Cari bambini e ragazzi, bambine e ragazze, ben trovati a tutti e a tutte.
Questa nuova domenica è la seconda di Avvento e tra due settimane vivremo il Natale. Ma cosa significa festeggiare il Natale? Solo scartare i regali? Ovviamente no! Natale è molto di più: è la possibilità di cambiare completamente la prospettiva della nostra vita.
Le letture di questa domenica risuonano come una squillo di tromba: sono una chiamata all’attenzione, allo stare all’erta, all’essere pronti. Ma andiamo per ordine, perché i significati sono tantissimi e uno è più prezioso dell’altro.
Oggi vorrei prendere alcune parti più importanti di ogni brano e analizzarle passo passo perché è veramente una ricchezza inestimabile il messaggio che la chiesa oggi vuole darci. Cominciamo dalla Prima Lettura, Isaia dice: “parlate al cuore di Gerusalemme”. Parlare al cuore significa parlare al centro della sofferenza, nella parte più intima, lì dove risiede l’affettività e il bisogno di amore. Cioè Gesù non vuole fermarsi sulla superficie ma vuole andare oltre, nell’anima della nostra esistenza, vuole andare a curare l’essenziale, ciò che ogni mattina ci spinge ad alzarci.
È come quando abbiamo la cameretta piena di giochi o l’armadio pieno di abiti ma ci viene detto: “hai tutto, perché sei triste?” Perché avere tutto non vuol dire avere l’essenziale: gli oggetti non possono colmare la necessità di amore. Gesù vuole colmare quel vuoto che a volte è presente in noi, quella necessità che caratterizza ogni essere umano in modo diverso a seconda del momento della sua vita. La Lettura prosegue dicendo di “gridare con forza”. Chi è che grida con forza? Una persona che ha una certezza assoluta.
Si grida con forza, cioè quasi oltre la propria capacità provandoci a volte anche dolore alla gola, quando la propria squadra segna un gol o quando, meglio ancora, la partita è già vinta. Ma questo è un annuncio: qui si dice “guardate che sta per arrivare qualcosa di importante!” Sì, gridate con forza perché l’annuncio stesso è la salvezza, l’annuncio stesso è la vittoria. È come se, al fischio d’inizio, l’arbitro avesse già deciso chi ha vinto.
Anche nel nostro caso parliamo di “premio” perché vinciamo sempre noi, o meglio: è Dio che vince, ma quando Dio vince il premio lo prendiamo noi. Ancora Isaia prosegue spiegando chi è questo salvatore, come si comporta, e dice “porta gli agnellini sul petto” cioè porta sul petto, vicino al suo cuore chi ama profondamente: colui che è più fragile. Siamo abituati ad aver paura della nostra fragilità, a ritenerla una condanna, qualcosa che ci lascia indietro. Eppure, con Gesù, chi è più fragile è più fortunato perché sta più vicino al suo cuore. Il profeta prosegue dicendo: “conduce dolcemente le pecore madri”.
Chi sono in questo caso le pecore madri? Chi è la madre? la madre è colei che ha il compito di curare e custodire la vita, quindi condurre dolcemente una madre significa condurre dolcemente qualcuno che ha il compito di essere la guida di qualcun altro. Dio vuole che chi ha il compito di curare più piccoli (un padre; un insegnante, su sacerdote, un catechista) prendano esempio direttamente da Lui. Ma assolvere questo compito è molto pesante e allora Dio conduce dolcemente, cioè sostiene coloro i quali devono prendersi cura dei più piccoli.
Nella Seconda Lettura San Pietro ci rivela una verità troppo spesso scomoda e cioè che nostri tempi non sono quelli di Dio. Infatti l’apostolo dice che “il Signore non tarda a compiere la sua promessa”. Allora, com’è possibile che molto spesso pensiamo di essere abbandonati da Dio? Il fatto è che lui ha tempi e modalità differenti da quelli che pensiamo noi.
La dinamica, però, nella quale dobbiamo entrare è che è possibile solo attraverso la fede che Dio non dimentica mai di fare una storia con noi, ma proprio quando pensiamo che Lui sia lontano, è lì che sta agendo più delle altre volte. E soprattutto non dobbiamo dimenticare che quella che noi chiamiamo “sofferenza”, dura un tempo.
Cioè Dio non ci vuole umiliare o mortificare, ma tutto ha un significato se nella nostra vita non ci fossero la sofferenza l’incomprensione e, perché no, le arrabbiature allora non potremmo sperimentare concretamente che veramente il Signore può tutto, che la sua misericordia è infinita. Nel tempo di attesa la forza che ci permette di essere pazienti e di persistere nella fede, viene proprio da Dio. Cioè, Dio non ci dà solo la salvezza, ma ci dà anche il mezzo per raggiungerlo. Ciò significa che siamo già salvi che siamo nella gloria di Dio già da ora.
È come quando facciamo un viaggio con un mezzo di trasporto privato, per esempio la nostra macchina: anche se siamo in movimento, la nostra auto è qualcosa che ci appartiene e un luogo dove possiamo vivere una sorta di nostra intimità, anche se non siamo già fisicamente a casa, o in qualche modo ci riteniamo a nostro agio perché ci sentiamo in un luogo sicuro. Questo si sperimenta quando, nonostante una difficoltà oggettiva e grande, si resta comunque, stranamente e irrazionalmente, felici e sereni perché si riconosce anche in quel momento che Cristo è con noi e ci sta mostrando tutto il suo amore.
Siamo ora giunti al Vangelo, che è il prologo di Marco, quindi per sua natura, densissimo di significati. Marco racconta l’annuncio di Giovanni Battista. Tutti noi nella vita abbiamo un Giovanni Battista: qualcuno che ci dice che è possibile un’esistenza illuminata dalla gioia dell’amore di Cristo. Primo tra tutti questi annunciatori è proprio la Chiesa.
Come abbiamo fatto un per le altre Letture, adesso andiamo a vedere alcuni termini particolari. Innanzitutto l’Evangelista racconta che le persone “accorrevano”, andavano di corsa verso Giovanni cioè avevano una cosiddetta “santa fretta”: avevano capito che stava per accadere qualcosa di straordinario e non hanno messo scuse per non muoversi, ma con coraggio si sono buttati in questa novità.
Il Battista chiama ha un pentimento. il fatto di doverci pentire e confessare i peccati non è un’umiliazione o una mortificazione, ma è un mettere nelle mani di Dio le nostre debolezze affinché Lui le possa riempire di sé. Il fatto che Giovanni battezzi nel Giordano non è casuale: questo fiume, infatti, per Israele è importantissimo perché rappresenta l’entrata nella Terra Promessa, quindi la fine definitiva della schiavitù e degli anni nel deserto, per iniziare un tempo di libertà.
Giovanni Battista ammette che ci sarà un altro dopo di lui al quale lui non è “neanche degno di slacciare i sandali” cioè non è degno neanche fargli da schiavo. Con questa espressione Giovanni sta lasciando il posto a qualcuno di più grande di lui: Gesù. Secondo il Battista, Egli “battezzerà in Spirito Santo”. Questa è un’espressione molto complessa, che richiama non solo alla vita eterna ma alla possibilità di vivere un’intima, profondissima e indissolubile comunione con Dio. Cioè Giovanni ci sta dicendo che Dio ci ama a tal punto da donarci Suo Figlio, affinché noi possiamo essere intimamente vicini al Padre.
Nella speranza di esservi stata di aiuto, vi auguro una buona preparazione al Natale.
AUTORE: Cristina Pettinari
FONTE: Omelie.org
SITO WEB: https://www.omelie.org