Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 27 Novembre 2022

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Domenica «della venuta del figlio dell’uomo»

La prima comunità cristiana ha vissuto innanzitutto la tensione fra due venute del Signore: quella del suo ministero terreno e quella del suo avvento alla fine dei tempi. In vista della parusia del figlio dell’uomo, ritenuta imminente, bisognava radicarsi fermamente in una santità irreprensibile. Ma i cristiani a cui si rivolge Luca cominciano a manifestare una nuova presa di coscienza. La venuta del Signore non viene più collocata in un imprevedibile futuro: per loro, egli è già presente, nell’oggi degli uomini e della salvezza. E in ogni momento può sopraggiungere all’improvviso, per giudicare, in quell’istantanea della vita che è la morte, l’orientamento dell’esistenza umana. L’atteggiamento che si impone allora ai fedeli è quello di una continua vigilanza: essere pronti a tutto, rifiutando le cattive azioni che si commettono nelle tenebre; rimanere desti, grazie a una preghiera incessante. Come l’eucaristia ha lo scopo di annunciare la morte del Signore «finché egli venga» (1Cor 11,26), così la vigilanza e la preghiera affrettano l’avvento del regno di Dio. Fin d’ora esse ci rialzano e ci fanno levare il capo, permettendoci di dare un nome all’attesa degli uomini. Fino al giorno in cui la corrente dell’avvento divino ci condurrà in maniera definitiva davanti al figlio dell’uomo.

Il tempo che si snoda tra la venuta di Cristo e la sua manifestazione nella gloria è dunque il tempo riservato alla conversione degli uomini (At 3,19-21; Rm 11,25; 2 Cor 6,2) e al rafforzamento dei fedeli (Ef 6,13; Rm 8,11); un tempo umano già carico dei tempo di Dio, dato per vivere già nell’eternità. Soltanto la grazia di Dio e la conversione ci possono liberare dalle tenebre e introdurci nella «luce» della salvezza. Per questo Paolo parla di «risveglio»: il tempo della notte è finito; non ci si comporta durante il giorno come se si dormisse ancora! (seconda lettura). La situazione descritta dall’evangelo come insipienza e imprevidenza: mangiare e bere, divertirsi, dormire, litigare, soddisfare tutti i desideri della carne, si ripete nelle nostre comunità e in ciascuno di noi e ci qualifica di fronte «al Cristo che viene» (colletta). Si tratta di prendere una decisione di fondo, la quale poi troverà nei diversi momenti la sua espressione concreta: prendere coscienza della nostra povertà, per aspettare il Salvatore; prendere coscienza della responsabilità che Dio ci ha affidato, risvegliandoci dal sonno e illuminandoci con la parola di Dio; aspettare vigilanti la sua venuta definitiva, quando si compiranno tutte le promesse e avverrà l’incontro con lui, che amiamo senza averlo visto e nel quale abbiamo messo la nostra fede (1 Pt 1,8).

La caduta di Gerusalemme sorprenderà gli Ebrei così come il ladro della parabola ha sorpreso il proprietario. Ma solo per i negligenti, come erano gli uomini contemporanei di Noè (evangelo), la venuta di Gesù apparirà come l’irrompere di un ladro; per coloro che staranno «vigilanti» nell’attesa dei primi segni del Regno, Cristo verrà invece come un amico (Ap 3,20-21).

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I ritmi della vita attuale sempre più convulsi, gli ingranaggi di un sistema che mira a pianificare ogni momento, anche il più privato, dell’uomo riducono sempre più il margine dell’imprevisto: tutto deve essere «computerizzato», classificato, neutralizzato, assicurato. Ma per il cristiano Cristo continua ad essere un avvenimento sconvolgente: quando irrompe nella sua vita impone un radicale cambiamento che spezza e trasforma la «routine» quotidiana.

Cristo non può essere programmato: deve essere atteso, lasciando che nella nostra vita ci sia uno spazio anche per la sua presenza. La vigilanza cristiana permette di leggere in profondità i fatti per scoprirvi la «venuta» del Signore. Esige un cuore sufficientemente missionario per vedere, negli incontri con gli altri, tale venuta.

Il Signore non viene nel rumore, il Signore non trova posto nella frenesia e nello stordimento. È venuto nella pace e per la pace. È una parola questa così usata da diventare banale: un equilibrio di paura ; si parla di pace in una società intessuta di violenza e di oppressione dell’uomo sull’uomo. Si dissolve oggi anche la pace più semplice, quella della famiglia. Solo Cristo può riunire gli uomini dispersi dall’egoismo e fare di tutti un unico popolo pacifico in cammino verso il monte del suo Tempio. L’ora di Dio giunge a noi perché ogni istante della nostra vita contiene l’eternità di Dio. Non bisogna basarsi unicamente sulla saggezza umana, e neppure aspettarsi un intervento massiccio da parte di Dio. È al presente che viene donata la salvezza. Ogni scelta che si fa nel presente fra la luce e le tenebre è un segno della venuta del Figlio dell’uomo. L’assemblea eucaristica è la Chiesa in stato di attesa e di vigilanza, che impara a leggere, nell’«oggi» della propria storia, la venuta del Signore come momento di salvezza La Chiesa celebra il mistero dell’avvento nella liturgia, per esprimerlo nella vita. Con la fede nel Signore che viene essa è chiamata a vivere un atteggiamento di speranza e di fiducia, e ad attuare un impegno di amore a Cristo presente nei fratelli. Questa risposta di vita è frutto di grazia e viene chiesta al Padre, da cui proviene ogni bene, con insistente preghiera. In questa prima domenica di avvento, la preghiera della chiesa esprime la speranza e la fiducia di vedere la salvezza di Dio, con la certezza che chiunque spera nel Signore non resta deluso (antifona d’ingresso):

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Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 24,1-3

A te, Signore, elevo l’anima mia,

Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.

Non trionfino su di me i miei nemici.

Chiunque spera in te non resti deluso.

Il salmo 24 «Ad Te levavi animam meam», è la celebre Antifona che inaugura la celebrazione eucaristica dell’Avvento, dell’anno liturgico, di tutto l’anno, in oblazione ininterrotta. Per questo motivo il Sal 24 è chiamato “tromba d’Avvento. In questo salmo alfabetico (la prima parola di ogni versetto inizia con una lettera diversa, seguendo l’ordine alfabetico ebraico) le caratteristiche dominanti sono quelle di una supplica individuale (vv. 1-3.6-7.16-22) e di fiducia nell’aiuto divino (vv. 12-15). Il salmista sà che Dio è più grande del suo peccato e da Lui può venire l’istruzione salutare che lo porterà a ritrovare il giusto cammino (vv. 4.5.8.9).

Nel v. 1b l’Orante fedele che si sa amato fa anamnesi della sua offerta, l’offerta dell’anima che è la vita intera, nell’irreversibilità, al Dio dell’alleanza. «Dio mio» infatti implica e consegue che già il Signore abbia pronunciato l’offerta d’alleanza: «Figlio mio, popolo mio», ed implica la formula completa: «Io sono il Signore Dio tuo – tu sei il figlio mio, il popolo mio», con l’accettazione «Tu sei il Signore Dio nostro noi siamo figli tuoi, il popolo tuo»; formula battesimale, che è di continuo pregata nel «Padre nostro». Nel Signore dell’alleanza fedele l’Orante può solo avere fiducia, come riafferma nell’«io di certo non sarò confuso» (v. 2a), perché la grazia dell’alleanza è perenne, e contro essa nulla possono neppure i nemici della fede e della vita di fede (v. 2b). La fiducia è riaffermata con forza nell’enunciato che non possono essere confusi, né delusi, quanti si trovano nella sola condizione di fede vivibile, che è attendere il Signore che viene, tesi a Lui, confidando solo in Lui, nella coscienza che solo il Signore è «Colui che viene» per amore nella gioia del compimento del suo Disegno (v. 3a). L’Orante non è solo uno, singolo, è tutto il popolo. L’io del Salmista è l’anima di tutto il popolo santo del Signore Vivente e Veniente. Questo va tenuto presente adesso e sempre.

Canto all’Evangelo Sal 84,8

Alleluia, alleluia.

Mostraci, Signore, la tua misericordia

e donaci la tua salvezza.

Alleluia.

Il canto all’evangelo è il preludio splendido alla pericope evangelica che parla precisamente di questa Venuta di misericordia e di salvezza.

Il v. 8 del salmo 84 (genere: supplica comunitaria) chiede che il Signore venga di persona. È la sostanza invariabile dell’invocazione, che è sempre «epiclesi per la Presenza» operante. Poiché solo da vicino il Signore può mostrare il suo éleos, la misericordia amore, termine usuale del comportamento del Signore nell’alleanza. E solo da vicino può donare la sua salvezza, che è raduno del popolo, comunione intorno al Veniente.

Poiché l’Anno liturgico che si inizia è uno dei grandi simboli significanti dell’esistenza redenta, esso mostra un “sacramento”, secondo cui questo inizio si deve svolgere in modo puntuale e dovuto, per terminare nel suo crescendo continuo verso la Pienezza. Ora, la Pienezza è solo del Disegno divino. Questo contempla il compiersi, per vie spesso misteriose, della storia, e come storia degli uomini è spesso imponderabile. E contempla anche il compiersi nei fedeli di questo Disegno di Pienezza nella loro storia di comunità del Signore costituita sulla terra, comunità che ama il suo Signore e Lo attende ansiosamente; e poiché ciascuno dei fedeli è anche una «piccola Chiesa», la Pienezza deve riguardarli tutti da vicino, come persone.

La I colletta domanda a Dio di suscitare in noi la volontà di andare incontro a Cristo che viene con una vita concretamente impegnata nel bene, consapevoli che nell’ultimo giorno saremo salvi se avremo superato positivamente l’esame della carità verso i fratelli.

O Dio, nostro Padre,

suscita in noi la volontà di andare incontro

con le buone opere al tuo Cristo che viene,

perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria

a possedere il regno dei cieli.

Per il nostro Signore…

La nostra assemblea eucaristica, quando ritornerà agli impegni del lavoro quotidiano, dovrà testimoniare l’avvento di Cristo e del suo regno con la parola e con l’esempio.

La missione evangelizzatrice è qualcosa di grande, ma si compie sempre con lentezza e in mezzo a mille difficoltà. Occorre perciò il dono della grazia per essere vigilanti e pazienti. Per questo la Chiesa chiede al Padre in nome di Cristo che la partecipazione all’eucarestia riveli a noi, pellegrini sulla terra, il senso cristiano della vita (orazione dopo la Comunione):

La partecipazione a questo sacramento,

che a noi pellegrini sulla terra

rivela il senso cristiano della vita,

ci sostenga, Signore, nel nostro cammino

e ci guidi ai beni eterni.

Per Cristo nostro Signore.

Gli evangeli di questa domenica sono presi dalla parte finale del discorso escatologico di Gesù e insistono assai sulla vigilanza che richiede il ritorno del Figlio dell’uomo:

  1. Mentre Marco raccomanda la perseveranza;
  2. Luca esorta principalmente alla speranza «perché si avvicina la vostra liberazione»;
  3. Matteo insiste sull’effetto della sorpresa, ci investe in termini duri, taglienti, ma benefici, come un’improvvisa sveglia.

Anche se ogni schematizzazione è solo di comodo, è tuttavia utile visivamente, per cui possiamo ipotizzare la seguente divisione del «discorso escatologico» di Matteo:

  1. Parte I: 24,4-36: i «dolori messianici» con i segni della fine, con la Venuta del Figlio dell’uomo nella sua Gloria;
  2. Parte II: 24,37-25,46: la vigilanza, con le tre parabole relative.

Occorre premettere brevemente che il «discorso escatologico» può essere classificato tra le zone della Scrittura che chiamiamo «letteratura apocalittica» (genere letterario caratterizzato dalla rivelazione di segreti riguardanti la fine dei tempi e il corso della storia con la descrizione di scene straordinarie).

I lettura: Is 2,1-5

La prima lettura ci presenta un breve poema, che ben si addice alla penna di Isaia, il profeta sempre ottimista su l’avvenire di Gerusalemme e ben cosciente della destinazione universale della salvezza futura. Il brano è preceduto da un versetto (v. 1), che è un titolo, dato in un secondo tempo all’insieme dei poemi raccolti nei capitoli 2-5 di Isaia.

– Innalzamento del monte Sion (v. 2; cf. Sal 48). Con un balzo nell’avvenire messianico (« alla fine dei giorni »), il profeta vede che il monte sul quale sorge il tempio sarà elevato al di sopra di ogni altra realtà, perché sia segno di richiamo e punto di incontro con Dio. Questa descrizione di Gerusalemme, come eretta sul punto più alto della terra, ci fa pensare ad altre opere innalzate verso il cielo da parte dell’uomo, nel vano tentativo di salire verso lahvé: la torre di Babele ne è il tipo (Gen 11, 1-9). L’innalzamento di Sion, invece, è opera di lahvé. Esso, però, non riguarda il luogo geografico sul quale sorge il tempio: l’oggetto della visione del profeta è il « resto » santo di Israele: lahvé abiterà in mezzo ai suoi e sarà esaltato in essi (Is. 2, 11.17).

– Convocazione universale (v. 3). Il monte del tempio cessa così di essere il segno dell’isolamento di Israele, per divenire punto di attrazione per tutti i popoli. «Tutte le nazioni», «popoli numerosi» vengono convocati, perché partecipino alla liturgia del tempio e siano istruiti nelle vie del Signore. Nel tempio di lahvé, tutti possono aver parte ai doni della parola di Dio e della legge, e possono conoscere i suoi disegni di salvezza. Si delinea già, nella visione del profeta, il tempio spirituale elevato sul fondamento della fede, per il culto in spirito e verità (Gv 4, 23-24).

– La pace messianica (v. 4). Alla scuola di lahvé gli uomini impareranno a deporre ogni ostilità e a rinunciare alle armi; la pace universale, annunciata dai profeti (Os 2, 20; Zac 9, 9-10), sarà un frutto della conoscenza del Signore (cf. Is 11,1-9). lahvé, «giudice» e «arbitro» dei popoli, placherà le oppressioni e donerà la pace.

Il testo si conclude con un invito di sapore sapienziale: Andiamo, camminiamo alla luce di lahvé! (v. 5)

SALMO RESPONSORIALE: 121, 1-2; 4-5; 6-7; 8-9 CS (cantico di Sion) col rit. «Andiamo con gioia incontro al Signore».

Al poema di Isaia fa eco il saluto festoso e nostalgico che i pellegrini israeliti rivolgevano un tempo alla città santa. All’inizio dell’avvento, questo saluto risuona sulle labbra dei fedeli con un preciso significato escatologico. I credenti, infatti, hanno diritto di cittadinanza in quella patria celeste, di cui la Gerusalemme terrena era annuncio e figura. Nello stesso tempo, quella realtà futura annunciata da Isaia prende sin d’ora forma concreta nella realtà della Chiesa, che è la città costruita con pietre vive nella quale Dio stabilisce la sua dimora come in un tempio.

Il genere letterario dei «Cantici di Sion» vuole cantare Gerusalemme Sion quale meta dei desideri del popolo di Dio, poiché è la Madre comune, Madre anche di tutti i popoli (anche il Sal 86). Ivi avverrà il raduno finale davanti al Signore. Poiché il Signore ha eletto Sion per porvi per sempre la sua Dimora tra gli uomini, da dove fa discendere su essi la Grazia e l’abbondanza del Convito, dove mostra il Volto suo, da dove giudica, da dove salva. Così Sion è anche posta come “segno” visibile dell’unità dei “figli” suoi, anzitutto i figli d’Israele, e poi, nel progresso della Rivelazione, anche di tutti gli «altri figli», le nazioni pagane. In Sion infatti sta la beatitudine trasformante, e per farne parte occorre recarvisi, onde tributare lì la lode eterna al Signore. La teologia dei «Cantici di Sion» è importante anche perché dalle tradizioni storiche (il Deuteronomio), profetiche (Osea, Amos, Isaia, Geremia, Ezechiele), sapienziali (Proverbi, Ecclesiastico), si accresce impetuosamente la corrente riccamente variata che porta alla teologia nuziale, dove il Signore è lo Sposo divino del suo popolo, innalzato a vivere con Lui la vita di comunione nuziale unitiva; il Cantico ne sarà la perla. Il N. T. con Cristo e la Chiesa (Efesini, Apocalisse, ma già Sinottici e Giovanni) ne sarà il punto d’arrivo obbligato, la realizzazione mirabile.

Esaminiamo il brano

36 – Anche se il v. 36 non fa parte della lettura liturgica è utile fare la sua citazione perché fa da ponte tra la prima e la seconda parte del discorso escatologico. In esso si enuncia la tesi che nessuno conosce il preciso istante della fine del mondo, appena dichiarata vicina.

«giorno e ora»: è un’espressione ebraica che indica la data precisa di un avvenimento (cfr. Dn 2,21; 7,12). Tale data è un «mistero» che sta nelle mani del Padre; non solo gli angeli del cielo, ma anche il Figlio sono esclusi dalla conoscenza. Si tratta, come interpreta S. Agostino, di una ignoranza funzionale:

«Asserì di non conoscere quel giorno, perché non rientrava nella sua qualità di Maestro farlo conoscere a noi».  Il detto, omesso da Luca, non ha come centro di interesse la realtà cristologica; sottolinea soltanto l’indeterminatezza e l’imprevedibilità del giorno ultimo. Si esclude qualsiasi pronostico, è impossibile ogni programmazione del futuro; è possibile solo una vigile attesa.

37-39 Si apre il testo con una «teologia della storia». Il rimando è a Gen 6,9-14 e 7,11-23. Noè «trovò grazia agli occhi del Signore … fu giusto tra i suoi contemporanei». Il Signore compia subito i giorni di Noè alla Venuta del Figlio dell’uomo, in forma concisa; l’espressione sarà ripetuta al v. 39b, formando così una «inclusione letteraria», il che significa che i vv. 37-39 formano una stretta unità, denominata dal suo inizio e dalla sua conclusione.

La descrizione dei «giorni prima del diluvio» e dei «giorni nostri» è parallela.

Allora (v. 38) tutti si preoccupavano non della Parola divina pure annunciata, ma solo delle loro funzioni biologiche.

L’espressione «mangiavano e bevevano»non indica solo la funzione nutritiva, ma è un semitismo caratteristico, che con due estremità distali (cielo e terra, maschi e femmine, buoni e cattivi, e così via cf. anche Sal 139) vuole indicare una totalità. Tutta la vita era condotta materialisticamente, senza altri fini.

Il punto di confronto tra la situazione al tempo di Noè e la venuta del Figlio dell’uomo è l’imprevedibilità della crisi. Qui non c’è nessun accenno alla depravazione imperante prima del diluvio. Il diluvio è venuto talmente improvviso che la gente non se ne rese conto fino a quando non ne fu travolta. In Genesi 6 però questo tema non è fatto risaltare. Matteo omette il materiale Q riguardo a Lot e sua moglie che si trova in Lc 17,28-29.31-32.

La seconda espressione è analoga «prendevano moglie e marito», altre due estremità distali, che indicano come la vita degli uomini fosse tutta tesa senza Dio a creare generazioni senza senso, senza avvenire, senza scopo, poiché senso, avvenire e scopo provengono solo da Dio (l’evento è in Gen 7,7-16).

Noè è un «segno» posto tra gli uomini per la loro salvezza in modo duplice:

  1. mentre costruiva l’arca, tutti lo vedevano e ne erano avvertiti, anche se non se ne curarono;
  2. dopo il diluvio, nell’alleanza del Signore, egli è il prosecutore della vita umana.

Il Signore aveva concesso lo spazio della conversione e della penitenza, della preparazione; gli uomini erano invece impreparati perché non avevano creduto alla predicazione di Noè (cfr. 1 Pt 3,20).

È inutile «mangiare e bere» e fare tutto il resto vivendo senza la minima avvertenza; l’essenziale è compiere quelle medesime operazioni in vista del Disegno finale che il Signore annuncia agli uomini.

La rievocazione del lontano diluvio ha forse qualcosa di minaccioso, ma vuole solo mettere in risalto la necessità di «credere» e di «prepararsi» al grande evento, in modo che questo risulti non di sciagura, ma di salvezza.

«Così sarà anche alla Venuta del Figlio dell’uomo» (v. 39b): preavvertita e l’ultimo Segno della salvezza.

Nessuno dica: Non lo sapevo.

Essa è inesorabile e benefica, poiché si pone davanti a noi: prima di noi, e ci accompagna, e ci segue.

«Figlio dell’uomo»: Matteo usa questo nome almeno 30 volte; esso è desunto dal testo classico di Dn 7,13-14.

40-41 La vigilanza è così importante, che da essa dipende la diversa sorte, di perdizione e di salvezza, che toccherà ai singoli. Indicazione per tanti versi misteriosa trova una comprensione nei rimandi:

  • Es 11,5 il «Passaggio del Signore» nella notte della Pasqua colpirà solo i figli primogeniti, da quello del faraone a quello della schiava che macina. Adesso l’ultimo Passaggio, che è la Venuta, mentre prima aveva risparmiato gli altri figli, colpirà direttamente anche le genitrici; la fonte della vita sarà recisa alla radice.
  • Is 47,2: il secondo rimando è un oracolo di minaccia contro Babilonia opprimitrice d’Israele contro la volontà del Signore. Che macini il grano, operazione lasciata alle donne, che fugga lontano, non scamperà dal Signore che viene per la giustizia retributiva.

«uno verrà portato via»: Il verbo paralambanetai ha connotazioni escatologiche. L’idea dei confronti tra i «due uomini nel campo» e le «due donne alla macina» che subiranno una diversa sorte è la divisione che sarà causata (o meglio, si renderà manifesta) al momento della venuta del Figlio dell’uomo. Tra due persone che fanno lo stesso lavoro e perciò sembrano uguali, quando verrà il Figlio dell’uomo l’una entrerà a far parte del regno di Dio, l’altra ne rimarrà esclusa. La versione di Luca presenta due uomini che dormono e due donne che macinano (Lc 17,34-35).

42-44 Questa pericope è racchiusa da un’inclusione letteraria, formata dai due estremi: «vegliate – verrà il Signore vostro» e «state preparati – verrà il Figlio dell’uomo». L’imperativo «vigilate!» è un grido d’amore, che suona come un allarme primo e ultimo, dopo non si avrà più.

«Vegliate dunque»: Data l’imprevedibilità e il carattere decisivo della venuta del Figlio dell’uomo illustrati nei due raffronti, è necessaria la massima vigilanza. Visto che nessuno conosce il momento esatto della venuta del Signore (vedi anche 24,36), l’unico atteggiamento possibile è una costante vigilanza (poiché potrebbe accadere in qualsiasi momento).

Vigilare, in greco grègoréó , indica, molto più che «stare svegli», suo senso originale; non si tratta di veglia e attesa apatica, rassegnata. È la fede viva operante nella carità, come si esprime S. Paolo. Cristo lo ha indicato con chiarezza:

  1. anzitutto vigilare «con il Signore», pregando Mt 26,38.40, al Getsemani;
  2. conservando la lampada accesa della Sapienza divina: Mt 25,13, le 5 vergini sapienti;
  3. il vigilare con il digiuno, l’elemosina, la preghiera: Mt 6,1-18.
  4. lo dice anche Paolo in 1 Ts 5,6; e poi lo mostra in atto (At 20,7-12).

Segue una parabola, quella del padrone di casa, il cui punto centrale è la figura del ladro la cui azione è caratterizzata dalla segretezza e dalla imprevedibilità.

«il padrone di casa… veglierebbe»: Il paragone tra un evento imprevisto e il ladro che entra in casa di soppiatto si trova anche in 1 Ts 5,2; 2 Pt 3,10; Ap 3,3; 16,15. Ma qui l’arrivo del ladro è previsto; è solo l’ora che è sconosciuta. Se il padrone sapesse esattamente l’ora della venuta del ladro, prenderebbe tutte le precauzioni del caso. Il confronto con Lc 12,39-40 indica che Matteo ha aggiunto «veglierebbe», sottolineando in tal modo il tema della costante vigilanza.

Il paragone è «dal minore al maggiore»: se un miserabile ladro viene all’improvviso ad operare male e rovina, tanto più il Signore «vostro» che viene per trovarci e fare il nostro bene (non senza di noi), verrà all’improvviso.

La figura del Signore che si presenta «come un ladro» è paradossale e forse poco amata dal nostro «buon senso». Ma essa è familiare al N.T., in Paolo (1 Ts 5,2), nella tradizione petrina (2 Pt 3,10), in Giovanni (Ap 3,2-3; 16,15).

Marco e Luca chiudono il discorso escatologico proprio con l’appello alla vigilanza, mentre il detto del ladro è solo di Matteo; Luca riporta tale detto in altro contesto (12,39-40).

Per questo anche voi tenetevi pronti (v. 44).

«Perciò anche voi tenetevi pronti»: Poiché la venuta del Figlio dell’uomo rimane misteriosa («nell’ora che non immaginate»), si deve stare costantemente all’erta, trattando ogni momento come se fosse quello della venuta del Figlio dell’uomo. Il Signore ha preparato l’Eredità dei Regno (Mt 25,34) per chi è pronto. Chi obbedisce alla Parola, ecco che si trova preparato da Dio stesso.

Antifona alla Comunione Sal 84,13

Il Signore elargirà il suo bene

e la nostra terra produrrà il suo frutto.

L’antifona alla comunione tratta ancora dal sal 84 forma una inclusione tra la Parola proclamata e il suo Corpo e Sangue offerti, dunque «oggi qui» si realizza questo Evangelo della divina Grazia. Anzitutto ascoltando e “mangiando” questa Parola, comunicando a essa con intensità rinnovata. Poi comunicando ai divini Misteri, operati dallo Spirito Santo, già efficaci nella Parola, poiché solo lo Spirito Santo comunica la Presenza del Signore Risorto che porta il Padre suo, Presenza Trinitaria indivisibile. Infine, nello Spirito Santo comunicando con amore totale al Corpo di Cristo che è la Chiesa Una Santa, la Sposa e la Madre, nella Chiesa locale visibile. Così il Salmo fa cantare che il Signore oggi in specie è Colui che viene. Quindi che verrà, poiché venne, resta e viene sempre ai suoi. Egli, il Signore atteso sempre, oggi «dona il Bene», che è significato dalla partecipazione a Lui nella triplice comunione, all’unica Mensa della Parola e dei Misteri, e alla Chiesa.

II Colletta

O Dio, Padre misericordioso,

che per riunire i popoli nel tuo regno

hai inviato il tuo Figlio unigenito,

maestro di verità e fonte di riconciliazione,

risveglia in noi uno spirito vigilante,

perché camminiamo sulle tue vie di libertà e di amore

fino a contemplarti nell’eterna gloria.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano