Dopo l’episodio dell’uomo ricco, in cui emerge l’intralcio alla sequela costituito dall’essere per avere, si considera stavolta l’intralcio alla sequela dato dall’essere per potere.
Si ripete intanto un riconoscibile schema: ad ogni annunzio, fatto da Gesù sulla sua prossima Passione, segue un episodio di chiara incomprensione da parte dei discepoli, incapaci di abbandonarsi a una sequela incondizionata. Stavolta l’episodio è molto più ricco e denso di sfumature. Protagonisti sono Giacomo e Giovanni. Gli si accostano (tema della vicinanza a Gesù che ritornerà) e in un primo dialogo i due, già chiamati Figli del tuono, svelano a Gesù un loro desiderio segreto, maturato alla luce della sua prospettata fine.
È davvero forte la loro richiesta, se è introdotta con tanti particolari di premessa, prima di svelarsi con un misto di improntitudine e di ingenuità: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». I due stanno chiedendo un potere spirituale e di giudizio che addirittura travalica la loro vita per dispiegarsi nel futuro, sino al ritorno del Signore nella gloria.
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Ma in questo dialogo a tre, in cui emergono le ambizioni personali dei due, è implicato soprattutto l’essere profondo di Gesù. Vibrano qui le corde della sua umanità. Non reagisce con sdegno come precedentemente con Pietro. Il Gesù che ora seguiamo, già da un pezzo non è più la figura carismatica che attirava le folle in Galilea, aprendo la visione del Regno.
Ormai in Giudea, e sulla strada per Gerusalemme, è immerso interiormente nella contemplazione di ciò cui va incontro, con tutto il peso di morte che gli si chiarisce man mano che sale. Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti (v 32). Perciò approfondisce la relazione con i suoi, che ondeggiano tra aspettative di successo e timore di rovina. Lui, presili con sé, ha appena chiarito, per la terza volta e nel modo più realistico, cosa gli avverrà a Gerusalemme. Questi annunci servono a orientare diversamente la loro sequela; sono da parte sua profezia di un destino non subito ma consapevolmente previsto; di sicuro rispondono anche a una sua personale elaborazione del lutto che gli cresce dentro.
Ogni sua parola risente di questa prospettiva. Così le domande che rivolge ora lui ai fratelli sono sì intrise di tenerezza, riflettono intimità di vita, ma le immagini usate per portarli a penetrare il senso profondo di ciò che chiedono, sono quelle bibliche del calice e dell’immersione nelle acque, che gli vengono dal lungo interrogare le Scritture per scoprirvi il senso della sua stessa fine. I due invece, ascoltando il terzo annuncio, hanno identificato in lui la figura escatologica del Figlio dell’Uomo, chiamato a sedere alla destra di Dio per ricevere un potere di giudizio sulle genti, “il potere e la Gloria”, secondo la profezia di Daniele (7,14). Così abbagliati gli hanno richiesto direttamente i posti privilegiati nella Gloria, rimuovendo in cuor loro l’incomprensibile passione.
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Invece questo è l’ineludibile passaggio previo. Il calice dell’ira e l’immersione nelle acque sono lì ad indicare che l’innocenza del Giusto è chiamata prima a confrontarsi con l’eccesso del male, ad attraversarlo sino a restarne vittima. In poche allusive parole lo scambio tra lui e i due fratelli, chiamati alla consapevolezza, raggiunge una densità quasi insostenibile nell’alternarsi del voi e dell’io: potete voi accettare ciò che io accetto? Bere un calice e ricevere un battesimo di questo peso?
L’immersione (baptisma), a cui allude Gesù, rimanda alle acque che tolgono il respiro, soffocando la vita. Sono i salmi del Giusto sofferente che descrivono spesso questa angoscia; Gesù li ha percorsi nella preghiera, leggendovi la sua storia: Salvami o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. …Salvami dal fango, che io non affondi, liberami dai miei nemici e dalle acque profonde. Non mi sommergano i flutti delle acque, la fossa non chiuda sudi me la sua bocca. (Sal 69,2-3.15-16).
Non è il battesimo di Giovanni, ancora rito anticotestamentario, in cui Cristo aveva manifestato la sua profonda solidarietà con l’umanità tutta, abbracciata nella consapevolezza del suo peccato e nel desiderio intenso di riscatto e di comunione. Là, alle acque del Giordano, impegnandosi a vivere la sua solidarietà totale con l’umanità, aveva suscitato il compiacimento del Padre! Il battesimo a cui allude ora, invece, è già la sua morte accettata, cui il Padre nel suo amore fedele risponderà con il rialzarlo all’incanto di una Vita nuova. Luca dirà: C’è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! (Lc 12, 50).
«Lo possiamo» rispondono i due. Hanno capito? Sono andati a richiedere posti di Gloria e si ritrovano, con lui, impegnati a un martirio! Come Gesù stesso profetizza, alla fine di un dialogo che è stato un percorso di sapienza amorosa. Ricorda Paolo: Per mezzo del battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova. …Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui (Rom 6, 4.8). Questa sarà la vicinanza assoluta, tutto il resto impallidisce e sfuma (v.40).
Non la stessa sapienza abita i dieci, che prendono a contestare i due fratelli perché tutti in competizione. Gesù allora, chiamatili a sé, ripete a tutti un ultimo insegnamento che spenga alla radice l’aggressività e la gelosia tra loro: Voi sapete, stavolta, e lo sanno bene perché in fondo sono immersi nella stessa mentalità, ancora da convertire. Sanno che nella storia il potere tende a degenerare in prevaricazione e oppressione. Non così tra voi, perché tra voi è già il Regno, tra voi sono Io “in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,27). Il capovolgimento radicale della mentalità parte dall’accoglienza dei propri limiti e della propria piccolezza, quella che nascondiamo a noi stessi, paludandola di potere. Accoglierla, accogliendo Gesù servo, è rendersi liberi e vivere realizzati. Gesù, infatti, si identifica con il Servo, colui che “è venuto … per servire e dare la propria vita come riscatto per molti» Perché servire è liberare.
Molto denso biblicamente, questo termine dùlos ci rimanda al misterioso Servo del Secondo Isaia (53,10) che con l’accoglimento paziente e silenzioso dei dolori e dei peccati del popolo, con la sua non- violenza (A. Wènin) assorbirà il male, impedendogli di propagarsi e giustificando così i molti. Personaggio attraverso cui Gesù sta continuando a leggersi nelle Scritture.
Servire è allora in radice riconoscere l’altro come altro, non usufruibile. È permettere che si esprima, che realizzi quel progetto unico, conosciuto solo al suo Signore, che farà emergere in lui un’immagine esclusiva di Dio.
Brano liberante: Gesù consegna la sua vita alla morte per liberare dalla morte le vite degli uomini e ci invita a una sequela fatta di autodono e di libertà, vera cifra del potere di governo nella nuova comunità.
Archivio della Comunità Kairos.