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Comunità Kairos – Commento al Vangelo di domenica 2 Marzo 2025

Domenica 2 Marzo 2025 - VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO - ANNO C
Commento al brano del Vangelo di: Lc 6,39-45

Al primo impatto, questo insieme composito di versetti ci interpella con una domanda: cosa vuole dirci Luca, cosa rivelarci del Maestro, di noi stessi, di Dio?

Entriamo nel brano. Sulla pianura sono appena risuonate nelle parole di Gesù le Beatitudini: “Beati voi poveri” e con queste ha preso corpo per Luca quello che era stato l’annunzio inaugurale della sinagoga di Nazaret: “Lo spirito del Signore è su di me, mi ha mandato a portare la lieta novella ai poveri, a proclamare la liberazione ai prigionieri, la vista ai ciechi, a rimettere in libertà gli oppressi” (4,18).

Infatti, all’inno delle Beatitudini è seguito il discorso, alto come il cielo e profondo come il mare, sull’amore estremo, l’amore incondizionato verso gli avversari. Insegnamento che, ascoltato, ci libera dalle costrizioni dell’io, piccolo idolo, e ci aiuta a diventare misericordiosi perché nostro Padre è il Misericordioso. Questo ci rende figli dell’Altissimo, capaci come Lui di compiere il bene disinteressato verso gli ingrati, in una rete di relazioni orizzontali nutrite dalla gratuità e dalla libertà di chi si espone sino a devitalizzare il male. Liberazione e illuminazione nascono allora dall’accettare e sperimentare nella propria vita questo volto di Padre, narratoci da un Gesù che se ne è fatto araldo.

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Poi erano seguiti a cascata altri imperativi: Non giudicatenon condannateperdonate. Tutte azioni di marca giudiziaria, perché davanti al male nascono in noi atavicamente la resistenza, la condanna e la chiusura. E prima di potere abbracciare tutti nel bene, è da scardinare questo atteggiamento di giudizio negativo continuo fuori di noi.

Così capiamo che siamo ora davanti a un’estensione del Non giudicate, vissuto non più nella società ostile, ma nelle relazioni fraterne della comunità in generale e nell’ambito dell’insegnamento in particolare. Infatti, al discorso appena concluso, rivelativo del Dio Padre di Misericordia, Luca fa qui seguire una parabola per scavare nel cuore l’interpellanza personale: come la comunità e il discepolo si situano in questa verità?

Infatti, il primo tratto a emergere è il cieco, figura di chi annaspa tristemente nelle tenebre della vita, privo di direzione e di senso. Colui cui è indirizzato l’annunzio di letizia che gli ridia la luce degli occhi e la gioia vitale. Ma, prima che il sorriso del Padre gli abbia sanato la vista, si guardi dal pretendere di condurre altri nelle sue tenebre! Non può evangelizzare chi non ha gustato tanto il Vangelo da averne cambiata la vita! Ovvio! Ma nemmeno è evangelizzare l’offrire proprie parole, proprie interpretazioni, andando oltre il disegno dell’unico Maestro. La Chiesa stessa, nella sua storia millenaria, sente questo rimprovero alla luce della sua moltiplicazione di precetti e moralismi.

Per la sua formazione il discepolo guarda al Maestro, lui segue fedelmente modellando la sua vita sulla sua Parola, che lo lavora e lo trasforma lentamente dall’interno, in un percorso continuo di conversione dalla propria mentalità a quella di Dio, lungo come la vita. Perché solo la luce della Parola, illuminando le nostre profondità, ci rende consapevoli dello scarto immenso tra la proposta del Signore e la nostra inadeguatezza.

Inadeguatezza che si manifesta anche nei rapporti comunitari, quando ci si concentra sul fratello per opprimerlo con lo zelo della correzione. L’atteggiamento di superiorità e la continua critica negativa rendono tossica la relazione, schiacciano e spengono la vitalità del fratello. Nella logica del giudizio, in cui sono immerso e privo di forza interiore, proietto sull’altro il male che non riconosco in me e lo giudico a partire dalla mia pochezza. La negatività si espande tutto attorno. “Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati” ha raccomandato poco prima Gesù (4,37).

Appartiene al Signore discernere, secondo un’antica prospettiva ebraica, quando sedere sulla cattedra del Giudizio e quando su quella della Misericordia. Acquistare il pensiero di Dio è vedere attorno a sé il bene: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Convertirsi è dare conferme positive ai fratelli attorno a noi.

E qui ci soccorre la seconda metafora sapienziale, quella dell’albero e dei frutti, che ci trasporta direttamente nel tema della fecondità, della vita che si dona senza risparmio, senza riserve. Come nel suo progetto Gesù punta sulla liberazione, sull’accompagnamento alla crescita e al fiorire di tutto l’uomo, come l’albero buono elargisce i suoi buoni frutti senza un perché, così l’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene.

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Sì, c’è a specchio anche la presenza del male, ma ormai abbiamo capito che il Signore scommette sempre sulla possibilità del bene, per quanto fragile e minima. D’altronde, quel bene, nascosto nelle fibre più interne dell’uomo, è l’impronta del Padre nei figli che ha generato e diventa nei cuori sovrabbondanza.

Vanna – Per gentile confessione della Comunità Kairos.