«DELLA TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE»
Il tema, l’insegnamento centrale di questa II Domenica di quaresima è l’amore di Dio. Nei primi due brani, viene messa in luce la grandezza e la profondità di questo amore: il Padre (rappresentato da Abramo) ci ama fino a donare il suo Figlio per noi. Nell’antico Testamento, questo avveniva in immagine: ora è divenuto realtà. Ma, nel contempo, viene messa in luce la diversità dell’amore di Dio: egli ama il Figlio, eppure lo sacrifica; ama il suo popolo e permette tante difficoltà. Così si passa dal tema dell’amore di Dio, a quello della fede, fede pura, che consiste nell’accettare Dio, anche quando è diverso da come lo vorremmo. Sotto questa visuale, occorre leggere l’episodio della trasfigurazione.
I discepoli hanno capito che Gesù è il messia; in lui si realizza la salvezza. Ma non riescono a comprendere, ora, che egli annunci la sua passione e morte: non vedono come l’amore di Dio possa nascondersi dietro la croce. Questo è, infatti, il significato della trasfigurazione: ai tre apostoli, che dovranno essere testimoni di un’altra trasfigurazione (l’agonia del Getsemani) e per prepararli a capire nel giusto senso i dolori e le umiliazioni della passione, Dio concede d’intravvedere per un istante la gloria del Figlio, al di là delle apparenze che sembrerebbero contraddirla.
Anche s. Paolo, nella seconda lettura, afferma la certezza dell’amore di Dio, la sua fedeltà, adducendo come prova il fatto che egli ci ha donato quanto aveva di più caro: il suo stesso Figlio. Nessuna difficoltà, nessun dubbio, nessuna prova, possono separarci dall’amore che Dio ha per noi. Perciò nessuna situazione umana giustificherà in noi la preoccupazione, il dubbio della fede, la sfiducia in Dio. È una convinzione che possiamo maturare riflettendo sul comportamento di Dio, come si rivela nella storia della salvezza.
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Dall’eucologia:
Antif. D’ingresso (Sal 26,8-9)
Di te dice il mio cuore:«Cercate il suo volto».
Il tuo volto io cerco, o Signore.
Non nascondermi il tuo volto.
La meditazione costante del Salmista fedele sale dal suo cuore, il centro della sua anima. Essa tende a «cercare il Volto» del Signore. Il volto è il principale simbolo della persona, la sua presenza concreta. L’occhio vuole sempre vedere il volto, come l’orecchio vuole sempre ascoltare la voce. Questo è del Signore stesso che si rivolge alla sua Sposa: «Mostra a Me il volto tuo, fa’ che io ascolti la voce tua!» (Ct2,14, testo esemplare; vedi anche 8,13). L’Orante desidera solo vivere alla luce di questo Volto.
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La Trasfigurazione è così importante, che seguendo i Padri che la trattarono a fondo, le Chiese orientali ne hanno fatto il cardine capitale della loro spiritualità. Brevemente riassumiamo quanto detto diverse volte. Il Signore, battezzato dal Padre con lo Spirito Santo, al Battesimo riceve il suo ministero messianico nelle tre Parole del Padre: «Il Figlio mio, il Diletto, in Te Io già Mi compiacqui». Sul suo Battesimo è tentato ma vince (Domenica I di Quaresima). Adempie il suo ministero nello Spirito Santo, annunciando l’Evangelo e operando le opere del Regno. A un certo punto la sua missione, che tendeva a radunare intorno a sé il suo popolo come discepolo e missionario, sul piano umano è fallita. Gli restano solo 12 discepoli, numero simbolico del “resto” delle tribù d’Israele. Per proseguire ha bisogno di essere “confermato” su due punti: sulla fede di questi discepoli, e nel suo ministero messianico. Solo così esso può proseguire fino alla Croce. La fede è dunque il contesto dell’episodio della Trasfigurazione.
L’obbedienza di Abramo, l’ascolto fedele che egli presta alla Parola di Dio e la fiducia con cui consegna tutto se stesso a Dio, senza paura di privarsi del figlio Isacco, delineano l’atteggiamento del credente in questo tempo di Quaresima. Questo atteggiamento di fede, di obbedienza a Dio e di ascolto della sua Parola raggiunge il vertice in Gesù.
L’episodio della trasfigurazione, insistiamo, va compreso alla luce della fede biblica, la quale trova in Gesù il più perfetto rappresentante (superiore ad Abramo, a Mosè, e ad Elia) e alla luce del suo rapporto con Dio, al quale Gesù ha consegnato tutto se stesso fino alla morte in croce (evangelo).
La risposta di Dio non delude, ma incoraggia l’atteggiamento dell’uomo che, come Abramo e Gesù, ascolta e mette in pratica la sua Parola: «Se Dio è con noi,- chi sarà contro di noi? Chi ci accuserà? Chi ci condannerà?» (II lett).
Lo schema dei Sinottici pone chiaramente come “cerniera” la Trasfigurazione tra la prima e la seconda parte del ministero messianico del Signore. La seconda parte è resa possibile dalla Teofania trinitaria della Luce sul Monte, per la Visione e per la Parola, dove il Padre “conferma” il Figlio, assunto dalla Nube della gloria divina che è lo Spirito Santo, per giungere alla Croce. Va notato che precisamente la Trasfigurazione nei sinottici sta tra il 1° e il 2° preannuncio della Croce e della Resurrezione.
L’episodio della trasfigurazione è centrale nella trama di tutti e tre i Sinottici. Infatti l’antico racconto apostolico, conservato nella sua linea essenziale da Marco, si articola in due parti, mostrando due fasi del ministero di Gesù, caratterizzate anche geograficamente: la prima parte si svolge in Galilea e la seconda a Gerusalemme. Nella prima parte domina la nota del successo e dell’accorrere abbondante di folle al seguito di Gesù, mentre nella seconda parte si assiste alla crisi di molti, che non se la sentono più di seguirlo.
Dopo il momento iniziale, accolto superficialmente, soprattutto per interesse privato, viene la scelta difficile e impegnativa di seguire Gesù sul serio, accettando quello “stile strano” che egli propone. L’evento del monte segna proprio tale spartiacque ed è il tema di questa domenica. Entrambe le parti dell’evangelo secondo Marco culminano con una professione di fede: alla fine della prima, Pietro riconosce Gesù come il Cristo (Mc 8,29), mentre alla fine della seconda parte sarà il centurione romano a confessare che quell’uomo è veramente Figlio di Dio (Mc 15,39). Il cammino che porta questi due personaggi alla fede in Gesù è praticamente il contenuto del secondo evangelo.
La Trasfigurazione svolge un ruolo molto importante come centro della catechesi cristologia: si tratta infatti di un testo composto sul modello degli oracoli di investitura e con ripetuti richiami alla tradizione dell’Esodo che presentava Mosè durante l’incontro con Dio nella nube luminosa. L’alto monte richiama immediatamente il Sinai e quel fondamentale episodio della storia d’Israele: anche Gesù sale sul monte, ma non come nuovo Mosè, per svolgere la funzione che l’antico legislatore aveva svolto per l’antico popolo; egli non sale sul monte per incontrare Dio, ma per rivelarsi come Dio; non va a ricevere la legge da Dio, ma sale perché i suoi discepoli abbiano la divina conferma della sua qualità messianica. Ciò che egli riceve sul monte è l’investitura ufficiale, l’attribuzione solenne del compito di Messia e la rivelazione, superiore alle attese, della divina figliolanza.
Le Scritture divine, rappresentate da Mosè ed Elia, confermano che la scelta di Gesù è secondo il progetto di Dio: l’Antico Testamento rende testimonianza al Cristo. Così nella nube e nell’ombra i discepoli increduli, come eredi di Mosè e di Elia, vedono la gloria di Dio che brilla sul volto umano di Gesù e capiscono che lui ha ragione. La sua strada è quella giusta!
