Alle ore 11.30 di questa mattina, nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, ha luogo la conferenza stampa di presentazione di un nuovo Documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo dal titolo “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11,29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche in occasione del 50º Anniversario di Nostra aetate (n. 4).
Intervengono l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente della Commissione per i rapporti religiosi con l’Ebraismo; P. Norbert Hofmann, S.D.B., Segretario della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo; Rabbi David Rosen, International Director of Interreligious Affairs, American Jewish Committee (AJC), Jerusalem (Israel) e il Dr. Edward Kessler, Founder Director of the Woolf Institute, Cambridge (United Kingdom).
Ne pubblichiamo di seguito gli interventi:
Intervento del Card. Kurt Koch
Mercoledì 28 ottobre di quest’anno, secondo il desiderio di Papa Francesco, è stata organizzata un’udienza generale del tutto speciale, perché nello stesso giorno, cinquant’anni prima, veniva promulgata la Dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano Secondo. A tale udienza hanno assistito anche numerosi rappresentanti di altre religioni. La loro presenza si spiega per il fatto che il testo conciliare ha segnato una svolta nell’atteggiamento della Chiesa cattolica verso le altre religioni e va dunque inteso come un plaidoyer a favore del dialogo interreligioso. La celebrazione del 50º anniversario di “Nostra aetate” ha avuto luogo dal 26 al 28 ottobre scorso, con una grande conferenza internazionale presso la Pontificia Università Gregoriana. Le oltre quattrocento persone ivi presenti hanno poi assistito all’udienza papale del 28 ottobre, che ha dunque rappresentato il culmine della commemorazione. In tale occasione, il Santo Padre ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso e della collaborazione tra le varie religioni davanti ai gravi problemi ed alle grandi sfide del tempo presente: “Il mondo guarda a noi credenti, ci esorta a collaborare tra di noi e con gli uomini e le donne di buona volontà che non professano alcuna religione, ci richiede risposte effettive su numerosi temi: la pace, la fame, la miseria che affligge milioni di persone, la crisi ambientale, la violenza, in particolare quella commessa in nome della religione, la corruzione, il degrado morale, le crisi della famiglia, dell’economia, della finanza, e soprattutto della speranza”.
Per la Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, la ricorrenza di questo anniversario è una buona occasione per presentare un nuovo documento, che riprende i principi teologici del quarto punto di “Nostra aetate”, li amplia e li approfondisce, laddove essi interessano le relazioni tra la Chiesa cattolica e l’ebraismo. Se è vero che, nel corso della storia della Chiesa, non sono mancate dichiarazioni ufficiali in merito all’ebraismo o alla convivenza tra cattolici ed ebrei, è altrettanto vero che “Nostra aetate” (n. 4) presenta, per la prima volta, la decisa posizione teologica di un Concilio nei confronti dell’ebraismo. La dichiarazione ricorda espressamente le radici ebraiche del cristianesimo. Gesù e i suoi primi discepoli erano ebrei, segnati dalla tradizione ebraica del loro tempo; solo in tale contesto è dunque possibile comprenderli correttamente.
Il documento che oggi desidero presentare s’intitola “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili. Riflessioni su questioni teologiche attinenti alle relazioni cattolico-ebraiche”. Si tratta di un documento esplicitamente teologico, che intende riprendere e chiarire le questioni che sono affiorate negli ultimi decenni nel dialogo ebraico-cattolico. Prima di questo testo, nessun altro documento di stampo teologico in senso stretto era stato pubblicato dalla nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. I tre documenti precedenti riguardavano piuttosto tematiche concrete, utili al dialogo con l’ebraismo da un punto di vista essenzialmente pratico.
[ads2]Accennando brevemente alla storia della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, desidero ricordare che essa fu istituita dal beato Papa Paolo VI il 22 ottobre del 1974. L’anno stesso della sua fondazione, la Commissione della Santa Sede pubblicò, il 1° dicembre 1974, il suo primo documento ufficiale, intitolato “Orientamenti e Suggerimenti per l’Applicazione della Dichiarazione Conciliare Nostra aetate (n. 4)”. L’obiettivo principale ed innovatore di questo documento era quello di avvicinarsi all’ebraismo per conoscerlo nel modo in cui esso si auto-concepisce. Il documento intendeva principalmente occuparsi del modo in cui “Nostra aetate” (n. 4) può essere tradotta nella pratica adeguatamente, nei diversi contesti. A distanza di undici anni, il 24 giugno 1985, la Commissione della Santa Sede ha pubblicato un secondo documento intitolato “Circa una corretta presentazione degli Ebrei e dell’Ebraismo nella Predicazione e nella Catechesi della Chiesa cattolica”. Seppure il testo sia già connotato esegeticamente e teologicamente, esso ha uno stampo prevalentemente pratico: s’incentra infatti sul modo in cui l’ebraismo viene presentato nella predicazione e nella catechesi cattoliche. Un terzo documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo è stato presentato al pubblico il 16 marzo 1998. Esso si occupa della Shoah ed è intitolato “Noi ricordiamo: una riflessione sulla Shoah”. Questo documento è stato soprattutto voluto dai nostri partner ebrei, data l’importanza che la tragedia della Shoah riveste nella loro lunga storia di persecuzioni.
Rispetto a questi tre primi documenti, il documento presente ha un carattere ed un orientamento ben diversi. Il contesto che ha fornito la giusta occasione per la sua redazione è già stato menzionato: il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4). Qual è però la ragione che ha motivato la sua stesura? Cosa si prefigge questo documento?
Il preambolo sottolinea che non si tratta di un documento ufficiale del Magistero della Chiesa cattolica, ma di un documento di studio della nostra Commissione, il cui intento è quello di approfondire la dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. Il documento non vuole dunque presentare affermazioni dottrinali definitive, ma fornire uno spunto ed un impulso per ulteriori discussioni teologiche. Un importante obiettivo di Papa Francesco e della nostra Commissione è infatti l’approfondimento del dialogo religioso e teologico tra ebrei e cattolici. Già “Nostra aetate” (n. 4) aveva menzionato questioni teologiche che richiedevano un’ulteriore riflessione. Ed è precisamente a questa riflessione che il presente documento vuole apportare il proprio contributo. Esso invita i teologici e, più in generale, tutti coloro che sono interessati al dialogo ebraico-cristiano a recepire, a considerare e a discutere i vari punti esposti nel documento.
Il documento si articola intorno a sette sezioni: 1. Breve storia dell’impatto di “Nostra aetate” (n. 4) nel corso degli ultimi 50 anni; 2. Lo statuto teologico speciale del dialogo ebraico-cattolico; 3. La rivelazione nella storia come “Parola di Dio” nell’ebraismo e nel cristianesimo; 4. La relazione tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza; 5. L’universalità della salvezza in Gesù Cristo e l’alleanza mai revocata di Dio con Israele; 6. Il mandato evangelizzatore della Chiesa in relazione all’ebraismo; 7. Gli obiettivi del dialogo con l’ebraismo.
Nella prima sezione, viene esposta brevemente la storia del dialogo ebraico-cattolico negli ultimi cinquant’anni, sintetizzata al n. 10 con le seguenti parole: “In questo arco di tempo, molto è stato realizzato; dalla contrapposizione di una volta si è passati ad una proficua collaborazione, dal potenziale di conflitto ad un’efficiente gestione dei conflitti, da una coesistenza contrassegnata dalle tensioni ad una convivenza solida e fruttuosa. I legami di amicizia sviluppatisi negli anni hanno dimostrato la loro robustezza ed hanno permesso così di affrontare insieme persino temi controversi senza il rischio di arrecare al dialogo un danno permanente.” Queste parole corrispondono a quanto affermato da Papa Francesco durante l’udienza generale del 28 ottobre: “Una speciale gratitudine a Dio merita la vera e propria trasformazione che ha avuto in questi 50 anni il rapporto tra cristiani ed ebrei. Indifferenza e opposizione si sono mutate in collaborazione e benevolenza. Da nemici ed estranei, siamo diventati amici e fratelli”. A testimonianza di questo aspetto, la prima sezione menziona le attività e le iniziative intraprese dagli ultimi tre Pontefici nel campo del dialogo ebraico-cattolico, come pure quelle della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo, sulle quali non è possibile soffermarsi nel dettaglio.
La seconda sezione, da un punto di vista teologico, ripete in realtà un concetto non nuovo, ovvero il fatto che il cristianesimo deriva dall’ebraismo, ha radici ebraiche e può essere compreso adeguatamente soltanto tenendo presente tale contesto. Gesù nasce, vive e muore come ebreo; anche i suoi primi discepoli e gli apostoli, quali colonne della Chiesa cristiana, si situano in continuità con la tradizione religiosa ebraica del loro tempo. Tuttavia, Gesù la trascende, poiché, secondo la fede cristiana, egli non può essere considerato soltanto come ebreo, ma anche e soprattutto come Messia e Figlio di Dio. Il documento afferma pertanto: “La differenza di fondo tra ebraismo e cristianesimo consiste nel modo in cui si ritiene di dover valutare la figura di Gesù. Gli ebrei possono vedere Gesù come un appartenente al loro popolo, un maestro ebraico che ha sentito di essere chiamato in modo particolare ad annunciare il Regno di Dio. Il fatto però che il Regno di Dio sia venuto con lui quale rappresentante di Dio è al di fuori dell’orizzonte ebraico di attese messianiche” (n. 14). Anche se l’ebreo Gesù è percepito in maniera diversa da cristiani e da ebrei, da un punto di vista teologico si può tuttavia parlare, per quanto riguarda le relazioni tra cristiani ed ebrei, di un legame di parentela strettissimo e imprescindibile. Il documento descrive infatti il dialogo tra ebrei e cristiani con le seguenti parole: “Pertanto, solo con le dovute riserve, il dialogo ebraico-cristiano può essere definito ‘dialogo interreligioso’ in senso stretto; si dovrebbe piuttosto parlare di un tipo di ‘dialogo intra-religioso’ o ‘intra-familiare’ sui generis” (n. 20).
La terza sezione si occupa della rivelazione nella storia come “Parola di Dio”. Sia ebrei che cristiani credono che il Dio di Israele si è rivelato attraverso la sua Parola, offrendo così agli uomini un insegnamento su come vivere in maniera riuscita nel giusto rapporto con Dio e con il prossimo. Questa Parola di Dio è individuabile per gli ebrei nella Torah; per i cristiani, essa si è incarnata in Gesù Cristo (cfr. Gv 1,14). Al riguardo, Papa Francesco ha affermato: “Le confessioni cristiane trovano la loro unità in Cristo; l’ebraismo trova la sua unità nella Torah. I cristiani credono che Gesù Cristo è la Parola di Dio fattasi carne nel mondo; per gli Ebrei la Parola di Dio è presente soprattutto nella Torah. Entrambe le tradizioni di fede hanno per fondamento il Dio Unico, il Dio dell’Alleanza, che si rivela agli uomini attraverso la sua Parola. Nella ricerca di un giusto atteggiamento verso Dio, i cristiani si rivolgono a Cristo quale fonte di vita nuova, gli Ebrei all’insegnamento della Torah” (Discorso ai membri dell’International Council of Christians and Jews, 30 giugno 2015).
La quarta sezione verte sul rapporto tra Antico e Nuovo Testamento e tra Antica e Nuova Alleanza. “Per il fatto che l’Antico Testamento è parte integrante dell’unica Bibbia cristiana, vi è un senso di appartenenza profondamente radicato ed un intrinseco legame tra ebraismo e cristianesimo” (n. 28). Certamente, i cristiani interpretano le Scritture dell’Antico Testamento in modo diverso rispetto agli ebrei, poiché l’evento di Cristo rappresenta per loro la nuova chiave d’interpretazione per comprenderle. Sant’Agostino riassume così questo concetto: “L’Antico Testamento si mostra nel Nuovo, mentre il Nuovo è nascosto nell’Antico.” E Papa Gregorio Magno definisce l’Antico Testamento “profezia del Nuovo“ (cfr. n. 29). I cristiani partono fondamentalmente dal presupposto che l’arrivo di Gesù Cristo quale Messia era già contenuto nelle profezie dell’Antico Testamento. Alla luce di questa “concordia testamentorum”, ovvero dell’imprescindibile concordia tra i due Testamenti, si comprende anche il rapporto del tutto speciale tra Antica e Nuova Alleanza: “L’Alleanza offerta da Dio a Israele è irrevocabile… La Nuova Alleanza non revoca le precedenti alleanze, ma le porta a compimento… Per i cristiani, la Nuova Alleanza in Cristo è il punto culminante delle promesse di salvezza dell’Antica Alleanza ed, in tale misura, non è mai indipendente da essa. La Nuova Alleanza ha per base e fondamento l’Antica, poiché è il Dio di Israele che stringe l’Antica Alleanza con il popolo di Israele e rende possibile la Nuova Alleanza in Gesù Cristo” (n. 27). Va dunque tenuto presente che può esserci soltanto un’unica storia dell’alleanza tra Dio e il suo popolo, e che Dio ha sempre rinnovato la sua alleanza con il suo popolo Israele. In questo quadro s’iscrive anche la Nuova Alleanza, seppure essa si ponga in un rapporto speciale con le precedenti: “La Nuova Alleanza, per i cristiani, non è né l’annullamento né la sostituzione, ma il compimento delle promesse dell’Antica Alleanza” (n. 32).
Nella quinta sezione viene menzionata la spinosa questione di come comprendere il fatto che gli ebrei sono salvati senza che essi credano esplicitamente in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio. “Poiché Dio non ha mai revocato la sua alleanza con il suo popolo Israele, non possono esserci vie o approcci diversi alla salvezza di Dio… Confessare la mediazione salvifica universale e dunque anche esclusiva di Gesù Cristo fa parte del fulcro della fede cristiana tanto quanto confessare il Dio uno e unico, il Dio di Israele che, rivelandosi in Gesù Cristo” (n. 35). “Dalla confessione cristiana di un’unica via di salvezza non consegue, però, che gli ebrei sono esclusi dalla salvezza di Dio perché non credono in Gesù Cristo quale Messia di Israele e Figlio di Dio… Dio ha affidato a Israele una missione unica e non porterà a compimento il suo misterioso piano di salvezza rivolto a tutti i popoli (cfr. 1 Tm 2,4) senza coinvolgere il suo ‘figlio primogenito’ (Es 4,22)… Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile” (n. 36).
Ad un’altra tematica spinosa si riferisce la sesta sezione: quale deve essere l’atteggiamento dei cristiani sulla questione dell’evangelizzazione in relazione agli ebrei? Al riguardo, troviamo nel documento le seguenti affermazioni: “La Chiesa deve dunque comprendere l’evangelizzazione rivolta agli ebrei, che credono nell’unico Dio, in maniera diversa rispetto a quella diretta a coloro che appartengono ad altre religioni o hanno altre visioni del mondo. Ciò significa concretamente che la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei. Fermo restando questo rifiuto -per principio- di una missione istituzionale diretta agli ebrei, i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei; devono farlo però con umiltà e sensibilità, riconoscendo che gli ebrei sono portatori della Parola di Dio e tenendo presente la grande tragedia della Shoah” (n. 40).
Infine, nella settima sezione, sono enunciati, da un punto di vista cattolico, gli obiettivi del dialogo ebraico-cattolico, che non erano ancora mai stati espressi in un documento in modo così esplicito. Naturalmente, l’intento principale è quello di permettere a cattolici e ad ebrei di conoscersi e di apprezzarsi in maniera più approfondita. Tra gli obiettivi da perseguire, vi è però anche la collaborazione nel campo dell’esegesi, ovvero dell’interpretazione delle Sacre Scritture, che ebrei e cristiani hanno in comune. E ancora: “Un importante obiettivo del dialogo ebraico-cristiano consiste indubbiamente nell’impegno comune a favore della giustizia, della pace, della salvaguardia del creato e della riconciliazione in tutto il mondo” (n. 46). “Giustizia e pace non dovrebbero comunque essere concetti astratti nel dialogo, ma dovrebbero concretizzarsi in modo tangibile. La sfera sociale-umanitaria offre un ricco campo di attività, poiché sia l’etica ebraica che l’etica cristiana comprendono l’imperativo di assistere i poveri, i deboli e i malati” (n. 48). Il documento aggiunge poi che, nell’ambito della formazione delle giovani generazioni, ci si dovrebbe sforzare di rendere noti i risultati ed i progressi compiuti nel dialogo ebraico-cattolico. Infine, si fa riferimento all’antisemitismo: “Un altro importante obiettivo nel dialogo ebraico-cattolico consiste nella lotta comune contro ogni manifestazione di discriminazione razziale verso gli ebrei e contro ogni forma di antisemitismo” (n. 47).
Con questa breve panoramica sul contenuto del nuovo documento, ho tentato di mettere in evidenza il fatto che il dialogo con l’ebraismo, dopo cinquant’anni, poggia ora su un solido terreno, poiché molto è stato realizzato in questo arco di tempo. Di ciò dobbiamo essere riconoscenti a Dio, senza il cui aiuto non saremmo giunti dove ci troviamo adesso: “Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori” (Sal 127,1). Siamo naturalmente grati per ogni sforzo compiuto sia da parte ebraica che da parte cattolica a favore della promozione del nostro dialogo. Altrettanto importante è però ricordare, come sottolinea il documento, che, soprattutto dal punto di vista teologico, siamo solo ad un nuovo inizio: molte questioni rimangono aperte e richiedono un ulteriore studio. Per questo, mi auguro che il presente documento sia ben recepito da tutti coloro che sono impegnati nel dialogo ebraico-cristiano o che ad esso sono interessati, e possa fornire loro uno stimolante spunto per la riflessione, per le conversazioni e per gli scambi futuri.
Intervento di P. Norbert Hofmann, S.D.B.
Già per il 40º anniversario della promulgazione della Dichiarazione conciliare “Nostra aetate” si era pensato originariamente di pubblicare un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo della Santa Sede. Per diversi motivi, questo non è stato possibile nel 2005. Riflettendo in maniera retrospettiva, possiamo dire che è stato meglio aver atteso fino ad oggi, poiché le questioni teologiche presenti nell’attuale documento sono state discusse in maniera dettagliata ed appassionata soprattutto negli ultimi dieci anni.
Il documento non intende assolutamente mettere un punto conclusivo a queste discussioni. Esso vuole essere piuttosto uno stimolo al proseguimento ed all’approfondimento della dimensione teologica del dialogo ebraico-cattolico. La Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo si richiama all’obiettivo che lo stesso Papa Francesco si è posto, ovvero far sì che il dialogo ebraico-cattolico acquisisca una maggiore profondità ed ampiezza dal punto di vista teologico. Ecco delinearsi anche uno dei motivi principali per cui il presente documento viene pubblicato in questo momento: il dialogo teologico tra ebrei e cattolici deve ricevere nuovi impulsi.
È nostro auspicio che i teologi cattolici impegnati da molto tempo nel dialogo ebraico-cattolico accolgano e sviluppino ulteriormente le riflessioni contenute nel documento. Di fatti, il documento si rivolge primariamente a tutti coloro che sono attivi in questo dialogo. Tuttavia, esso può essere utile anche a chi si interessa, più in generale, alle relazioni ebraico-cattoliche.
Il documento è stato elaborato non solo sulla base delle affermazioni di fede cattoliche, ma anche tenendo conto delle posizioni dei nostri partner di dialogo. Ad un certo punto della redazione del documento, sono stati infatti coinvolti anche consultori ebrei ai quali è stato chiesto un parere sull’adeguatezza di quanto esposto nel testo circa l’ebraismo. Nel testo si trovano riferimenti non solo all’Antico ed al Nuovo Testamento, ma anche alla Mishna ed al Talmud. La redazione del documento è durata complessivamente due anni e mezzo, poiché le prime bozze risalgono al 2013. Già Papa Benedetto XVI si era detto favorevole alla stesura di un simile documento, ma soltanto con il “placet” dato da Papa Francesco poco dopo la sua elezione, il lavoro è potuto iniziare.
Fin dall’inizio, c’è stata una stretta collaborazione con la Congregazione per la dottrina della fede, che naturalmente è sempre interpellata quando si tratta di testi teologici in Vaticano. Al riguardo, desideriamo ringraziare di cuore Sua Eminenza il Cardinale Gerhard Müller ed i suoi collaboratori per la loro competenza e disponibilità in questo lavoro congiunto.
Essendo il Cardinale Koch, il Cardinale Müller ed il sottoscritto di madrelingua tedesca, la prima bozza del documento è stata elaborata in tedesco. Un piccolo gruppo di quattro persone, due rappresentanti della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo e due rappresentanti della Congregazione per la dottrina della fede, hanno preparato la prima versione del documento, prima che venisse tradotto in inglese. Il testo è stato letto da entrambi i cardinali, che hanno proposto alcune modifiche, dopodiché è stata organizzata una consultazione internazionale di consultori della nostra Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo. Questi consultori, sulla base del testo inglese, hanno avanzato suggerimenti per migliorare il documento. Alla luce di tali osservazioni, il testo è stato modificato ed inviato alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, a sua volta, ha interpellato i propri consultori. La versione inglese del documento è stata ulteriormente cambiata tenendo conto di questi suggerimenti. Ciò significa che il documento è il risultato di un lavoro collettivo, a cui molte persone competenti hanno contribuito. A tutte loro siamo sinceramente riconoscenti.
Dopo il nulla osta concesso nel settembre 2015 dalla Congregazione per la dottrina della fede, il testo è stato presentato alla Segretaria di Stato, che, poco dopo, nell’ottobre del 2015, dava il via libera per la pubblicazione. Nel dicembre del 2014, Papa Francesco aveva già dato il suo benestare per la pubblicazione di un documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo per il 50º anniversario della promulgazione di “Nostra aetate” (n. 4).
Il giorno preciso della commemorazione di “Nostra aetate” è stato il 28 ottobre scorso, giorno in cui, cinquant’anni fa, fu promulgata la Dichiarazione dal Concilio Vaticano Secondo. Questo stesso giorno, Papa Francesco ha dedicato l’udienza generale alla Dichiarazione conciliare. Fin dall’inizio era stato deciso di non pubblicare questo documento -che è il quarto documento della Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo- nel quadro delle celebrazioni del 28 ottobre scorso, ma di riservargli un momento a parte, distinto. La prima data possibile era per noi quella odierna, il 10 dicembre, dato che nel mese di novembre stavamo ancora ultimando le traduzioni del testo. Come è stato già detto, il testo originale è in inglese, ma sono disponibili versioni anche in italiano, francese, spagnolo e tedesco.
Alla presentazione del documento, abbiamo invitato oggi due amici ebrei, che sono stati coinvolti anche nel processo di preparazione del testo: il Rabbino David Rosen di Gerusalemme dell’American Jewish Committee ed il Dott. Edward Kessler di Cambridge del Woolf Institute. Mi pare un segno eloquente e positivo il fatto che alla presentazione di questo documento siano presenti anche esponenti ebraici con i quali conduciamo il dialogo ebraico-cattolico. L’opinione pubblica sarà sicuramente interessata a sapere come i nostri interlocutori ebraici accolgono il documento.
Naturalmente, e tengo a ripeterlo, la presente Dichiarazione è un testo cattolico, formulato da una prospettiva cattolica, poiché è normale che, come cristiani credenti, noi affermiamo la nostra identità di fede in maniera chiara anche nel dialogo con l’ebraismo, così come ci aspettiamo che facciano i nostri partner di dialogo ebrei. Soltanto così il rispetto reciproco ed il mutuo apprezzamento potranno crescere, soltanto così potremo conoscerci sempre meglio e diventare insieme una benedizione per gli altri.