«A tutti dico: Vegliate!». Un invito pressante e insistente che si ripete come un ritornello. Sono le ultime parole di Gesù prima della sua passione: quasi un testamento spirituale. E ciò che viene consegnato ai discepoli è il richiamo alla vigilanza.
Il brano, che dà inizio al tempo di Avvento, è una pericope che fa parte del capitolo 13 dell’evangelo di Marco tutto incentrato sugli ultimi tempi. Il lungo discorso escatologico nasce in seguito alla domanda dei quattro discepoli più intimi che vogliono conoscere il quando e il come della fine dei tempi. L’unica risposta che Gesù darà loro è quell’imperativo: «Vegliate!»
Ciò che viene consegnato ai discepoli è un invito a stare svegli. Una vigilanza tutta orientata al momento decisivo, al tempo propizio, al kairòs, Un tempo che verrà, ma di cui non si conosce il krònos, il momento preciso.
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Il tema della vigilanza e dell’attesa, tipici di questo tempo liturgico, sono presentati attraverso una breve parabola. Come quelle che ci hanno accompagnato nelle scorse settimane, ci presenta un padrone di casa che, partito per un lungo viaggio, ha lasciato la sua casa e i suoi beni ai servi, affidando a ciascuno un compito ben preciso e ordinando al portiere di vigilare. L’esigenza della vigilanza nasce dal fatto di non conoscere il quando, ma l’orizzonte è certo: il ritorno del padrone. È necessario essere pronti ad aprire la porta per lasciare entrare il padrone di casa quando farà ritorno.
Ma chi è questo padrone di casa tanto atteso? Per i discepoli che ascoltano è Gesù stesso, l’amico, lo Sposo, il Dio con noi che ha condiviso in tutto e per tutto la nostra umanità. È un Dio, che come il padrone della parabola, condivide la sua casa con i suoi servi e li rende responsabili dei suoi beni.
L’attesa è carica della speranza del suo ritorno e il vigilare non è fine a sé stesso, ma orientato a questo incontro. Incontro che, secondo il nostro testo, è previsto nella notte (sera, mezzanotte, canto del gallo e mattino sono le quattro veglie in cui i romani suddividevano la notte), quando è più difficile rimanere svegli e non cedere al sonno.
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Ma cosa significa stare svegli, vigilare? Sicuramente non va inteso in senso letterale. La parabola delle dieci vergini del vangelo di Mattero ce lo fa intendere: anche le cinque vergini sagge si addormentano nell’attesa. Ciò che distingue le vergini prudenti dalle stolte è il loro aver fatto in modo di non restare senza l’olio necessario per mantenere le lampade accese. Vigilare è in qualche modo essere attenti e sapersi prendere le proprie responsabilità.
Il tempo dell’attesa, sottomesso alla libertà di Dio, è per l’uomo il luogo privilegiato per l’esercizio della responsabilità. L’attesa non è un tempo vuoto. Dio, come l’uomo della parabola, non ha lasciato l’uomo in un’attesa inoperosa, ma ha affidato a ciascuno un compito, secondo le proprie capacità. L’uomo vigilante è colui che, consapevole e attento agli avvenimenti e alle sfide della vita, è capace di prendersene cura. È colui che si assume responsabilmente il compito che gli è stato affidato. Ai discepoli è chiesto di: badare a sé stessi, osservare, stare attenti, vigilare. In altre parole, ad essere pienamente in contatto con la realtà. Nessuno spazio per una attesa passiva o una fuga nel futuro. L’immagine più immediata è quella di chi non si lascia sorprendere dal sonno quando il pericolo incombe o un fatto straordinario sta per accadere. Colui che è vigilante sa vivere il presente e, con i sensi ben aperti e orientati, è in grado di
cogliere tutte le sfumature della vita e dell’umano. Vigilare impegna a fare attenzione: a sé stessi, agli altri, alla storia.
All’opposto, c’è chi non aspetta più, chi ha smesso di sperare e vive alla giornata o chi spera ancora, ma non fa nulla. È l’uomo addormentato: «colui che vive al di qua delle sue possibilità, vive nella paura, banalmente, superficialmente, orizzontalmente più che in profondità; è pigro, negligente, si lascia vivere; è colui che vive come se avesse a disposizione un interminabile lasso di tempo; è colui che si sottrae alla fatica di pensare e di interrogarsi; che non ha passione, non è toccato da nulla: per lui tutto è scontato; è colui che non aderisce alla realtà e agli altri, ma resta nella sonnolenza, anzi ha fatto del non vedere, del non sentire, del non lasciarsi toccare e interpellare la condizione del suo vivere» (Bianchi, È necessaria l’ascesi cristiana?, p.25).
Due modi diversi di vivere la propria umanità, prima ancora che la fede. Vigilare non è altro che porre l’attenzione alla qualità della vita e viverla pienamente. Per questo l’invito a vigilare, cioè a vivere in pienezza la propria umanità, oltre che ai credenti può essere rivolto a tutti.
Mc 13. 33-37 | Comunità Kairos 12 kb 0 downloads
Lectio divina di Mc 13,33-37 – I Domenica del Tempo di Avvento 3 dicembre 2023 …A cura di Giustina per la Comunità Kairos.
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay