Questo denso capitolo ottavo del vangelo di Giovanni, che vediamo iniziare con la condonata lapidazione dell’adultera, terminerà con la tentata lapidazione di Gesù. Infatti qui la tensione con i custodi della Legge raggiunge un livello estremo, colorandosi già di aspetti processuali. Vi è anticipato il suo futuro processo, registrando in filigrana l’eterna lotta tra la luce che Lui è (v 12) e la tenebra che rifiuta la Vita, preferendo dare adesione a questo mondo (v 23) di interesse e prepotere.
È bene premettere che il testo, scandaloso per la mentalità corrente, fu tardivamente ammesso nel canone e inserito in questo vangelo, là dove al v. 15 Gesù dirà: “Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno”. Anche se il racconto appare all’analisi testuale più attribuibile a Luca, pure per i tratti tipici del Gesù lucano, solidale con i peccatori e misericordioso sempre.
Il Maestro siede a insegnare nel tempio, circondato dal popolo. Una torma di esagitati scribi e farisei irrompe trascinando una donna, ponendola nel mezzo e dichiarandola colta in adulterio. “Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare queste tali. Tu che ne dici?”
Mai Gesù nei Vangeli ha sperimentato in modo così drammatico la violenza che sta per schiacciare una creatura infelice e trascinare lui stesso in una trappola mortale. Gli scribi infatti sono ebbri della bella occasione di incastrare lo scomodo rabbi che osa presentare una lettura alternativa della Legge di Mosè e insieme pronti a lapidare una sciagurata che ha attentato all’onore maritale, massimo totem delle società patriarcali antiche. E non solo antiche, come la tragica cronaca odierna ancora registra. In più la vendetta dell’onore oltraggiato si compirà sotto l’egida del giudizio divino adombrato dalla figura di Mosè.
Ma sotto giudizio è Gesù. Dietro la donna, il vero accusato è lui. Lui che si presenta paladino della misericordia di Dio e lui che dice: Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; lui che ha una sensibilità particolare verso i pubblicani, peccatori pubblici, e, in casa di Simone il fariseo, perdona la peccatrice dei suoi molti peccati, perché ha molto amato.
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Di nuovo in ballo il comandamento, la legge, la colpa, la pena e, più affilato di tutto ciò, il giudizio, mentre Gesù si è sempre detto “non inviato per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). Perciò si china e si mette a scrivere col dito per terra. È un tipico gesto di nonviolento che nel conflitto crea suspense e permette agli animi di placarsi un po’. Torna alla memoria la sesta Parola del decalogo, scritto su tavole di pietra dal dito di Dio: “Non commetterai adulterio” (Dt 5,18); successivamente la condanna per la colpa, giustificata da un improbabile: Così estirperai il male in mezzo a te (Dt 22,22). Ma Gesù non estirpa il male, lo attraversa e lo assume, facendolo suo. Perché egli, come il Padre, conosce la fragilità dell’uomo, del Padre riconosce il non godere della morte del peccatore, ma della possibilità “che si converta e viva”
Sollecitato a rispondere, Gesù si raddrizza: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei” (Dt 17,7). È la mite soluzione creativa di chi nel profondo si è fatto vicino all’angoscia della donna e l’ha compresa, pur senza approvarla. E si è fatto vicino anche al gruppo dei benpensanti,
trascinati da zelo integralista, eredi di quella falsa teologia che ha deturpato nei secoli il Volto di Dio, facendone un Vendicatore per le loro vendette, un Dominatore per il loro dominio. “Tu che ne dici?” avevano chiesto impavidi.
“Chi di voi è senza peccato” fa scendere l’argomentare sulla condanna dalla mente al cuore, nel cui segreto custodiamo la verità di noi stessi e delle nostre mancanze. Là peccato pubblico e peccato privato sono un tutt’uno, aggrovigliati al bene nella stessa persona. Gesù si è chinato di nuovo. Non li guarda e non li sfida. Torna scrivere col dito per terra. La sua non sarà una comunità di puri, ma di perdonati. Allora le pietre cadono di mano, la violenza si spegne. Il gruppo si disperde. ..e la donna era là in mezzo.
Ora Gesù può alzarsi e starle di fronte. Uomo pienamente libero, di quella libertà interiore che sa fare getto di regole perbenistiche, sessuofobiche e patriarcali, la chiama con rispetto “Donna”, colei, non più oggetto, cui viene restituita la dignità di persona. Le domanda: dove sono? Adamo, dove sei? Una domanda che trasuda cura. Hanno rischiato di spargere sangue. Anche loro sono stati graziati.
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Le ultime battute tra i due sono un ricamo di verità e bellezza. Neanch’io ti condanno, con l’implicito “io che non ho peccato”. Va’, ti si apre un futuro ancora, non pensare alle cose passate, grandi cose ha fatto il Signore per te! e d’ora in poi non peccare più. E come peccare ancora quando si è incontrato l’amore di un Dio che libera la vita e sazia il cuore? Un Dio che non condanna e fa a meno di pentimenti previ. Chi altri desiderare?
Raffaela Brignola – Comunità Kairòs
Per gentile confessione della Comunità Kairos.