Esaminiamo il brano
v.1 «E diceva loro»: Marco usa spesso questa espressione per fare dei collegamenti (vedi 2,27; 4,11.21.24; 6,10; 7,9; 8,21), specialmente quando, come in questo caso, il collegamento non è immediatamente ovvio. Questo versetto fa da ponte tra 8,34-38 e 9,2-8.
«In verità [amen] io vi dico»: La parola «amen» è spesso usata a conclusione di una preghiera o di una dichiarazione, ma usata per iniziare un discorso è insolita e da molti è considerata una caratteristica dei discorsi del Gesù storico. Già usata in 3,28 e in 8,12, la parola diventa sempre più frequente nella seconda metà dell’Evangelo di Marco (vedi 9,41; 10,15.19; 11,23; 12,43; 13,30; 14,9.18.25.30).
v. 2 – «dopo sei giorni…»: L’inizio parla di “sei giorni dopo” (cf anche Mt 17,1), il che potrebbe significare che l’evento avviene un venerdì sera, in “apertura del sabato”.
Questo esatto riferimento di tempo incuriosisce. A cosa si riferisce? Vengono date diverse spiegazioni: faceva parte della fonte premarciana e l’evangelista l’ha riportata sbadatamente; è un’allusione alla teofania che Mosè ha avuto sei giorni dopo sul monte Sinai secondo Es 24,15-17; è un riferimento retrospettivo alla confessione di Pietro in 8,29, oppure un’anticipazione della «settimana di passione» di Gesù a Gerusalemme. Le riflessioni a cui siamo richiamati sono certamente il vero valore più che la vera definizione dei sei giorni.
«Pietro, Giacomo e Giovanni»: Il Signore prende con sé 3 testimoni, Pietro, Giacomo e Giovanni, i medesimi che aveva portato quando aveva resuscitato la figlia di Giairo (Mt 9,18-26), e che poi si porterà al Getsemani (Mt 26,37). Li conduce in disparte su un alto monte. Luca aggiunge quasi in nota la motivazione che ha convinto i discepoli «per pregare» (9,28). “Andiamo sul monte a fare “un sacrificio” dice Abramo all’amato figlio Isacco. Tra i monti abitualmente indicati c’è l’Ermon, il Carmelo e il Tabor (il luogo tradizionale a partire dal quarto secolo). Ancora più importante dell’esatta località geografica è il motivo che i monti (Moria, Sinai, Gerusalemme, ecc., come pure l’Olimpo e molte altre località non ebraiche) sono luoghi di incontro con esseri soprannaturali e di rivelazione divina. L’enfatica espressione avverbiale «in disparte, loro soli» fa risaltare il carattere misterioso dell’episodio.
v. 3 – «le sue vestì divennero fulgide»: Le vesti di un bianco abbagliante presumibilmente manifestano la gloria di colui che le indossa (vedi Ap 3,4; 7,9). Alcuni commentatori fanno notare l’assenza di un riferimento al volto di Gesù in 9,3 (vedi per contro Mt 17,2 e Lc 9,29). Il verbo stilbein («splendere, brillare, luccicare») nel NT è usato solo in questo passo.
Lì avviene dunque una Teofania trinitaria. Anzitutto dall’Umanità del Signore, dal suo interno per così dire e non da fuori, sfolgora la Luce divina increata, in specie dal suo Volto che sembra un sole (cf Mt 17,2), e le stesse vesti brillano di emanato splendore, sicché Egli “fu trasfigurato”, ossia “cambiò forma (morphè)”, come va tradotto alla lettera metamorphóō. Nel contesto della teologia cristiana primitiva un modo migliore per capire l’idea è dato dall’inno cristologico in Fil 2,6-11: «egli, pur essendo di condizione (morphe = «forma») divina… annientò se stesso… diventando simile agli uomini». Nell’evento della trasformazione/trasfigurazione il gruppetto degli intimi tra i discepoli di Gesù riceve un barlume della sua morphè divina.
