La Quaresima è un tempo di preghiera e raccoglimento, durante il quale maturare la conversione al Signore. Siamo invitati ad andare incontro al Signore che viene, custodendo la sua promessa di pace e gioia. Nel nostro itinerario di umanizzazione sulle orme di Gesù il male viene trasfigurato per donarci una vita in pienezza.
Oggi la radicalità quaresimale si interrompe per fare festa, perché pur se in un cammino di sequela esigente, non dobbiamo mai dimenticare che Dio è il padre buono che ci attende ed è pronto a
festeggiare il nostro ritorno.
Il perdono di Dio da un lato e il senso della fraternità dall’altro sono i temi del brano odierno. Ciò emerge dai versetti introduttivi al racconto del “Padre misericordioso” (Lc 15, 1-3).
Il capitolo 15 è dedicato a tre parabole sul tema della perdita e del ritrovamento. Gesù le narra in risposta alle mormorazioni di scribi e farisei; questi ultimi non comprendono fino in fondo la misericordia di Gesù, a differenza di pubblicani e peccatori, che invece si avvicinano per ascoltarlo.
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Lo Shema, l’ascolto, che è al centro dell’impegno del pio ebreo, al fine di creare la relazione e quindi comprendere, interiorizzare, obbedire, viene realizzato dai “peccatori” e non dai “giusti”.
Gesù prefigura un ribaltamento, rivela un volto nuovo di Dio, in cui non conta più il rispetto della norma ma ciò che custodiamo nel cuore; non dobbiamo chiuderci nel nostro orgoglio e senso di giustizia, piuttosto aprirci alla misericordia che Dio ci offre. Il Signore vuole banchettare con noi, vuole essere sostegno e conforto nelle fatiche quotidiane come il suono dolce del flauto (Lc 7, 32), non vuole opprimerci con regole e pesi, ma donarci ristoro e leggerezza (Mt 11, 28-30).
Il perdono del Padre libera da ciò che limita un’umanità piena, ma occorre riconoscere che siamo tutti figli e quindi tutti bisognosi dell’amore paterno.
La nostra condizione di figli è frutto dell’amore del Padre e non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni (Papa Francesco).
Entrambi i figli del brano non conoscono il padre e sbagliano. Il minore si trova in una situazione di indubbio “peccato” e la sua degradazione morale è evidente quando finisce nella porcilaia e nemmeno può mangiarne le carrube, ma ciò gli consente di “rientrare in sé e alzarsi per tornare dal padre”. L’evangelista qui usa il verbo della resurrezione per farci comprendere che il perdono di Dio è grazia sovrabbondante che apre ad una vita nuova (v. 24).
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La corsa del padre che corre per abbracciarlo e baciarlo è una scena dolcissima, che mostra come il perdono avvenga prima di sentire la sua voce.
Il figlio maggiore invece è sempre rimasto a casa a fare il suo dovere, secondo una logica retributiva che attende un compenso senza mai sentirsi figlio ed erede (v. 31).
Come sentirsi confortato e rallegrato nel sapere che il Padre ha atteso il ritorno del figlio e ha desiderato profondamente riabbracciarlo? Come riconoscere di essere in una situazione di bisogno al pari dell’altro fratello?
Egli è sempre stato vicino al padre ma non ne ha conosciuto la misericordia, non trapela alcun sentimento dalle sue parole, non riconosce il fratello dicendo “tuo figlio” e recrimina la scarsa ricompensa per i suoi “servizi”.
Si è sempre sentito nel giusto agendo esclusivamente per senso del dovere. La conversione interiore può essere più difficile da realizzare.
Ancora una volta, il padre è di una tenerezza commovente: rivolge al figlio maggiore parole molto affettuose (v. 31) e lo invita a partecipare alla festa; ma lui sarà in grado di accettare il ritorno del fratello (v. 32)?
Il brano mostra come il Signore non smetta di considerarci figli e attenda il nostro ritorno. Noi, conosciamo la misericordia del Padre? Ci sentiamo figli? E se siamo figli, ci sentiamo fratelli?
Dio nella sua infinita misericordia ci dona il suo perdono. Noi siamo capaci di entrare in una logica relazionale gratuita, dove non contano errori e meriti, ma la capacità di autodonarsi, ad imitazione di Gesù?
Monica – Comunità Kairòs
Per gentile confessione della Comunità Kairos.