Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 24 Aprile 2022

1353

Domenica di «S. TOMMASO»

«Abbiamo visto il Signore!». In assenza di Tommaso, il Risorto è apparso ai discepoli, ha mostrato loro i segni della sua passione, ha comunicato loro la pace messianica e, in una pentecoste anticipata, lo Spirito che, attraverso le loro mani, porterà a compimento l’opera della salvezza. Ma Tommaso, un uomo tutto d’un pezzo che non ha paura di non essere edificante, si impenna: «Se non vedo, non crederò!».

L’apostolo Tommaso è un tipo onesto e franco. Dall’Evangelo traspare, a tratti, il suo carattere: non sarà facile portarlo ad accettare il rischio della fede. Lo sentiamo molto vicino a noi, col suo bisogno di cose reali e tangibili, con la sua diffidenza per l’ideologia staccata dal quotidiano. Il Signore capisce tutto questo, al punto che otto giorni dopo prende in parola Tommaso e va incontro alle sue esigenze: «Metti la mano nel mio costato, e credi…».

Quanto a noi, credenti di questo secolo, rimarremo tranquillamente nell’orbita liturgica della Pasqua, accontentandoci di ripetere: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno?». L’esperienza di Tommaso deve diventare la nostra: dobbiamo aspirare a vedere la potenza della risurrezione manifestarsi nella nostra vita personale e collettiva; dobbiamo volere che la forza del Signore guarisca le ferite dei nostri fratelli, risvegli gli oppressi, strappi alla morte uomini e donne ancora sprofondati nel peccato.

- Pubblicità -

Dobbiamo dare il nostro contributo. Perché ciò che è sorprendente nella fede, è che si possa credere all’impossibile e fare di tutto perché si realizzi. Allora, ma allora soltanto, Gesù può diventare per ciascuno di noi «mio Signore e mio Dio!».

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso 1 Pt 2,2

- Pubblicità -

Come bambini appena nati,

bramate il puro latte spirituale,

che vi faccia crescere verso la salvezza. Alleluia.

L’insistenza sull’iniziazione della Notte santa è sia per i neobattezzati sia per i fedeli veterani. L’Apostolo Pietro esorta i suoi fedeli a restare nell’innocenza battesimale, a cercare il cibo dello Spirito Santo, «il latte razionale», terminologia del Lògos, il Verbo, e quindi anche dello Spirito Santo, e a crescere senza limiti verso la salvezza. Solamente la Grazia sapienziale infatti può condurci a comprendere e vivere l’immenso Dono divino dello Spirito Santo e del Sangue prezioso del Signore Risorto.

Canto all’Evangelo Gv 20,29

Alleluia, alleluia.

Perché mi hai veduto, Tommaso, tu hai creduto;

beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!

Alleluia.

Nell’alleluia all’Evangelo il v. 29, desunto dalla pericope evangelica, pone l’accento sui discepoli futuri, la cui fede non pone la condizione di vedere e provare, come i discepoli di allora.

I Colletta

Dio di eterna misericordia,

che nella ricorrenza pasquale

ravvivi la fede del tuo popolo,

accresci in noi la grazia che ci hai dato,

perché tutti comprendiamo

l’inestimabile ricchezza del Battesimo

che ci ha purificati,

dello Spirito che ci ha rigenerati,

del Sangue che ci ha redenti.

Per il nostro Signore…

Con la Domenica di Pasqua, Risurrezione del Signore, si apre un periodo festivo che dura 50 giorni: il tempo di Pasqua. Il tempo pasquale è considerato un tempo forte dell’anno liturgico, importante come la Quaresima, che supera non solo nella durata, ma anche nel simbolismo.

Il numero 40 indica il tempo della prova, dell’attesa, mentre il numero 50 (7 x 7 = 49 + 1; dove il 7 indica la completezza, la pienezza) è l’eternità, la perfezione della meta. Il tempo di Pasqua è il tempo liturgico dedicato allo Spirito Santo.

