Contestualizzazione
Nel capitolo 24 e 25 del vangelo di Matteo, Gesù racconta tre parabole dell’attesa1, motivato da una domanda fatta dai discepoli: «Quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?»2. L’evangelista sente la necessità di ribadire che la venuta del Figlio dell’uomo è imprevedibile, inimmaginabile e sorprendente; che non si tratta di un evento catastrofico ma estremamente salvifico; un evento che è finalizzato prima alla conversione e poi al giudizio e perciò richiede ai credenti fedeltà e attesa vigilante. Questo vangelo è stato scritto in un momento critico per i seguaci di Gesù. La venuta del Cristo (parousìa) stava ritardando. La fede di molti si era allentata. Era necessario ravvivare nuovamente la prima conversione adattando al contesto escatologico la predicazione di Gesù.
La seconda parabola dell’attesa – quella dello sposo e delle dieci vergini – contiene, da una parte, delle multiformi presentazioni della venuta del Figlio dell’uomo attraverso l’immagine dello sposo3; dall’altra parte, arricchisce la descrizione del «regno dei cieli», cuore pulsante di tutto il vangelo di Matteo. L’evangelista evoca una speranza (il compimento del regno di Dio) nell’attesa (della venuta del Figlio dell’uomo4), sentimenti questi che Gesù aveva trovato nel cuore del suo popolo. L’uomo religioso sa che la sua vita non procede verso il nulla, ma verso l’abbraccio con una Persona e attende che in questo incontro d’amore la sua esistenza venga rigenerata.
Il testo si compone di quattro sequenze: l’identità antitetica delle ragazze, cinque superficiali e cinque lungimiranti (vv. 2-4); la complicazione della trama: il ritardo dello sposo (v. 5); l’annuncio della venuta dello sposo e il dialogo tra i due gruppi di ragazze (vv. 6-9); l’arrivo dello sposo che sancisce l’inizio della festa dalla quale sono fermamente estromesse le vergini sprovviste di olio (vv. 10-12). Il testo si conclude ribadendo quanto già detto in Mt 24, 42: l’invito a vegliare e ad essere sempre pronti (v. 13).
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Sentieri d’interpretazione e aperture
Il racconto evoca una festa di matrimonio. Piene di gioia, un gruppo di ragazze «escono incontro allo sposo» (v. 1). Nella loro verginità è possibile intravedere l’incompiutezza di ha’adam (l’essere umano o l’umanità5) che attende chi possa stargli di fronte6, un partner che lo conduca nel cammino di realizzazione della immagine divina in sé, quale comunità d’amore7. In quest’attesa, si coniugano in modo equo passività e attività. Anche se attendere è tendere verso, le vergini non vanno alla ricerca dello sposo che ritarda (v. 5). Loro sanno che Lui verrà; non hanno timore dell’attesa, perché nel loro cuore sono già state trovate dall’Amato. Le ragazze che attendono hanno il compito di non far mancare l’olio che permetterà di tenere le lampade accese nell’ora dell’arrivo dello sposo. L’attività richiesta a chi attende si traduce nella responsabilità di conservare viva una luce; una luce che consente la retta visione e l’adesione alla realtà, condizioni che conducono alla pienezza di vita. Senza la luce delle loro lampade, le vergini non possono vedere lo sposo e non possono neanche essere viste da lui. Senza luce non c’è incontro, c’è solo scontro. La luce che rende possibile l’incontro non proviene da chi attende, perché le vergini non sono la fonte di questa luce; ma la luce per non spegnersi ha bisogno del loro olio, del loro intervento.
Il brano contrappone le cinque ragazze, «definite morài, distratte e superficiali, che non intuiscono la necessità di alimentare la fiamma della lampada rifondendo l’olio, con le altre cinque, dette frònimoi, sapienti e lungimiranti, perché si premurano di portare con sé alcune scorte di olio»8 (vv. 2-4). In questo percorso d’attesa esistono due atteggiamenti antitetici che rendono visibile l’avere o meno la preparazione necessaria per partecipare alla festa di nozze (categoria che indica la gioia della vita): si può essere superficiali o lungimiranti. Questi due atteggiamenti sono legati alla capacità di alimentare la luce che illumina la propria visione del mistero di Dio nella storia. La luce non è proprietà di nessuno. È il modo di mantenere viva la fiamma che crea una differenza all’interno del popolo di Dio9. Possiamo essere superficiali nel senso di non porci il problema se la luce che rende possibile gli incontri d’amore possa venire a mancare. Possiamo invece essere lungimiranti prevenendo il rischio di rimanere al buio… Il tempo dell’attesa è perciò il tempo di custodire in modo intelligente la fiamma dell’Amore dentro di sé, quella stessa fiamma che permette di riconoscere l’ora dell’arrivo dello sposo promesso. L’attesa non è dunque una realtà statica: ognuno è chiamato «qui ed ora» a disporre della luce della Parola che realizza l’incontro con il Signore, orientando così il proprio cammino verso una meta ben precisa10.
In questo cammino verso il regno di Dio – verso quella trasformazione che comprende la totalità della vita e delle persone – c’è la possibilità d’essere sopraffatti. Dinnanzi all’imprevisto ritardo dello sposo, le vergini furono tutte sopraffatte dal sonno e si addormentarono (v. 5). Il sonno ritrae i bisogni umani (cibo, sesso, ricchezze, onori); può anche essere figura di quel desiderio autocentrato che spesso è accompagnato da una brama ardente. In verità, tutte le ragazze – siano superficiali come lungimiranti – furono soggiogate dal mondo dei bisogni. Quando uno viene schiacciato dalla sete dei piaceri dei sensi, dalla bramosia di esserci e di divenire, o dal desiderio di evadere, rimane come anestetizzato (addormentato). Questa sopraffazione fa perdere la consapevolezza del tempo opportuno (kairos), offusca la coscienza dell’importanza del momento presente e di ciò che si attende. Quando si dorme profondamente, c’è sempre il rischio di perdere l’ora e di non ascoltare la sveglia che suona! La vigile attesa venne meno durante il sonno. In altre parole, chi cammina verso la pienezza della vita smarrisce la strada quando, lasciandosi addormentare nel buio dei desideri egoistici, non riesce ad essere pronto per gli incontri che la vita riserva. Nell’attesa ardente di quella forza che libera tutti da ciò che impedisce di vivere con dignità e felicità, si fa i conti con i propri desideri e con il rischio di lasciarsi sconfiggere dalla tirannia dei bisogni e dal rogo della bramosia.
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Ed ecco che arriva lo sposo in mezzo alla notte. Una delle ragazze lo riconosce e alza un grido che funge da sveglia, richiamo per le vergini addormentate: è l’invito ad uscire dal sonno profondo per incontrare l’Altro (v. 6). «Il grido è un giubilo di festa, ma anche l’espressione di un’urgenza»11. Nella strada della vita infatti si possono sentire tanti gridi che aiutano a riconoscere le occasioni per andare al di là della propria bramosia. Ma non basta essere svegliati! Gli incontri non avvengono senza quella saggezza preventiva che permette di equipaggiarsi per ogni evenienza. Qui la situazione si fa grave, perché le vergini che si erano munite d’olio sin da principio, non manifestano la generosità che ci si aspetterebbe; preoccupate di non averne a sufficienza, invitano le altre a procurarselo (v. 9). Erroneamente si potrebbe condannare queste ragazze lungimiranti, perché non hanno avuto la «buona volontà» di condividere le proprie risorse. Il brano sembra suggerire invece che non si possa prestare l’olio che mantiene accesa la lampada; la lampada che donerà la luce necessaria perché la bellezza della sposa sia riconosciuta e così lei possa prendere parte alla festa di nozze12. Nessuno infatti può sostituire l’altro nel compito di alimentare la fiamma del cuore che brucia d’amore; è responsabilità personale coltivare, innaffiare i semi dell’Amore che è per sempre13.
Quando le vergini erano pronte, entrarono con lo sposo alle nozze – il testo aggiunge un dettaglio importante -, la porta viene chiusa e le altre che arrivarono tardi, non poterono più entrare (v.10). La porta chiusa indica il pericolo del fallimento; il rischio che ognuno possa venire a mancare all’appuntamento, non riuscendo a essere presente all’incontro ardentemente atteso. La porta chiusa denuncia l’importanza di non perdere l’ora, il momento giusto. La porta chiusa sottolinea che la superficialità ostacola la partecipazione al regno dei cieli; il prendersela con comodo, impedisce di liberarsi dalla sete dei piaceri. L’epilogo drammatico della parabola evidenzia la condizione dei discepoli stolti che nonostante siano invitati al banchetto nuziale, non riescono a partecipare di esso, si perdono nella via di conversione, perché non compiono la volontà del Padre e non sono fedeli agli insegnamenti di Gesù.
Le vergini incoscienti rivolgono la loro intercessione: Signore, Signore, aprici! (v. 11)14, ma senza sortire altro effetto che un rifiuto solenne: non vi conosco (v. 12). Questa risposta è introdotta in forma oracolare con In verità io vi dico (v. 12), denotando chiaramente la rilettura allegorizzante della parabola nella comunità cristiana di Matteo15. Nella figura dello sposo, l’evangelista lascia intravedere la persona stessa di Gesù messia, che non riconosce l’esistenza di un vincolo d’amore che leghi a lui le cinque vergini sprovvedute: «non conoscere equivale a non corrispondere, a non amare»16. Il segno di riconoscimento – capace di spalancare la porta del regno a coloro che attendono la festa nuziale- è la vita di Dio tra noi; una vita guidata dal dinamismo dello Spirito, che porta a «bruciarsi» uno per gli altri. In altre parole, per ereditare «il regno preparato per voi fin dall’origine del mondo» (v. 34), non è sufficiente ascoltare in modo superficiale la Parola che invita al servizio17; è necessario piuttosto incarnarla, osservarla nella pratica della vita quotidiana. Questo comporta una vita operosa a servizio dei fratelli malati, carcerati o stranieri, di coloro che sono nudi e hanno fame e sete, non solo di giustizia18. In verità, per Gesù, il regno è tra di voi (e non dentro di voi); ovvero il regno di Dio non è una realtà intima e spirituale, ma sì una trasformazione che comprende la totalità della vita e delle relazioni interpersonali.
La promessa del ritorno del Signore fa di questo momento il tempo dell’attesa. Mentre si attende la forza liberatrice, umile ma efficace, che è lì, in mezzo alla vita di ogni giorno, Gesù invita a una «vigilanza preventiva, a un’intelligenza che renda i discepoli custodi attenti e responsabili della propria vita e dei propri doni»19. State svegli (v.13): è un’allerta a non lasciarsi addormentare dall’ego gonfio di volontà; richiede di mantenere un certo grado di vigilanza anche quando si è sopraffatti dalla tirannia dei desideri autocentrati; una vigilanza che porta a discernere il desiderio dell’altro, il bisogno dell’altro. Stare svegli significa guardare al di fuori di sé stessi nella quotidianità degli incontri e anche degli incontri che feriscono. Avvertendo il rischio che l’amore si spenga, il vangelo suggerisce la perseveranza20, perché senza la luce di un cuore che ama non c’è possibilità di essere completi, d’incontrare lo sposo e di essere riconosciuti da lui. Stare svegli significa anche ammettere che in ogni affamato di giustizia, in ogni grido che sollecita un intervento, in ogni pianto che chiede vicinanza, proprio lì è presente il volto del Figlio, che implora d’essere riconosciuto e perciò amato. Questa parabola è semplicemente un appello a vivere l’adesione a Cristo con responsabilità e lucidità, nel momento presente, prima che sia troppo tardi.
Maria de Fatima Medeiros Barbosa
Mt 25, 1-13 | Comunità Kairos 29 kb 6 downloads
Lectio Divina di Mt 25, 1-13 XXXII^ Domenica del Tempo Ordinario 12 novembre 2023 …Bibliografia
MANES, R., “Vangelo secondo Matteo”, in I Vangeli, tradotti e commentati da quattro bibliste, Ancora 2015, 397-422.
POPPI, A., I quattro vangeli. Commento Sinottico, Padova 2004.
1 Mt 24, 45-51; Mt 25, 1-13; Mt 25, 14-30.
2 Mt 24, 3.
3 Il Figlio dell’uomo, secondo il vangelo di Matteo, si può presentare in modi del tutto inediti: può arrivare come un lampo (Mt 24, 27); un diluvio (Mt 24, 39); un ladro (Mt 24, 43); il «Signore» (Mt 24, 42.46; 25,11.18.21.22.24); il giudice regale (Mt 25, 34.40); il padrone buono (Mt 24, 45); il padrone che dà fiducia ai suoi servi (Mt 25, 14) e il re munifico (Mt 25, 34).
4 Mt 24, 37; 39; 44.
5 A. WÉNIN, Da Adamo ad Abramo o l’errare dell’uomo. Lettura narrativa e antropologica della Genesi, I, 27. 6 «Il soccorso progettato da Adonai Ehohim per sottrarre l’umano alla morte che incombe su di lui a causa della sua solitudine, è una relazione. Più esattamente: un “come di fronte a lui”. (…) l’altro sarebbe allora destinato a essere un “corrispondente”, un “rispondente”» (Ibid., 51-52).
7 «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1, 27).
8 R. MANES, op. cit., 418.
9 «Le vergini richiamano il popolo di Dio, Israele (cf. Is 37, 22; Ger 31, 4; Lam 1, 15; 2, 13.18)» (R. MANES, op.cit., 418).
10 Gesù, nel Discorso della Montagna, aveva già parlato della duplice possibilità che ha l’essere umano di custodire in modo intelligente o meno i propri progetti, «quando in Mt 7, 24-27 aveva presentato l’uomo frònimos (simile alle giovani che hanno preso l’olio per la lampada) come colui che costruisce sulla roccia perché non si ferma alle parole ma va ai fatti e fa la volontà di Dio, e quello mòros (simile alle giovani che non hanno preso l’olio per la lampada) come colui che costruisce sulla sabbia perché si limita solo alle parole “Signore, Signore” (come faranno le giovani senza olio al v. 11)» (R. MANES, op. cit.,418-419).
11 R. MANES, op. cit., 420.
12 Ap 21, 2: «Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo». La lampada può essere assimilata a un gioiello di cui la vergine si adorna perché lo sposo possa trovarla bella (R. MANES, op. cit., 420).
13 Sl 117, 1: «Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre».
14 Mt 7, 21-23: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e scacciato demoni nel tuo nome e compiuto molti prodigi nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità».
15 A. POPPI, I quattro vangeli, 215.
16 R. MANES, op. cit., 420-421.
17 Mt 23, 11: «Il più grande in mezzo a voi, sarà vostro servo».
18 Mt 25, 34-46.
19 R. MANES, op. cit., 421.
20 Mt 24, 12-13: «venendo a meno il rispetto della legge, l’amore di molti tenderà a spegnersi. Ma chi avrà
perseverato fino alla fine sarà salvato».
A cura di Monica per la Comunità Kairos.
Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay