TORRE: Fino a quando il mondo sarà bloccato?
Forse è la domanda che tutti ci stiamo ponendo in questi giorni. Ormai sono tre settimane che stiamo rintanati nelle nostre abitazioni; come dei “prigionieri” anche noi lamentiamo: «Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi? Fino a quando mi nasconderai il tuo volto? Fino a quando nell’anima mia addenserò pensieri, tristezza nel mio cuore tutto il giorno?» (Salmo 12).
Tante le riflessioni che la nostra mente sta partorendo; diverse le domande che interpellano la nostra vita!
Più che una tempesta, mi sembra di vivere l’esperienza della Torre. Nella Sacra Scrittura essa assume diversi significati, la più famosa è certamente la Torre di Babele: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo, e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra» (Gn 11,4). La Torre, oltre a simboleggiare la superbia dell’uomo, è figura di congiunzione tra la dimensione divina e celeste, tra quella umana e terrestre, una sorta di portale tra Dio e l’uomo.
Non sono queste le realtà che stiamo vivendo?
La “reclusione” di questi giorni ci fa comprendere che forse, troppo spesso, abbiamo giocato a fare i superuomini; che «siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato» (Papa Francesco).
Come a Babele, anche noi abbiamo costruito le nostre fortezze! Ma solo ora, grazie a questa prigionia, che «smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità», possiamo comprendere «che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è» (Papa Francesco).
La torre è il luogo della scelta, così come lo è questo tempo di prova: «Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine?» (Lc 14, 29).
Cari amici è il tempo di sedersi e prendere in mano la propria vita.
È il tempo di riconoscersi torre! Tempo per entrare nelle nostre fortezze e riconoscere lì la presenza di Dio: «Per me sei diventato un rifugio, una torre fortificata davanti al nemico» (Salmo 61).
Come Santa Teresa d’Avila anche noi dobbiamo entrare nel nostro cuore e «considerare la nostra anima come un castello fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni [stanze in successione sempre più interne], come molte ve ne sono in cielo» (Teresa d’Avila). È il tempo di andare al cuore della nostra vita e riscoprirsi piccoli. È il tempo di riconoscere che «il nostro intelletto, per acuto che sia, non arriverà mai a comprenderla, come non potrà mai comprendere Iddio, alla cui immagine e somiglianza noi siamo stati creati. Se ciò è vero – e non se ne può dubitare – è inutile che ci stanchiamo nel voler comprendere la bellezza del castello. Tuttavia, per avere un’idea della sua eccellenza e dignità, basta pensare che Dio dice di averlo fatto a sua immagine, benché tra il castello e Dio vi sia sempre la differenza di Creatore e creatura, essendo anche l’anima una creatura» (Teresa d’Avila).
Riscopriamoci come una torre, non per arrivare in cielo ma per saper pregare: «Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore, mio Dio, mia rupe, in cui mi rifugio; mio scudo, mia potente salvezza e mio baluardo» (Salmo 18).
A cura di don Bartolomeo de Filippis – Su Facebook
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