Il tema centrale di questa terza domenica di Quaresima è la conversione. Dopo che Gesù ha esortato le folle a saper “discernere i segni dei tempi” (Lc 12,54-57), in questo brano viene sollecitato a dare un’interpretazione autorevole di due fatti di cronaca, una cruenta repressione operata dal prefetto Ponzio Pilato nel tempio durante un sacrificio, e la tragica morte di diciotto persone travolte nel crollo della torre di Siloe.
Il primo avvenimento è conseguenza della volontà umana omicida, mentre il secondo è un caso fortuito. Gesù è pertanto interpellato sul male e tali episodi drammatici costituiscono il punto di partenza per una riflessione sul senso di quelle morti e per allargare gli orizzonti del suo discorso.
Secondo la mentalità giudaica la sofferenza e le disgrazie erano considerate punizioni per un peccato commesso in base ad una idea di “giustizia retributiva”, ma Gesù, innanzi tutto, rifiuta di giudicare coloro che sono stati colpiti da una disgrazia. Non dice che non erano peccatori, ma nega che lo fossero più di tutti gli altri Galilei, e che quei diciotto morti lo fossero più di tutti gli abitanti di Gerusalemme. Implicitamente si rifiuta di collegare i fatti accaduti a un castigo di Dio.
Ancora oggi alcuni uomini e donne di fronte ad un evento tragico si chiedono: “Cosa ho fatto per meritare tutto questo?”, rivelando di avere un’immagine di Dio “giustiziere” che attende il momento propizio per regolare i conti con i “peccatori incalliti”.
Ma Dio non vuole la morte del peccatore, desidera, invece, che egli viva: ”Io non godo della mortedell’empio,machel’empiosiconvertadallasuamalvagitàeviva” (Ez 33,11). E come afferma anche l’apostolo Paolo: “Dio non ci ha destinati alla sua collera ma all’acquisto della salvezza per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” (1Ts 5,9). E d’altra parte non esistono “giusti” che sono in regola con Dio e non necessitano della sua misericordia, poiché tutti siamo ugualmente peccatori e tutti abbiamo ugualmente bisogno della misericordia di Dio: “No,iovidico,masenonviconvertirete perirete tutti allo stesso modo” (v.5).
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Quegli eventi tragici vengono, pertanto, interpretati da Gesù in maniera diversa: la morte improvvisa di quegli uomini deve far cogliere l’urgenza della conversione. Gesù dunque indica che si può imparare dagli eventi. L’appello a convertirsi viene ripetuto ben due volte, ed è un monito ad un ripensamento globale dell’esistenza (“metanoia”), ad un cambiamento di rotta e di mentalità che vada alla radice. La conversione nasce quando l’uomo si accorge di non essere in relazione con Dio e cede all’azione insistente di Dio che lo cerca, abbandonandosi a Lui.
In questa ottica, il tempo è un dono di Dio da vivere, da interpretare nei suoi eventi e da “mettere a frutto”. Non è il tempo del castigo, ma della misericordia, del perdono e della conversione. E per fare comprendere quando è il tempo giusto della conversione, Gesù racconta la parabola del fico sterile, originale di Luca, che ricorda la predicazione di Giovanni Battista, il quale esortava tutti a “fare frutti degni di conversione” (Lc 3,8).
Luigi – Comunità Kairòs
Per gentile confessione della Comunità Kairos.