I Padri, in specie orientali (Origene, Efrem il Siro, Eusebio di Emesa, un Anonimo del sec. 4°, Cirillo Alessandrino, Massimo il Confessore, e altri) hanno approfondito a lungo il Mistero della Trasfigurazione. Essi concludono unanimemente che lì il Padre “conferma” il Figlio battezzato, con una scena pressoché analoga, se non identica, a quella del Giordano e sempre in funzione della sua missione messianica. Anzitutto lo “conferma” con il permesso, per così dire, dell’esperienza della Resurrezione, quale conforto per la terrificante prova che sarà la Croce imminente. Così che si deve dire che la Trasfigurazione è la Resurrezione anticipata per un istante, mentre la Resurrezione è la Trasfigurazione resa eterna.
Poi Lo “conferma” con la Nube della Gloria, che è lo Spirito Santo, che al Giordano gli sopravvenne come Potenza operativa, adesso gli viene come Pienezza del Santuario che è il Figlio, che deve offrirsi al Padre sulla Croce. Infine, Lo “conferma” con le Tre Parole che ripetono quelle del Giordano, con l’aggiunta dell’imperativo rivolto ai discepoli di allora e di tutti i tempi: “Ascoltate Lui!“.
v. 4 – «Elia con Mosè»: Appaiono adesso Elia con Mose. Un midrash di quell’epoca spiegava che Mosè avrebbe portato al Messia tutta la generazione perita nel deserto con lui. Elia porta con sé al Messia tutto il popolo che riportò al Signore Unico (1 Re 18). I due portano al Trasfigurato, affinché li assuma nella gloria, tutto il popolo dell’A. T.
I due personaggi sono anche generalmente presi ad emblema dei Profeti (Elia) e della Legge (Mosè). Sono entrambi figure profetiche che hanno sofferto a causa della loro fedeltà a Dio. La loro presenza al momento della trasfigurazione di Gesù fa pensare al ruolo di Gesù nell’adempimento delle promesse fatte da Dio nell’AT. E inoltre contribuisce a dare alla scena un tono escatologico (vedi Ap 11,3-13). Secondo 2 Re 2,11 Elia «salì nel turbine verso il cielo», e secondo Mt 3,23 (vedi anche 3,1) egli dovrà ritornare prima che giunga il grande e terribile giorno del Signore. Il mistero che circonda la sepoltura di Mosè (vedi Dt 34,6) ha fatto sorgere alcune tradizioni ebraiche circa la sua assunzione e il suo ruolo escatologico.
Molti commentatori sono sorpresi dalla peculiarità dell’espressione «Elia con Mosè» (vedi «Mosè ed Elia» in Mt 17,3 e Lc 9,30, come pure in Mc 9,5). Secondo alcuni nell’Evangelo di Marco la persona nominata per seconda e presentata mediante «con» (syn) è quella più importante, e pertanto tutti gli evangelisti sinottici dicono la stessa cosa.
«conversando con Gesù»: Essi parlano di questo con Lui. Luca aggiunge che parlavano “dell’esodo suo, che stava per compiere a Gerusalemme” (Lc 9,31), quindi della Croce e della redenzione ormai imminenti.
vv. 5 – 6 – «Pietro prendendo la parola dice..,»: Pietro qui comprende e fa un tentativo disperato di impedire questo esodo fino alla Croce, proponendo di celebrare le Capanne anticipate nella solennità dell’incontro con i due dell’A. T. Già aveva “tentato” il Signore al primo preannuncio della Passione e della Resurrezione, meritandosi il “Và via dietro a Me, satana, scandalo tu sei per Me, poiché tu non pensi alle Realtà di Dio, ma a quelle degli uomini!” (cfr Mt 16,23),
v. 7 – «una nube»: Ma all’improvviso la Nube splendente della Gloria divina viene sopra di essi (Mt 17,5a). Il verbo episkiázō, “fare ombra (skiá) sopra” è usato per il tabernacolo dell’alleanza nel deserto, inaugurato dalla Gloria (Es 40,34-38), e per Maria, il Tabernacolo verginale della nuova alleanza (Lc 1,35). In esso adesso deve avvenire l’atto supremo del culto al Padre, l’Offerta della Croce.
«una voce»: il Padre Invisibile (Gv 1,18), come al Giordano, parla ai discepoli del Figlio le sue Tre Parole: “Questo è il Figlio mio, il Diletto, nel quale Io già Mi compiacqui”, che è la ratifica della Confermazione del Figlio. E aggiunge: “Ascoltate Lui!”. “Ascoltare” biblicamente significa “obbedire” in tutto, dunque fare come Lui opera, andare con Lui, fino alla Croce.
La Teofania sugli uomini produce terrore e confusione grande, come avviene ai tre discepoli, che stramazzano in terra (Mt 17,6). Ma con grande delicatezza Gesù viene ad essi, li tocca e li conforta, esortandoli a rialzarsi e a non temere (Mt 17,7).
v. 8 – «E improvvisamente»: Marco dà efficacemente l’idea della brusca interruzione della storia non solo usando l’insolito avverbio exapina («improvvisamente») ma anche con la doppia negazione (ouketi oudena, letteralmente «non più nessuno»), con l’avversativo alla («eccetto») e con l’espressione finale («solo con loro»).
«non videro…»: la teofania è terminata nella sua visibilità, ma non nei suoi effetti, e vedono ormai solo Gesù (Mt 17,8).
v. 9- «scendevano dal monte…»: Scendendo dal Monte Gesù chiede ad essi il silenzio su quanto hanno sperimentato, fino alla Resurrezione del Figlio dell’uomo (cfr anche Mt 17,9). Dopo la Resurrezione i discepoli predicheranno quanto videro ed ascoltarono e toccarono (1 Gv 1,1-4). Il riferimento al monte ha l’effetto di legare l’insegnamento impartito in 9,9-13 alla trasfigurazione (vedi 9,2). Il legame a sua volta consente a Marco di sondare i rapporti tra l’imminenza del regno di Dio (9,1), la gloria di Gesù (9,2-8) e le sofferenze del Figlio dell’uomo (9,9-13).
«di non raccontare ad alcuno»: Quest’ingiunzione di mantenere il silenzio è anomala perché viene data unicamente ai tre discepoli Pietro, Giacomo e Giovanni ed è limitata nel tempo (fino alla risurrezione di Gesù; vedi 8,31).
Piccola conclusione
Il tema dell’amore di Dio è il centro del messaggio cristiano, argomento fondamentale della rivelazione. Tuttavia rimarrebbe deluso chi volesse cercare, nella bibbia, un insegnamento diretto: la bibbia non è un libro di dottrina, ma un libro di storia. Rivela l’amore di Dio, non con insegnamenti teorici; non dà la definizione dell’amore, ma offre la testimonianza di un Dio che ama, che è alla ricerca dell’uomo, che vuole entrare in un rapporto personale con lui, stringere una relazione di amicizia e di alleanza. Ma Dio non soltanto ama: è un Dio che vuole essere amato. Anzi, l’amore di Dio sembra esprimersi proprio nella forza con cui esige dall’uomo una risposta incondizionata. Egli per primo ha scelto l’uomo, ma anche l’uomo a sua volta deve sceglierlo, preferirlo a tutto, rimanergli fedele. Dunque, Dio si rivela assai diverso da come lo possiamo immaginare: il suo metro non è come il nostro, il suo stile rimane incomprensibile, l’amicizia con lui sconvolgente. Così, la nostra esperienza quotidiana sembra fatta apposta per smentire la verità di un amore che non ci libera dalle nostre difficoltà di questo suo amore: ma sembra anzi che le vada moltiplicando sul nostro cammino. Questo è il significato del sacrifìcio di Isacco, nella vita di Abramo.
Alla chiamata di Dio, Abramo risponde con fede: «Eccomi». In questa semplice parola c’è tutta la vita del patriarca. Egli è il servo di Dio, sempre pronto a obbedirgli; è 1’«amico di Dio». È depositario felice di una promessa meravigliosa: in Isacco, egli sarà padre di una moltitudine sterminata. In questo figlio, è tutto l’avvenire di Abramo e della sua discendenza. In lui, s’incarna la benedizione divina, che si estenderà nei secoli. La storia di Abramo, è tutta scandita su questo ritmo fondamentale: — Dio disse — Abramo rispose. Ma la fede di Abramo non è una risposta facile, tranquilla; è coltivata e maturata mediante la prova. È la manifestazione di una fiducia in Dio, che meraviglia, tant’è paradossale, tanto è contraria a ogni calcolo e previsione umana; si appoggia solo sulla parola di Dio, sulle sue promesse. Dio, infatti, si serve di Isacco per sottoporre Abramo alla prova più dolorosa della sua vita: gli chiede il sacrificio dell’unico figlio; senza spiegazioni, senza dilazioni. Abramo obbedisce, anche se il comando è umanamente assurdo; non discute con Dio; accetta senza condizioni. Non capisce, non sa, non riesce a collegare un passato di grande predilezione e di meravigliose promesse, con un presente che lo sconcerta. Ma si fida di Dio.
È il modello della nostra fede, e della nostra risposta all’amore di Dio. Dio vuole che firmiamo in bianco come in questa pagina della Scrittura; solo allora darà compimento alle sue promesse. Infatti possiamo pensare al vecchio Abramo, che ritorna pieno di gioia con Isacco, riavuto vivo. Ma potremmo anche pensare a Gesù, che nessun angelo ferma sul cammino verso il Calvario, e nessun ariete sostituisce nel sacrifìcio della croce. Questa prima lettura è, quindi, un invito per gli ebrei (e anche per noi) a non eludere le esigenze di Dio, per quanto possano sembrare esagerate e scandalose ai nostri occhi.
Alla luce di questi insegnamenti, potremmo tentare di interpretare anche la nostra vicenda personale. Crediamo che, col battesimo, Dio ci ha chiamati a una vita nuova, ci destina alla gloria, promettendoci la vittoria sul male e la pienezza della felicità. L’esperienza quotidiana sembra contraddire tutto ciò; anzi sembra confermare il contrario: siamo provati da sofferenze, schiavi del male, incerti del futuro. È la condizione propria di chi vive nella fede. Una fede che poggia soltanto sulla parola di Dio, in pieno contrasto con l’esperienza. S. Paolo, nel brano della liturgia di oggi, imposta il discorso proprio su questa contraddizione, fra ciò che è l’oggetto della fede, e ciò che costituisce l’esperienza quotidiana. Siamo nella difficoltà, nella sofferenza, viviamo un momento di prova?
Non dobbiamo temere: Dio non ha risparmiato il suo Figlio. Nell’evangelo, Dio ci viene in aiuto, ripetendo la promessa e dando un saggio della gloria, che costituisce la meta e il termine ultimo della promessa.
Anche se la strada che porta fin là passa attraverso il buio dell’ora sesta, la trasfigurazione è un raggio di luce che ci fa intravvedere il sole che spunterà dietro l’orizzonte.
L’amore di Dio non si limita alle parole: passa alla via dei fatti, donandoci il suo unico Figlio. Gesù ha percorso per primo la strada che porta alla gloria attraverso la Croce. Così diventa, non solo la prova suprema dell’amore di Dio per noi, ma anche la prova più convincente della verità delle sue promesse.
Colletta II
O Dio, Padre buono,
che non hai risparmiato il tuo Figlio unigenito,
ma lo hai dato per noi peccatori;
rafforzaci nell’obbedienza della fede,
perché seguiamo in tutto le sue orme
e siamo con lui trasfigurati
nella luce della tua gloria.Per Cristo Signore…
Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano