimenti attuali devono atterrire chi si fida del Signore e lo sta seguendo, perché si tratta di vicende storiche che sono sempre accadute ma non significano la fine imminente del mondo (Lc 21,9). Anzi, Egli annuncia ulteriori conflitti e fenomeni disastrosi sulla terra, come pure fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo (Lc 21,10-11). L’annuncio sembrerebbe subito contraddire l’invito precedente, e invece prelude alle importantissime parole che consegna a chi vuol essere suo discepolo.

La vita vera infatti, per il credente, si gioca ad un altro livello. Meditando la pagina evangelica di oggi, potremmo dire, con il titolo di un’opera del grande teologo D.Bonhoeffer, che la vita vera, la vita che si salva, è “resistenza e resa”. “Resistenza”, poiché nel suo cammino, se veramente sta seguendo il suo maestro, il discepolo prima o poi si imbatterà nell’odio del mondo a causa del suo amore per il nome di Gesù (Lc 21,12 e 17). Allora tradimenti, violenza, detenzioni e persecuzioni, non saranno altro che la necessaria certificazione di autenticità della sua fede e lo spazio in cui perseverare in essa (Lc 21,19).

“Resa”, perché il credente in quelle drammatiche circostanze, sarà chiamato a dare testimonianza nella consegna della propria vita al suo destino. Per alcuni sarà l’esperienza di andare incontro al Signore nella morte, dopo averne sperimentato la fedele presenza che soccorre nella debolezza con parola e sapienza donate direttamente da Lui (Lc 21,15). A Bonhoeffer toccò esattamente questo destino: morto impiccato nel campo di concentramento di Flossenburg per la sua strenua opposizione al nazismo.

Il lettore attento del vangelo si sarà accorto che il Signore Gesù predice le dolorose esperienze di condivisione della sua croce con verbi quasi tutti coniugati al futuro (Lc 21,12-19). Non sono parole generatrici di ansia o preoccupazione per il futuro. Sono piuttosto parole infuocate che spingono i credenti a coinvolgersi pienamente nel proprio presente, a non sottrarsi alle sfide del proprio tempo. È infatti all’interno del proprio presente che ci si prepara ad affrontare le prove future. È nel presente vissuto appassionatamente che il cristiano fa crescere la propria testimonianza fino ad esser pronto ad affrontare violenza, tradimenti, prigioni, persecuzioni e perfino la morte. Le sofferenze, per quanto abbondanti, non abbatteranno mai chi persevera e si affida al Signore. I 7 monaci martiri della trappa di Tibhirine (Algeria), furono avvertiti nel 1996 del grave pericolo che correvano rimanendo nel loro monastero.

Ma, dopo una brevissima riflessione, decisero di rimanervi. Sembrava loro assurdo, dopo una così lunga permanenza in Algeria, lasciare quel posto solo a motivo del pericolo di morte. La fede nel proprio futuro in Dio, per essi poteva venire smentita, se non si fosse incardinata bene nel presente. Come scrisse poco prima di morire, nell’incipit del suo testamento, il loro priore, padre Christian De Chergè: “se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei solo che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era già “donata” a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che essi pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato…” 

Dio è il futuro del credente, nascosto nel presente. Perché ecco, il regno di Dio è qui in mezzo a voi (Lc 17,21).  


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI