Comunità Kairos – Commento al Vangelo di domenica 21 Maggio 2023

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La liturgia della settima domenica di Pasqua invita a meditare sull’ascensione o assunzione di Gesù al cielo, il suo “esodo da questo mondo al Padre” (Gv 13,1), che è narrata come uno staccarsi di Gesù dai suoi per essere portato verso il cielo. In realtà, l’ascensione è presentata come tale solo da Luca (Lc 24,50-53; At 1,1-11) e da Marco (Mc 16,19), mentre Matteo e Giovanni presentano apparizioni del Cristo Risorto ma senza un esplicito riferimento ad una partenza, ad un lasciare la terra per il cielo. In particolare, nel vangelo di Matteo viene testimoniata un’unica apparizione del Risorto in Galilea come ultimo e definitivo saluto, il “testamento” per i suoi discepoli.

Matteo infatti narra all’inizio del capitolo 28 che all’alba del giorno dopo il sabato Maria Maddalena e l’altra Maria andarono a visitare il sepolcro e trovarono la tomba vuota e lì ascoltarono da un “angelo del Signore” l’annuncio della resurrezione di Gesù. E mentre si recavano a portare ai discepoli questo annuncio, incontrarono il Risorto, che disse loro: “Non temete, andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno” (Mt 28,1-10).

In tale contesto, ecco che i discepoli, adesso undici e non più dodici, a causa del tradimento di Giuda, “andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato” (v.16), trovandosi nuovamente nella terra in cui erano stati chiamati alla sua sequela. Per Matteo la Galilea rappresenta la terra voluta da Dio come luogo dell’evangelizzazione, la “Galilea delle genti”, dei pagani (Mt 4,12-16), terra considerata impura, “da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”(Gv 1,46), e lontana dalla città santa di Gerusalemme, centro della fede e del culto. La Galilea, quindi è la regione per eccellenza di evangelizzazione e di missione, da qui sono richiamati i discepoli per ricominciare quella sequela conclusasi con la passione e morte di Gesù.

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Il luogo dell’incontro col Risorto è la montagna, luogo di grande simbologia teologica, dove Dio si è rivelato a più riprese e ha scelto di essere incontrato, là dove Gesù aveva pronunciato il lungo discorso contenente anche le beatitudini (Mt 5,1-7,29), e dove Pietro, Giacomo e Giovanni avevano assistito alla sua trasfigurazione (Mt 17,1-8). Al vedere Gesù gli undici discepoli “si prostrarono” in adorazione senza dire nulla (v.17). Tuttavia, nonostante i discepoli siano giunti alla fede nella resurrezione, nutrono ancora dei dubbi, esitano a riconoscerlo. Ciò costituisce una condizione consueta dell’esperienza di fede del credente che sperimenta la coabitazione del credere con il dubitare, poiché la fede non è esente dal dubbio, “Uomo di poca fede perché hai dubitato?” (Mt, 14,31). Ma il credente come atto di libera scelta, attraverso la fiducia e l’affidamento al Signore e una continua vittoria sui dubbi può fare proprie le parole di Pietro: “Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio” (Gv 6,68-69).

E adesso Gesù si avvicina agli undici, non li rimprovera per la loro recente fuga al momento del suo arresto (Mt 26,56), né li redarguisce per la loro poca fede, ma si manifesta nella gloria ricevuta dal Padre che lo ha risuscitato dalla morte: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (v.18). Sono parole intense che rivelano la sua identità di Signore del cielo e della terra grazie al “potere” ricevuto da Dio Padre. In questo modo Matteo, anche senza narrare un’ascensione di Gesù in termini visivi, ci indica dove dobbiamo cercare e trovare il Risorto: in Dio e nella sua signoria, in linea con il Vangelo di Giovanni: “Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18). La Chiesa di ogni tempo e di ogni luogo professa quindi Gesù come colui che siede alla destra del Padre e che intercede per noi presso di lui, e pertanto i credenti pregano affinchè il Signore Gesù sia al centro della nostra storia, colui che attendiamo come unico Salvatore.

Gesù Risorto, rivestito di una tale autorità dal Padre, esorta i discepoli ad “andare e fare discepoli tutti i popoli” (v.19), non si tratta però di compiere una missione di conquista o di occupazione di terre e luoghi, ma piuttosto è un invito ad aprirsi a tutte le genti, a tutte le culture, a tutti gli uomini e le donne dell’umanità senza steccati e distinzioni. È arrivato il momento dell’annuncio universale del messaggio evangelico di salvezza e di misericordia: Gesù di Nazareth nella sua missione conferitagli dal Padre era venuto innanzitutto per il popolo di Israele, promesso come Messia e Salvatore, adesso dopo la sua morte e resurrezione il messaggio evangelico deve raggiungere tutti i popoli della terra. Devono essere abbattuti tutti i muri edificati nella storia: tra Israele e i pagani e tra le genti. Adesso tutti gli uomini e le donne sono destinatari del Vangelo che va proposto e offerto come testimonianza, poiché in primis deve essere vissuto e poi annunciato.

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Il comando del Risorto ai discepoli di battezzare tutti i popoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (v.20), che rappresenta il mandato perenne per la Chiesa, non implica semplicemente l’attuazione di un rito, ma piuttosto di introdurre gli uomini e le donne nella relazione con Dio Padre per mezzo del Figlio Gesù Cristo nello Spirito Santo. Si tratta di un compito “rigenerante” che implica l’educazione alla fede e la trasmissione della fede.

Il discepolo, reso tale grazie all’ascolto della parola di Gesù, è inviato tra le genti ad insegnare loro a osservare tutto ciò che Egli ha prescritto, ovvero l’amore ed il perdono, compito che la chiesa può assolvere se si affida alla promessa del Risorto: “Io sono con voi fino alla fine del mondo”. Ecco la buona notizia, la nuova e definitiva alleanza con la quale Dio si è unito al suo popolo: “Io sarò il vostro Dio, e voi sarete il mio popolo” (Ger 7,23).

Le ultime parole del vangelo di Matteo racchiudono il senso della nostra fede: il Signore Gesù Cristo è con noi sempre. E alla promessa della presenza del Signore “fino alla fine del mondo”, si aggiunge anche un’altra promessa che nutre la speranza del suo ritorno, come ci viene narrato nella Prima Lettura: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato di tra voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo” (At 1,11). Per i discepoli, quindi, nessuna fuga dal mondo e dalla storia, né occhi rivolti al cielo, ma sempre fedeli alla terra in compagnia degli uomini e delle donne, con il cuore ricco di speranza, chiamati ad essere testimoni dell’amore misericordioso di Dio e promotori di pace.


A cura di Luigi per la Comunità Kairos.

Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay