Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 26 Giugno 2022

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DOMENICA «DEL VIAGGIO VERSO GERUSALEMME»

I sinottici, raccontando gli incontri storici di Gesù con coloro che egli invita a seguirlo, ne fanno un appello vivo per i cristiani. Nella pericope di oggi, ad esempio, l’evangelista Luca lascia anonimi gli interpellati e non riporta la loro risposta: tutti gli uomini devono essi stessi sentirsi chiamati in causa, dare una risposta, prendere una decisione. Così Luca, da una parte, collegando con chiari riferimenti letterali la chiamata dei discepoli all’Antico Testamento, dice che Gesù «compie» le Scritture (è il Messia); d’altra parte, con gli accorgimenti sopra indicati, presenta gli incontri storici con Gesù come «profezia» che attende un compimento nei cristiani. Essi sono i discepoli del Cristo Risorto e lo incontrano nella parola, nei sacramenti, nel prossimo.

Ogni cristiano deve seguire Gesù nel distacco dai beni materiali per essere libero e disponibile, nel disprezzo di tutto ciò che è male ed infine nel rifiuto di ogni attaccamento al passato (Fil 3,12.14).

Per Giovanni ciò che definisce il discepolo di Gesù è esplicitamente la fede (Gv 1,41; 2,1-11; 6,6-7). Senza fede anche la comunanza terrena con Gesù avrà rapidamente fine. Un camminare con Gesù basato unicamente su motivi umani conduce fatalmente alla catastrofe della defezione (Gv 6,66). Questa fede trova la sua verifica nell’amore fraterno, che è il distintivo dei discepoli e il vero segno «rivelatore» per il mondo (Gv 13,14ss).

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Ma l’elemento specifico dei rapporto del discepolo con Cristo, che lo rende diverso da qualunque altro rapporto fra maestro e discepolo, è un’adesione assoluta, incondizionata e definitiva alla persona di Cristo. Nessun valore, nessuna legge, nessun rapporto umano per quanto stretto può essere anteposto a lui. Egli si pone come significato totale della vita. Non chiede tanto l’accettazione di una dottrina astratta, ma la scelta della sua persona. Dio non s’impone all’uomo. Lo chiama invece a diventare corresponsabile di quella vita che per grazia gli offre nel pieno rispetto della libertà. La sua parola che invita a conversione aspetta una risposta di fede. Solo mediante la fede l’uomo si rende disponibile al piano di salvezza che il Signore ha tracciato per lui e per il mondo.

Per abitudine pensiamo alla fede più come a un elenco di verità astratte da credere che a un impegno di vita responsabile e coerente. Ma la fede non è solo un atto con il quale si contempla la luce della verità; è vita nuova che trasforma e salva. Sulla esperienza autentica della Chiesa è possibile capirne l’importanza; solo la Chiesa infatti ha la pienezza della fede. Cristiano è chi ha scelto Cristo e lo segue. In questa decisione fondamentale per Gesù Cristo, è contenuta e compiuta ogni altra esigenza di conoscenza e di azione della fede.

L’adesione incondizionata alla persona di Gesù, l’obbedienza assoluta a lui è un atto liberatore. Chi segue Cristo è veramente un uomo libero, senza padroni. Un uomo libero dalla schiavitù delle cose, del potere, del denaro, del sesso, libero soprattutto da se stesso.

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Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 46,2

Popoli tutti, battete le mani,

acclamate a Dio con voci di gioia.

L’imperativo dell’orante del Sal 46 rivolto all’assemblea liturgica è il segno di lode e di gioia dell’ascolto fedele: un coro gioioso e strepitante, come per le maggiori feste o per una vittoria.

Fa eco sonante

Antifona alla Comunione Sal 102,1

Anima mia, benedici il Signore:

tutto il mio essere benedica il suo santo nome.

Come discepoli del Signore contemplando i prodigi della Parola e del Convito, e ancora il prodigio della Divina Carità che ci costituisce Chiesa tutta battezzata e spinta dallo Spirito Santo ci fa celebrare il Signore e la Sua Resurrezione.

Canto all’Evangelo 1Sam 3,9; Gv 6,68

Alleluia, alleluia.

Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta:

tu hai parole di vita eterna.

Alleluia.

La chiave di lettura della Parola proclamata è una composizione di due testi 1Sam 3,9 e Gv 6,68. Nella prima citazione viene riportato il suggerimento dato a Samuele da Eli, l’anziano sacerdote custode del santuario di Silo, che stava formando il ragazzo alla vita religiosa. Il Signore chiama il giovanissimo Samuele di notte, per tre volte, alla quarta per suggerimento di Eli si rivolge al Signore chiedendogli di parlare, perché lui, servo umile, ascolterà ed obbedirà.

La seconda citazione è tratta dal lungo capitolo 6 di Giovanni che riporta il “discorso eucaristico” (Gv 6,22-58) dopo il segno della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Pietro alla domanda del Signore («Forse anche voi volete andarvene?») afferma che Lui, intendendo “solo Lui”, ha le Parole della Vita eterna; quelle che il Signore ha dichiarato che «sono Spirito e sono Vita» (Gv 6,63).

Anche noi oggi, e dunque anche tutti i fedeli, sempre siamo ascoltatori della Parola, riaffermando che siamo servi obbedienti del Signore.

Dopo la trasfigurazione Gesù si avvia decisamente verso Gerusalemme e la croce; il Signore battezzato dal Padre e confermato alla Trasfigurazione con la Nube della Gloria che è lo Spirito radicalizza ancor più la sua missione.

Luca dà inizio alla narrazione di questo «esodo che deve compiersi» nella città di Dio e nella sua redazione offre del materiale che solo lui usa, il «grande inciso» (Lc 9,51-19,27).

Il viaggio a Gerusalemme è un blocco imponente, che si distacca dallo schema di Marco sin qui seguito e incomincia con una forma solenne (v. 51 ) che rimanda per anticipo a 24,51, al “fatto” ormai compiutosi.

La vocazione di Eliseo (I lett), il testo di S. Paolo che ci parla della chiamata a vivere liberi (II lett), il dialogo di Gesù con coloro che vogliono seguirlo (Evangelo), ci invitano a riflettere sui temi della chiamata, del discepolato, della sequela di Gesù.

Nella I lettura il Signore ordina ad Elia di «ungere» di consacrazione Eliseo come profeta, destinato a succedergli. Nell’AT in genere sono unti i sacerdoti, anzitutto, e poi i re. Invece è raro il caso che sia unto un profeta. Tuttavia al suo successore Elia vuole dare importanza e risalto in Giuda e in Israele (v. 16b).

I profeti provenivano da tutti gli ambienti e da tutti gli strati sociali. Alcuni, come Isaia, erano nati in città; altri venivano da ambienti rurali, come Amos e Michea, e alcuni altri appartenevano a famiglie sacerdotali, come Geremia ed Ezechiele.

Eliseo fu chiamato al ministero mentre stava arando nei suoi campi. Quasi tutte le chiamate dei profeti sono confermate da un gesto esterno, che diviene una specie di segno sacerdotale. A Isaia uno dei serafini, che stavano intorno al trono di Yahveh, purificò le labbra con un carbone ardente (Is 6,6-7); a Geremia Yahveh stesso stese la mano e gli toccò la bocca mentre gli comunicava le sue parole (Ger 1,9); a Ezechiele Dio fece mangiare un rotolo che ebbe per lui il sapore del miele (Ez 3,1-3); a Eliseo Elia pose sulle spalle il suo mantello. È un gesto alquanto enigmatico, ma il suo significato è chiaro: si tratta della chiamata al ministero profetico, poiché, da quel momento, Eliseo abbandonò tutto e seguì il suo maestro Elia.

Per alcuni il mantello era uno dei distintivi dei profeti, e sarebbe quindi una specie di simbolo della dignità profetica. Per altri il mantello, come anche i vestiti in generale, dato il loro contatto diretto col corpo, partecipano della forza e della personalità di colui che li indossava. In un caso e nell’altro qui si vuol far comprendere che Eliseo è stato eletto come successore di Elia nel ministero profetico.

È descritta allora la vocazione che Elia trasmette a Eliseo. Questi sta arando da solo un terreno, che deve essere di enorme estensione, se vi impiega addirittura 12 paia di buoi (v. 19a). Appena giunto da lui, Elia come primo gesto lo copre con il mantello, in segno di possesso sacro da parte della potenza divina (v. 19b). Eliseo lascia tutto immediatamente, come i primi discepoli di Gesù stesso (ancora Mt 4,18-29), e si pone dietro a Elia. Però gli chiede che prima possa andare a «baciare il padre e la madre» in segno di congedo e di benedizione. Come già si è detto, Elia glielo concede (v. 20).

Allora Eliseo cuoce due dei suoi buoi, li prepara interi per darli alla folla, in convito come segno di commiato e per lasciare un buon ricordo, e mangia perfino con tutti. Poi segue Elia e lo serve (v. 21). Il giovane israelita deve abbandonare tutto per seguirlo, come faranno i discepoli di Gesù ma si noti la radicale diversità che Gesù pone nella sua severa vocazione, che deve essere accettata tutta e subito, e non ammette condizioni e tergiversazioni. È certo tuttavia che, con maggiore o minor prontezza, Eliseo abbandonò i suoi campi e la sua famiglia e si mise al servizio di Elia. Questo abbandono e questa rottura col passato sono simboleggiati bene dal sacrificio della sua coppia di buoi, offerto in compagnia della sua gente come atto di commiato.

Sei tu, Signore, l’unico mio bene”. Il v. 5a (adattato) del salmo responsoriale (sal 15), ci fa cantare litanicamente che il Signore è l’Eredità che toccò in sorte ai suoi fedeli per sempre. Nel salmo l’Orante, che è un sacerdote, chiede con epiclesi al Signore di essere custodito, poiché in modo fedele e costante ha sperato in Lui (v. 1), sulla base ferma della decisione che prese da giovane, di consistere saldamente e per sempre sull’alleanza sacerdotale con Lui: «Signore mio Tu sei!» (v. 2a). Da questa non si è mai più discostato nella sua esistenza fedele.

Che l’Orante sia un sacerdote risulta dal v. 5: il Signore si è donato a lui come l’unica «quota ereditaria», derivata dalla coppa benefica, dalla quale si usava estrarre la sorte. E la sorte gli fu straordinariamente favorevole, poiché gli toccò il Signore stesso, e anzi il Signore stesso volle essere la sorte sua favorevole (v. 5). È noto che nell’AT Israele diviso in tribù aveva ricevuto in sorte la terra; il libro di Giosuè ne riporta complicate descrizioni (Gios 13,1 – 22,34). Tuttavia il Signore aveva stabilito che, tra tutti, i sacerdoti non dovessero possedere nulla in Israele, poiché l’Eredità loro era il Signore stesso (testi indicativi: Num 18,20; poi Ger 10,16; Lam 3,24; anche Sal 72,26; 118,57; 141,6). Di questo l’Orante esprime la sua gioia esultante. E benedice il Signore che gli donò il consiglio, e su Lui medita molto anche di notte (v. 7).

Però a tanto dono egli ha il merito di avere corrisposto, e così riafferma che nella sua esistenza ha sempre tenuto davanti ai suoi occhi il Signore. Tanto più che il Signore stesso nella dura lotta della vita si è messo alla sua destra, il posto che assume l’alleato nel combattimento (anche Sal 108,31; 109,5; 120,5; 141, 5), così che egli si regge saldamente (v. 8). Di qui la sua gioia profonda, espressa dal canto d’esultanza della sua bocca (Sal 12,6; 29,12-13). Di più ancora, la sua carne, ossia l’intera sua esistenza, riposa tranquilla, nella placida speranza nel Signore (v. 9).

Tale speranza si spinge così a fondo, che l’Orante ha la ferma fiducia che il Signore non lo abbandonerà alla morte e alla sepoltura, all’esistenza larvale dei defunti. Non permetterà che il suo “santo”, ossia il sacerdote consacrato da Lui e per Lui, subisca la terrificante putredine della morte (v. 10).

Questo versetto è citato alla lettera da Pietro nel suo annuncio della Resurrezione la mattina della Pentecoste (At 2,31), come profezia veridica della Gloria di Cristo, crocifisso ma per Decreto eterno del Padre resuscitato dalla morte. Esistono nell’AT anche altri accenni a questo tema (Sal 85,13; Giob 33,24-25). Il v. 10 del Sal 15 motiva perciò il suo uso nella Notte della Resurrezione (salmo responsoriale dopo la II Lettura della Veglia della Resurrezione).

Adesso il Salmista può riaffermare ancora la sua fiducia per concludere il suo canto. Il Signore gli rivelò le «vie della Vita», i comportamenti esemplari, giusti e santi, per ottenere da Lui la Vita. Questa si manifesta nella pienezza della gioia, quando il Signore lo ammetterà a contemplare il suo Volto. Ma già adesso nel santuario l’Orante sacerdotale gusta senza fine le delizie della Destra del Signore, il Convito sacrificale a cui per sua felicità è stato ammesso di pieno diritto per sempre (v. 11).

I discepoli di Gesù sono chiamati ad essere con Lui, a partecipare intimamente alla sua vita e a comunicare profondamente con la sua persona. Questo discepolato (come dice s. Paolo: «vivere con Cristo e in Cristo», cf Rm 6,3-11) non è un inizio o una fase della vita, ma una condizione permanente: Gesù è sempre il “maestro” per coloro che credono in Lui. “Mio Signore sei tu!” l’unico mio bene.

Gesù accetta una volta per tutte la morte che si profila all’orizzonte, e tutto ciò che intraprende, come questo viaggio a Gerusalemme, si colora ormai di un significato nuovo, poiché la morte è vicina. Potenza straordinaria di rinnovamento che la morte può suscitare nel cuore di colui che vive la sua condizione umana senza alibi o scappatoie! Ma i discepoli di Gesù non sono ancora a questo punto. Incapaci di accettare la morte, accampano pretese e scuse, anzi vorrebbero usare la violenza per favorire il «regno». Le persone interpellate da Gesù rimangono nell’anonimato: non soltanto gli apostoli, ma ogni uomo deve salire a Gerusalemme al seguito di Gesù, accettandone tutte le conseguenze e i rischi.

Esaminiamo il brano

51 – «tolto dal mondo»: Luca usa il termine «analèmpsis», “assunzione, innalzamento” che richiama il rapimento di Elia, la sorte del «servo di Jahvé» in Isaia (41,1) e specialmente l’ascensione di Gesù che tuttavia si intende sempre nella sua interezza di: Passione – Morte – Resurrezione – Ascensione -Pentecoste.

«prese la ferma decisione»: Gesù assume un atteggiamento nuovo e singolare: lett. «induri il suo volto per procedere verso Gerusalemme». Gerusalemme non è soltanto una meta geografica ma è il traguardo di un destino (la salvezza universale di tutti gli uomini) lungamente atteso. Il richiamo diretto è a Is 50,7, nel «3° carme del Servo sofferente» (che sta nei vv. 4-11).

52 – «Samaritani»: discendenti dei deportati pagani che gli Assiri nel 8° sec. a.C. avevano trapiantato nel regno settentrionale, e che si erano fusi con i residui ebrei, dando luogo a forme religiose ritenute semi-paganeggianti. Dopo l’esilio gli Ebrei non vollero che partecipassero alla loro assemblea cultuale generando cosi inimicizia; inoltre i Samaritani non riconoscevano il santuario di Gerusalemme, e ne avevano costruito uno sul monte Garizim.

54 – «Vuoi che diciamo…»: ecco la reazione violenta dei due discepoli di Gesù che vorrebbero usare dei poteri ad essi conferiti a scopo di bene (9,1) per azioni violente. Gli apostoli si richiamano nientemeno che al gesto di Elia in 2 Re 1,12.

55 – «li rimproverò»: Gesù richiama i due apostoli (vedi nota Bibbia di Gerusalemme e cfr 19,10; Gv 3,17 e 12,47). Seguono tre incontri, dai quali Gesù, secondo il metodo dei maestri ebrei, ricava una dottrina per i suoi discepoli sulle esigenze radicali della sua sequela. I discepoli non comprendono solo gli apostoli (cfr Lc 10,lss, evangelo della XIV Dom.) ma tutti coloro che lo ascoltano e vogliono fare la sua volontà (tutti gli uomini sono infatti chiamati).

57 – «un tale gli disse…»: Il primo (secondo Mt 8,18-22 uno scriba) che vuole seguire Cristo ovunque vada, riceve una risposta che appare quasi sibillina, ma non tanto: è un avvertimento severo. Come fu severo il richiamo a Pietro (cf. 22,33-34 e brani paralleli). Chi vuol seguire Cristo deve essere come lui: sradicato dalla vita comoda e dalla sicurezza materiale, non invischiato negli interessi terreni, per essere sempre disponibile alle urgenze del ministero, abbandonato all’azione dello spirito in perfetta libertà (cfr II lettura). Da notare che non abbiamo la risposta: perplessità del discepolo?

V. 59 – «A un altro disse: “Seguimi”»: Il secondo incontro è con un uomo che Gesù stesso invita al suo seguito (per Matteo è già un discepolo); costui è già pronto a rispondere alla chiamata ma chiede:

« Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre»: vuole sistemare gli affari di famiglia.

La risposta di Gesù è tra le più dure di tutto il NT: i morti (= non chiamati) seppelliscono i loro defunti; il tono iperbolico della risposta di Gesù dà risalto alla necessità, per chi si impegna ad un ministero di vita qual è l’impegno evangelico, di essere disposto a tutto, anche all’eroismo. La chiamata se rinviata o trascurata potrebbe non ripetersi e compromettere cosi la pienezza della vita e la sorte eterna. Gesù ha dato l’esempio di totale dedizione (Lc 2,49) e non c’è discepolo che possa ritenersi superiore al suo maestro (Lc 6,40).

Anche qui non conosciamo se il discepolo abbia seguito l’ordine del maestro.

61 – Il terzo incontro riportato da Luca è esemplare: un discepolo, generoso ed insieme scrupoloso, si crede importante come Eliseo e chiede di «congedarsi da quelli di casa» (cfr I lettura); Elia non ha la statura di Gesù e glielo permette. Gesù al contrario dà un’altra risposta durissima: “chi pone ….”(v. 62).

È la necessità di essere continui e costanti, con cuore indiviso, nel lavoro incessante dell’annuncio, come S. Paolo ha sperimentato e detto in Fil 3,13.

Questi insegnamenti non riguardano solo coloro i quali hanno il dono di una particolare vocazione: la vocazione battesimale, che è di tutti i cristiani, esige fondamentalmente le stesse disposizioni di spirito.

Per tutti, l’Evangelo comporta rischi, rinunzie e fedeltà a tutta prova per la non certo facile conquista del regno di Dio.

II Colletta

O Dio, che ci chiami a celebrare i tuoi santi misteri,

sostieni la nostra libertà con la forza

e la dolcezza del tuo amore,

perché non venga meno

la nostra fedeltà a Cristo

nel generoso servizio dei fratelli.

Per il nostro Signore Gesù Cristo…

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano