Conferenza Stampa di presentazione dell’Incontro del Santo Padre Francesco con i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente a Bari

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Alle ore 11.00 di questa mattina, presso la Sala Stampa della Santa Sede, si è tenuta una Conferenza Stampa per la presentazione dell’Incontro del Santo Padre Francesco con i Capi delle Chiese e delle Comunità cristiane del Medio Oriente dal titolo «Su di te sia pace! Cristiani insieme per il Medio Oriente», che avrà luogo a Bari, il 7 luglio prossimo.

Sono intervenuti l’Em.mo Card. Leonardo Sandri, Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali; l’Em.mo Card. Kurt Koch, Presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Ne riportiamo di seguito gli interventi:

Intervento del Card. Leonardo Sandri

È nota a tutti l’attenzione che, nel solco dei Suoi Predecessori, il Santo Padre Francesco ha riservato all’Oriente sin dall’inizio del suo Pontificato; tale attenzione si sviluppa su tre dimensioni, che si riuniscono però in unico abbraccio.

a. quella dell’Oriente già nella piena comunione della Chiesa cattolica: nella Messa di inizio Pontificato, davanti alla Confessione dell’Apostolo Pietro, il Santo Padre prega attorniato dai Patriarchi e dagli Arcivescovi Maggiori delle Chiese Orientali Cattoliche; con loro ha un incontro riservato sia durante le Sessioni Plenarie della Congregazione per le Chiese Orientali, nel novembre 2013 e nell’ottobre 2017; riceve alcune delle Chiese patriarcali in Visita ad Limina e i singoli Patriarchi in diverse occasioni. Nel caso di nuovi Patriarchi eletti (copto, armeno, melkita), sceglie di presiedere personalmente la significazione pubblica dell’ecclesiastica communio durante la celebrazione eucaristica mattutina nella Domus Sanctae Marthae.

b. quella dell’Oriente ortodosso ed ortodosso orientale, di cui potrà dire meglio il Cardinale Koch: parole e gesti di accoglienza, di insistenza nell’aprire porte e indicare strade… condivisione del dolore, coniando la nota espressione dell’ecumenismo del sangue. Pensiamo alla vicinanza espressa alla Chiesa copta in occasione del martirio di alcuni suoi fedeli da parte del DAESH, per gli attentati dinamitardi in alcune chiese. Nel rapporto tra cattolici orientali ed ortodossi orientali non posso non citare qui il gesto fortissimo nel quale Papa Tawadros e il Patriarca Ibrahim, copto cattolico, hanno voluto ciascuno essere presenti e recare un messaggio augurale alla intronizzazione l’uno dell’altro, come pure la celebrazione della proclamazione del dottorato della Chiesa riconosciuto a san Gregorio di Narek alla presenza di tutti i patriarchi armeni, cattolico ed apostolici, nell’aprile del 2015 come pure per l’inaugurazione della statua del santo nei giardini vaticani lo scorso aprile;

c. la dimensione del dialogo interreligioso: nel Medio Oriente anche gli stessi credenti islamici sono feriti e soffrono per coloro che hanno usato violenza profanando il nome di Dio, che è pace, anche loro sono stati costretti a lasciare le loro case e le loro terre, insieme alle minoranze, non solo cristiana ma anche yazide in Iraq. Memorabile il viaggio apostolico in Egitto dell’aprile 2016 e l’incontro presso l’Università Al-Ahzar.

L’unico abbraccio è espresso nella costante attenzione, rivolta attraverso gli appelli alla preghiera e alle iniziative di pace, al soccorso di coloro che soffrono o che sono costretti a partire e cercare rifugio dalla violenza o dalle persecuzioni: chi ha usato violenza non chiedeva prima “la carta di identità” della confessione cristiana di appartenenza (cattolico, ortodosso, apostolico etc., musulmano sunnita, sciita, etc..), chi va aiutato non va classificato ma accolto in quanto uomo, donna o bambino (pensiamo al viaggio all’Isola di Lesvos), si prega uniti e insieme come è successo nel Santo Sepolcro durante il viaggio in Terra Santa nel maggio 2015, nei Giardini Vaticani qualche settimana dopo, nella giornata di digiuno e preghiera per la Siria culminata nella veglia in piazza san Pietro del settembre 2013.

Non va dimenticato poi il lavoro quotidiano svolto dalla Segreteria di Stato, nella persona del Cardinale Segretario, del Segretario per i Rapporti con gli Stati e tutti i Rappresentanti Pontifici.

L’idea di un incontro come quello che si terrà a Bari viene da lontano e viene da più voci: diverse Chiese o Patriarchi l’hanno rivolta direttamente al Santo Padre nel corso della loro visita a Roma – ricordo per esempio quella caldea e quell’assira d’Oriente – oppure con un appello scritto come quello trasmesso nel febbraio 2016 dal Patriarca maronita Cardinale Béchara Boutros Raï a nome degli altri Patriarchi cattolici del Medio Oriente, riuniti in assemblea, con l’approvazione e la disponibilità ad intervenire anche di alcuni Capi di Chiese non cattoliche della stessa regione.

L’evento del 7 luglio ha le note di un gesto forte nella sua essenzialità. Si comporrà infatti di due grandi momenti: la preghiera sul lungomare insieme ai fedeli che vorranno partecipare di persona o in diretta televisiva, e il momento di riflessione e ascolto reciproco tra il Santo Padre e i Capi delle Chiese e Comunità Ecclesiali del Medio Oriente, portando ciascuno il proprio punto di vista, osservazioni e proposte. Ad una relazione introduttiva, che è stato deciso di affidare a Mons. Pierbattista Pizzaballa, Amministratore Apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme, seguirà un tempo di interventi liberi. Tutta questa parte si svolgerà a porte chiuse. E’ previsto che il Santo Padre rivolga una parola all’inizio della preghiera pubblica e al termine dell’incontro, quando riaperte le porte della Basilica di San Nicola, Papa Francesco e gli altri presenti si recheranno sul sagrato, e libereranno nel cielo delle colombe che saranno state consegnate loro dai alcuni bambini: gesto profetico, perché soprattutto ai bambini e alle giovani generazioni del Medio Oriente dobbiamo restituire quella speranza che azioni cattive o la semplice indifferenza in questi anni ha loro sottratto.

Bari, città che custodisce le reliquie di San Nicola, e venera la Madre di Dio sotto il titolo di Odegitria (la conduttrice in via) è luogo simbolico: presenza dell’Oriente in Occidente, luogo di pellegrinaggio ed approdo di speranza.

Ringraziamenti: il percorso di preparazione, avviato decisamente dal Santo Padre, è stato poi portato avanti dal nostro Dicastero con un primo scambio di notizie con il professor Riccardi, della Comunità di Sant’Egidio, e proseguito poi con la Segreteria di Stato, insieme alla Prefettura della Casa Pontificia, alla Direzione della Sicurezza SCV, al Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e in stretto collegamento con l’Arcidiocesi di Bari-Bitonto. I canti saranno eseguiti dal coro dell’Arcidiocesi, con brani solisti in arabo ed aramaico realizzati grazie alla presenza di alcuni alunni del Pontificio Istituto di Musica Sacra appartenenti alla Chiesa Caldea, Melkita e Maronita. Il Vangelo verrà cantato in lingua araba da un diacono nativo della Siria. Nel libretto della preghiera, che sarà reso disponibile, potrete vedere come saranno utilizzate diverse lingue oltre all’italiano: francese, inglese, arabo, greco, siriaco occidentale ed orientale, armeno. Particolare ringraziamento va alla redazione di Vatican Media e all’ufficio teologico-pastorale, per la realizzazione del clip video che abbiamo visto all’inizio e che servirà per rilanciare l’attenzione e la preghiera in preparazione all’incontro di Bari.

Il Santo Padre, sin dall’annuncio dell’incontro avvenuto lo scorso 25 aprile, ha chiesto di preparare e accompagnare con la preghiera l’evento del 7 luglio, appello rinnovato all’Angelus di domenica 1° luglio e in un tweet dello stesso giorno: le Diocesi italiane attraverso il Presidente, Cardinale Bassetti, e quelle europee, attraverso il Cardinale Bagnasco Presidente CCEE, sono state invitate ad una particolare sensibilizzazione nelle parrocchie, e per l’Italia è stato inviato uno schema di testi e preghiere.

Circa la presenza dei Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche del Medio Oriente, saranno presenti tutti (copto, siro, maronita, caldeo, armeno) eccetto il Melkita che sarà rappresentato dal Metropolita di Aleppo, e l’Amministratore Apostolico del Patriarcato Latino di Gerusalemme.

Intervento del Card. Kurt Koch

Il Medio Oriente è la terra di origine del cristianesimo. Occupa per questo motivo un posto unico nel movimento per l’unità dei cristiani. Il Movimento ecumenico è da sempre convinto che, approfondendo le loro radici comuni, i cristiani possono trovare percorsi di unità.

Non è quindi un caso che l’evento che ha segnato l’inizio del “dialogo di carità” tra cattolici e ortodossi abbia avuto luogo a Gerusalemme. Mi riferisco al pellegrinaggio che il Beato Paolo VI e il Patriarca Atenagora fecero insieme il 6 gennaio 1964. Nella terra dove Cristo fondò la sua Chiesa e versò il suo sangue per essa, i due Primati si scambiarono il bacio della pace, ascoltarono la lettura del capitolo XVII del Vangelo di San Giovanni e recitarono insieme la Preghiera Domenicale, impegnandosi insieme e in modo irreversibile sulla via dell’unità.

Il Medio Oriente, terra delle origini, è anche una delle regioni del mondo in cui la situazione dei cristiani è più precaria. A causa di guerre e di persecuzioni, molte famiglie abbandonano la loro patria storica alla ricerca di sicurezza e un di futuro migliore. La percentuale dei cristiani nel Medio Oriente è diminuita drasticamente nell’arco di un secolo: mentre rappresentavano il 20% della popolazione del Medio Oriente prima della prima guerra mondiale, ora sono solo il 4%.

Regione martirizzata, il Medio Oriente è anche un luogo dove le relazioni ecumeniche sono più forti e promettenti, in particolare tra ortodossi e cattolici. Vorrei menzionare tre dimensioni principali: l’ecumenismo della vita, l’ecumenismo della santità e l’ecumenismo del sangue.

La situazione di minoranza in cui si trovano i cristiani in Medio Oriente è un impellente motivo per riunirsi in quello che potrebbe essere definito un “ecumenismo della vita”. Nella sua Lettera ai cristiani in Medio Oriente, Papa Francesco si è rallegrato dell’ecumenismo concreto vissuto dai cristiani in Medio Oriente: “In mezzo alle inimicizie e ai conflitti, la comunione vissuta tra di voi in fraternità e semplicità è segno del Regno di Dio” (21 dicembre 2014). Questo ecumenismo della vita è stato talvolta tradotto in accordi pastorali che prevedono, in caso di necessità, l’accesso ai sacramenti di altre Chiese da parte dei fedeli – ad esempio tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa siriana (1984) e tra la Chiesa caldea e la Chiesa assira dell’Oriente (2001). I cristiani in Medio Oriente mostrano la via dell’unità ai loro fratelli occidentali.

Il difficile contesto in cui si trovano i cristiani trasforma rapidamente l’ecumenismo della vita in un “ecumenismo di santità”. Il decreto conciliare Unitatis redintegratio sottolinea che la santità della vita è la migliore garanzia dell’unità cristiana: più i cristiani si avvicinano a Dio, più si avvicinano l’un l’altro (UR7). È ovvio che la difficile situazione dei cristiani del Medio Oriente è per loro una chiamata alla santità e quindi un pegno di unità. Nella sua stessa Lettera ai cristiani in Medio Oriente, il Santo Padre ha sottolineato questo appello ecumenico alla santità per i cristiani in tutte le Chiese del Medio Oriente: “La situazione in cui vivete è un forte appello alla santità della vita, come hanno attestato santi e martiri di ogni appartenenza ecclesiale”.

Quando le difficoltà diventano sofferenza, questo ecumenismo di santità diventa ecumenismo del sangue. Sin dall’inizio del suo pontificato, Papa Francesco ha fatto di questo argomento uno dei suoi principali temi ecumenici. Tra le diverse affermazioni, ricordo le sue parole pronunciate al Santo Sepolcro di Gerusalemme: “Quando i cristiani di varie denominazioni si trovano a soffrire insieme, uno accanto all’altro, e ad aiutarsi l’un l’altro con carità fraterna, si realizza un ecumenismo della sofferenza, l’ecumenismo del sangue (…). Quelli che per odio della fede uccidono e perseguitano i cristiani, non chiedono loro se sono ortodossi o cattolici, sono cristiani. Il sangue cristiano è lo stesso” (25 maggio 2014).

La situazione in cui si trovano a vivere i cristiani in Medio Oriente è un incentivo ecumenico non solo per loro, ma anche per i cristiani di tutto il mondo. Così, le varie dichiarazioni congiunte firmate dal Papa e da altri Capi di Chiesa hanno spesso avuto come fulcro la comune preoccupazione per i cristiani in Medio Oriente, come ad esempio le dichiarazioni congiunte con il Patriarca Bartolomeo a Gerusalemme (25 maggio 2014) e a Istanbul (30 novembre 2014), con il Patriarca armeno Karekin a Echmiadzin (26 giugno 2016), con Papa Tawadros al Cairo (28 Aprile 2017), con il Patriarca Kirill a l’Avana (12 febbraio 2016). La difficile situazione dei cristiani in Medio Oriente promuove così il riavvicinamento ecumenico a livello universale. Anche in questo senso, le sofferenze di questi fratelli e sorelle nella fede non saranno state vane.

Dopo queste osservazioni di natura ecumenica, vorrei per finire ricordare alcuni principi della Chiesa cattolica per quanto riguarda i cristiani in Medio Oriente.

La prima di queste convinzioni, molto semplice, è la seguente: i cristiani rimarranno nella regione solo se la pace sarà ristabilita. Ecco perché, dall’inizio della crisi, la Chiesa cattolica ha instancabilmente chiesto il ripristino della pace, soprattutto attraverso la ricerca di una soluzione politica. Questa chiamata ha preso anche la forma della preghiera e del digiuno. In particolare, vorrei ricordare l’organizzazione in tutta la Chiesa cattolica, dietro iniziativa di Papa Francesco, di una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Siria e in Medio Oriente, il 7 settembre 2013.

Un secondo principio è che non è possibile immaginare un Medio Oriente senza cristiani: questo non solo per ragioni religiose, ma anche per ragioni politiche e sociali, perché i cristiani sono un elemento essenziale di equilibrio della regione. Come ha osservato Papa Benedetto XVI nella sua Esortazione apostolica sul Medio Oriente: “Un Medio Oriente senza o con pochi cristiani non è più il Medio Oriente, giacché i cristiani partecipano con gli altri credenti all’identità così particolare della regione” (31).

Un terzo principio è la necessità di proteggere i diritti di ogni persona e di ogni minoranza. Il primato del diritto, compreso il rispetto per la libertà religiosa e l’uguaglianza davanti alla legge, basato sul principio di cittadinanza a prescindere dall’origine etnica o dalla religione, è stato ripetutamente sottolineato dalla Chiesa cattolica come principio fondamentale per la realizzazione e per il mantenimento di una coesistenza pacifica e fruttuosa tra le varie comunità in Medio Oriente. Il Segretario di Stato della Santa Sede, il Cardinale Pietro Parolin, ha ricordato con incisività: “I cristiani non vogliono essere una ‘minoranza protetta’ e benevolmente tollerata. Essi vogliono essere cittadini i cui diritti sono difesi e garantiti assieme a tutti gli altri cittadini” (Return to the roots. Conference on the Nineveh Reconstruction Hel, 27 settembre 2017, Roma)

Una quarta convinzione fondamentale è l’urgente necessità di proseguire il dialogo interreligioso, sul quale Papa Francesco insiste particolarmente nella sua Lettera ai cristiani in Medio Oriente: “Il dialogo interreligioso è tanto più necessario quanto più difficile è la situazione. Non c’è un’altra strada. Il dialogo basato su un atteggiamento di apertura, nella verità e nell’amore, è anche il migliore antidoto alla tentazione del fondamentalismo religioso, che è una minaccia per i credenti di tutte le religioni”.

Su queste poche convinzioni, e su molte altre, speriamo di poter riflettere e pregare durante l’incontro di Bari.