d. Giacomo Falco Brini – Commento al Vangelo di domenica 10 Luglio 2022

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QUELLA “E” CHE CONGIUNGE L’UOMO A DIO

Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è al di là del mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica». Così si esprime Mosè parlando al popolo circa il comandamento che sta al centro di tutta la legge (1a lettura).

Avrete fatto caso che le parole finali sembrano voler assicurare una certa facilità nell’obbedirgli e praticarlo. Eppure nella realtà non è così. Quel che capita al dottore della legge che interroga due volte Gesù, è la prova lampante. Dove sta l’inghippo? Certamente in primis nell’approccio del dottore che è sbagliato. Se tu vuoi mettere alla prova Gesù nel far le tue domande, sei in posizione già equivoca (Lc 10,25). Il che significa che non sempre le nostre domande sono innocenti. Il Signore coglie l’occasione per spiegare bene dove sta l’inghippo e, indirettamente, perché Mosè si espresse in quel modo.

La legge dice chiaramente che il comando di convertire il proprio cuore a Dio per amarlo con tutto se stessi, non può essere disgiunto dall’amare la sua immagine in terra: l’uomo. Del resto, controinterrogato da Gesù, lo stesso dottore gli risponde così (Lc 10,27). Ma noi siamo sempre abilissimi a eludere o piegare il comando alle nostre esigenze, anziché piegare il nostro cuore alle sue. Questo lo si vede bene nella 2a domanda rivolta al Signore (Lc 10,29). Mentre l’uomo vorrebbe ridurre il raggio delle persone da amare, più o meno secondo i propri capricci, Dio comanda di amare Lui guardando in ogni uomo il suo volto, soprattutto in quello deturpato dal male e abbandonato da tutti.

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Ecco la celebre parabola raccontata per rettificare il dotto interlocutore. Il problema dell’uomo sta in quella congiunzione “e”: Dio ha detto di amare Lui “e” il prossimo come se stessi. Perciò Mosè dice che questa parola è alla portata di tutti e non occorre andare a cercare di praticarla in cielo o al di là del mare. Chi ama l’uomo, ama veramente Dio. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede (1Gv 4,20). L’amore è vicino ed avvicina.

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Il dito di Gesù entra discretamente nella piaga di ogni religione che relativizza, per le proprie esigenze, il comando divino. Se i primi a passare davanti all’uomo mezzo morto per le percosse sono un sacerdote e un levita che procedono oltre, vorrà dire pure qualcosa. Oserei dire che un suggerimento per guarire dalla piaga del clericalismo venga proprio dalla parabola, quando vediamo che il levita si comporta esattamente come il sacerdote. Andiamo a riformare profondamente la formazione del clero, lì colpiremo al cuore il clericalismo. E poi c’è da riflettere tanto sulla svolta del racconto: invece un samaritano che era in viaggio (Lc 10,33).

Intanto, per il solo fatto che era un samaritano. Simbolo di ogni uomo che non si muove dentro una fede ufficiale e che generalmente è guardato con sospetto. Le lezioni d’amore spesso provengono da persone così. Poi, che fosse in viaggio lo colloca perlomeno nella stessa difficoltà dei due chierici, se non di più. Di sicuro gli altri due avranno avuto cose più importanti da fare, secondo il loro ragionamento “molto” religioso e autogiustificante. Che però a loro non fa vedere un bel niente nell’uomo per terra. La differenza sta tutta qui: il samaritano vede quello che gli altri due non vedono, cioè la cosa più importante e più religiosa da fare. E anche qui, troviamo protagonista una “e” congiunzione, che rende simultaneo il vedere e il sentire compassione (Lc 10,32). Infatti, chi ama è compassionevole. E chi ha compassione vede bene dove va amato Dio e dove Egli si sente amato.

Se quanto detto è vero, c’è da fare un esame profondo di coscienza personale e comunitario. Vedere tanti italiani e altri popoli europei che accolgono nuclei di famiglie ucraine fa bene al cuore; ma non fa altrettanto bene quando vediamo che non ci si comporta ugualmente con africani, asiatici o musulmani. Siamo molto lontani dal vangelo quando agiamo così, urge una conversione sincera. Notate infine la impressionante sequenza verbale dell’azione del samaritano, in un unico versetto, il n. 34: si fece vicino…fasciò le ferite…versò acqua e vino…lo caricò…lo portò…si prese cura di lui. L’amore, quando è autentico, è creativo e crescente, è sempre personalizzante e ti fa portare il peso dell’altro.

E ti porta a coinvolgere sempre altri nell’onda che parte dalla sua compassione (Lc 10,35). Il vangelo finisce con la geniale domanda che ribalta la domanda iniziale del dottore, abilitandolo a rispondere correttamente: chi ha avuto compassione di lui (Lc 10,37). Se uno vuol entrare nella vita eterna, cioè amare Dio, ha questa vita fragile e insicura per parlare ed agire compassionevolmente con l’uomo. Come ha fatto Gesù. Altrimenti si imbroglia e diventa un imbroglione. Avrà fatto così anche il dottore della legge? 

 


AUTORE: d. Giacomo Falco Brini
FONTE: PREDICATELO SUI TETTI