Questa domenica si celebra la solennità di Cristo Re dell’universo. Una regalità paradossale emerge dal testo del vangelo. Una regalità affermata con le mani legate e dinanzi ad un giudice che di lì a poco condurrà Gesù al supplizio più infamante.
Il brano nella sua interezza (Gv 18, 28 – 19, 16a) si sviluppa attraverso una serie di scene in cui Pilato dialoga con Gesù (all’interno del pretorio) e con le autorità giudaiche (all’esterno). Egli sa che Gesù è innocente, ma per paura e incapacità è prigioniero degli eventi. Apparentemente egli è libero, è infatti il rappresentante dell’autorità romana, ma di fatto il suo entrare e uscire dal palazzo e il modo di condurre l’interrogatorio mostrano incertezza e difficoltà di comprendere la verità (Gv 18,38).
Le due parole che schiudono il senso del brano sono infatti regalità e verità. La regalità sta nella testimonianza della verità. I vv. 36-37 chiariscono e rivelano: la regalità di Gesù non ricorre alla violenza, rifugge il concetto di potere per sovrastare e comandare, rifiuta l’uso della forza e della menzogna. Egli è re perché tutta la sua vita è una testimonianza del vero volto di Dio, ponendosi a servizio del prossimo, abbracciando la logica del dono, liberando dal male. L’amore per Dio e per il prossimo inestricabilmente congiunti, fino all’estremo dell’amore per i nemici, che Egli realizzerà nel suo consegnarsi pienamente (Gv 13,1). Fino, dunque, alla consegna dello Spirito (Gv 19, 30) che inaugura una nuova creazione per tutti coloro che lo accolgono (“chi è dalla verità, ascolta la mia voce”). Qui e ora il Regno di Dio.
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La verità non è dunque un concetto, ma una persona da conoscere e amare. Essa si realizza nell’incontro con Cristo che tramite lo Spirito santo – lo Spirito di verità – ci rivela il volto di Dio (Gv 16, 12-15).
Vera è la Parola di Dio che in Cristo si è fatta carne (Prologo di Giovanni). La Parola divina è evento, suscita, crea. In Dio la promessa è nello stesso momento compimento. La Parola è dinamismo, va dunque accolta e vissuta. Occorre fargli spazio e custodirla: ascoltarla, meditarla, realizzarla. Essa mette in cammino, un cammino di liberazione (Gv 8, 31-32), che non è esente da difficoltà, che comporta arresti e ripartenze, che chiede umiltà e pazienza, desiderio di decentrare da se stessi per ricentrarsi in Cristo e capacità di riconoscere la propria e altrui fragilità, affidandosi sempre al Signore che tutto contiene e completa.
In Cristo, la nostra umanità imperfetta se vissuta nell’autodonazione è illuminata dalla speranza di una vita in pienezza (Gv 8, 12). Scrive Gianfranco Ravasi “La verità deve essere via della nostra fede, lampada della nostra carità”.
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Monica
Archivio della Comunità Kairos.