Da questo momento, lo Spirito agisce personalmente nella vita di tutta la Chiesa e di ciascuno dei credenti e agisce in mille modi. Il tempo pasquale si presenta come il periodo simbolico per eccellenza della tappa attuale della storia della salvezza, quella che appartiene alla Chiesa e allo Spirito Santo.

La riforma liturgica ha restituito a questo tempo la dignità e continuità primitiva: «I 50 giorni che si succedono dalla Domenica di Risurrezione alla Domenica di Pentecoste si celebrano come un sol giorno di festa, anzi come “la grande Domenica”» (S. Atanasio).

Per questo le 8 domeniche (sino a Pentecoste) non si chiamano più come nel messale precedente Dom. I, II, … dopo Pasqua, bensì Domenica di Pasqua.

I testi biblici sono d’una ricchezza e d’una tale varietà, che è impossibile toccare tutti i contenuti; tracceremo perciò soltanto uno schema, rinviando il resto alla riflessione e alla sensibilità di ciascuno di noi.

La II Domenica di Pasqua è l’antica domenica detta “In deponendis albis“. per il fatto che coloro i quali erano stati battezzati nella veglia pasquale, deponevano i loro vestiti bianchi quando si concludeva la settimana della loro iniziazione sacramentale. Diventavano così fedeli a tutti gli effetti. L’Evangelo è identico nei tre anni A B e C.

Anche per l’Oriente la figura dell’apostolo riveste una grande importanza tanto da meritare componimenti raffinati sia per gusto artistico sia per tenore teologico. La liturgia delle Chiese orientali titola infatti con il nome dell’apostolo la seconda Domenica di Pasqua: Domenica dell’Antipascha o la Psêláphêsis del S. Apostolo Tommaso. La singolare importanza di questa Domenica si rileva anche dai suoi nomi. Antipáscha infatti significa che esprime in qualche modo eguaglianza e somiglianza con la Domenica della Resurrezione. In essa avvenne infatti la Psêláphêsis (= palpazione) dell’Apostolo Tommaso, in cui si afferma per sempre la fede nel “Signore e Dio” Risorto. Si dice anche “Domenica delle porte chiuse” per indicare l’irresistibile Venuta del Risorto ai suoi e da qualcuno si chiama infine “Domenica del rinnovamento”, come quella che chiude la gloriosa settimana che segue la Resurrezione.

La contiguità funzionale di questa Domenica con quella di Pasqua ha certamente un aggancio nella celebrazione solenne del “Vespro dell’agape” alla sera della Resurrezione dove l’Evangelo, ripetuto in varie lingue, narrava la venuta del Risorto ai discepoli chiusi dentro il cenacolo e il dono della Pace e dello Spirito Santo, con l’invio a portare la remissione dei peccati al mondo (Gv 20,19-23), e la dura presa di posizione di Tommaso, disposto a credere solo a condizione che il Signore venga da lui per farsi “palpare” (Psêlápháô, verbo però non usato da Giovanni), nulla contando la testimonianza dei Dieci Apostoli (Gv 20,24-25).

Il Signore per solo amore di Tommaso sottostà a queste condizioni, perché ha bisogno della fede anche dell’incredulo Tommaso, reso poi fedele e credente.

II tema dominante di questa Domenica è dunque la fede nei segni della Risurrezione. L’incredulo Tommaso dovette «vedere» per credere; i cristiani che verranno dopo credono senza aver visto, sebbene Cristo si accosti a loro con segni diversi della sua presenza gloriosa (Cf canto all’Evangelo da Gv 20,29).

La presenza del Signore non è più con segni fisici e corporali; i segni con cui il Signore si manifesta sono infatti i sacramenti: l’Eucaristia, il Battesimo, ecc.; questi sacramenti pasquali, non dimentichiamolo, sono segni della fede.

Nel gruppo delle letture la preponderanza dei libri del NT appare al primo colpo d’occhio. II libro degli Atti ha lo scopo di far vedere nei tre anni, in una maniera parallela e progressiva, le prospettive di vita e la testimonianza della Chiesa primitiva. La selezione, quindi, permette di rivedere i passi più significativi del libro, ma in modo che la tematica di ciascuna delle Domeniche sia parallela a quella della stessa Domenica degli altri due anni.

Ecco i temi che comprendono le letture degli Atti nel corso delle Domeniche:

II     Dom. di Pasqua: Sommari della vita della comunità.
III    Dom. di Pasqua: Discorsi missionari di S. Pietro.
IV   Dom. di Pasqua: Discorsi di Pietro e Paolo.
V     Dom. di Pasqua: I ministeri nella Chiesa.
VI   Dom. di Pasqua: Manifestazioni dello Spirito Santo.
VII  Dom. di Pasqua: Nell’attesa dello Spirito.

Per la seconda lettura sono stati scelti tre libri del NT.:

  1. nell’anno A si legge la prima lettera di S. Pietro, di evidente contenuto battesimale;
  2. nell’anno B si legge la prima lettera di S. Giovanni, che parla della fede e dell’amore come conseguenza del riconoscimento della manifestazione del Verbo eterno di Dio nell’uomo Gesù;
  3. nell’anno C si legge l’Apocalisse, coi suoi bellissimi temi dell’Agnello assiso sul trono e delle nozze di Cristo con la Chiesa. Libro poco usato nella liturgia e poco commentato anche dai Padri della Chiesa è il libro della storia della Chiesa, vista nella storia di salvezza universale; a torto è considerato misterioso e cabalistico.

Le letture di ogni Dom. sono in armonia fra loro intorno a determinati aspetti del mistero pasquale:

  1. Dom. di Pasqua: La fede in Gesù risuscitato.
  2. Dom. di Pasqua: Apparizioni.
  3. Dom. di Pasqua: Il Buon Pastore.
  4. Dom. di Pasqua: Annunzio della dipartita e del ritorno.
  5. Dom. di Pasqua: Promesse dello Spirito Santo.
  6. Dom. di Pasqua: Assenza che è presenza.

Questi sono i grandi temi che orientano la celebrazione delle Dom. di Pasqua; ognuna di esse suppone un passo in più e un aspetto diverso dell’unico mistero pasquale di Cristo, che risuscita, si manifesta, è pastore della Chiesa, sale al cielo, ma resta coi suoi per mezzo dello Spirito Santo promesso e inviato.

Una rapida lettura del contesto della pericope evangelica fa subito risaltare come il c. 20 ruoti attorno alle apparizioni di Gesù risorto a Maria Maddalena e a Tommaso. Mentre gli eventi che hanno come protagonista questa discepola, si verificano il mattino di Pasqua, le apparizioni ai discepoli avvengono la sera di questo giorno e una settimana dopo.

Dal punto di vista topografico rileviamo che gli eventi della prima sezione (Gv 20,1-18) si verificano presso la tomba di Gesù o hanno per oggetto questo sepolcro; invece nella seconda parte (Gv 20,19-29) ci troviamo nel cenacolo.

Il nostro brano è incentrato nella figura di Tommaso: dopo la descrizione della prima apparizione del risorto ai discepoli, è riportata la reazione negativa di questo apostolo all’annuncio strabiliante della risurrezione del Maestro.

Nel brano finale è narrata la seconda apparizione di Gesù ai discepoli, presente Tommaso, con il quale il Risorto dialoga, per proclamare beati coloro che credono senza aver visto. L’unità dell’intero capitolo è data dalla presenza di Gesù: il Risorto appare a Maria Maddalena e poi al gruppo dei discepoli. L’Evangelista, prendendo lo spunto dalle ultime espressioni del Risorto a Tommaso, conclude l’Evangelo dichiarando che lo scopo della sua opera è suscitare la fede nella messianicità e nella divinità di Gesù.

Le scene descritte in Gv 20 appaiono nella loro originalità drammatica, propria del IV° Evangelista: gli incontri di Gesù con Maria Maddalena e con Tommaso sono creazioni letterarie di un artista molto fine. Anche qui però Giovanni non inventa, ma tramanda notizie redazionali riscontrabili negli altri scritti del NT; lo scrittore sacro rielabora questi dati storici, presentandoli in modo personale.

In Gv 20 sono riportati tre fatti fondamentali:

  1. la constatazione del sepolcro vuoto da parte di Maria Maddalena e di alcuni discepoli;
  2. l’apparizione del Cristo risorto a questa donna;
  3. le apparizioni di Gesù ai discepoli.

Questo triplice elemento è tramandato anche dai sinottici.

Esaminiamo il brano

v. 19: È la sera di “quel giorno”, il primo della settimana che apre il tempo nuovo di Dio. I discepoli sono spaventati, quasi ossessionati dalla paura dei Giudei e l’Evangelista annota come le porte siano chiuse. Lc 24,36-49 è molto vicino al racconto di Giovanni.

I discepoli spaventati sono rassicurati da Gesù; non come un tempo «Sono io» (Gv 6,20), perché la sua presenza è ormai di un altro ordine, ma «Pace a voi», che non si tratta del consueto saluto ebraico (cf. Gdc 6,23; 19,20; Lc 10,5), ma è l’adempimento della promessa fatta all’ultima cena (cf. Gv 14,27). È la pace che li renderà capaci di superare lo scandalo della croce e ottenere la liberazione nella loro vita. Il saluto è ripetuto due volte.

v.20 : «Mostrò loro…»: Giovanni sottolinea con forza che il Cristo che appare e che sta in mezzo ai discepoli è un essere reale, è lo stesso Gesù appeso sulla croce, per questo mostra i segni del suo martirio. Giovanni è il solo a dare rilievo alla piaga del costato; già nella crocifissione l’aveva menzionata come densa di significato per il sangue e acqua che ne uscirono (Gv 19,34-35). Luca non parla di costato perché nel racconto della passione questo episodio non è citato.

Ma con tutto questo, fra il modo di essere del Gesù di prima e del Cristo di ora, c’è una profonda differenza: egli entra improvvisamente, a porte chiuse.

L’umanità del Cristo è stata trasfigurata radicalmente, per cui non appare più soggetta alle leggi fisiche; perciò il Risorto può penetrare in ambienti chiusi, a porte serrate, comparendo ai discepoli come d’incanto (vv. 19 e 26).

21-23: Questi versetti ci mostrano il compimento di altre due promesse:

  1. la missione;
  2. il dono dello Spirito.

Gesù manda i discepoli e non si precisa dove e a chi sono mandati. Mt 28,18 dice a «tutti i popoli»; Mc 16,15 parla di «estremità della terra».

L’indeterminazione che c’è nel testo di Giovanni è più eloquente, è di un’apertura senza confini. Il quarto Evangelo non si dilunga nel descrivere la missione, ne indica l’aspetto centrale: il perdono dei peccati. Tutto è detto in quel «come il Padre ha mandato me». È un invito a rileggere i numerosi passi dell’Evangelo in cui è descritta la missione che Gesù ha ricevuto dal Padre (3,17.34; 5;36.38; 6,57;…).

Gesù «alitò su di loro»: è solo di Giovanni; in Luca è una promessa che si verificherà a Pentecoste (At 2,1-4). Il gesto è un simbolismo conosciuto nell’antico Testamento ed esprime l’idea di una creazione rinnovata. [Gen 2,7 creazione di Adamo; vedi anche la grande visione di Ezechiele (37,9)].

Soltanto lo Spirito di Dio è capace di ricreare l’uomo e strapparlo al peccato (Ez 36,26-27; Sal 50,12-13; 1 Re 17,21). Lo Spirito è il dono del Cristo, viene dal «soffio» del Cristo Risorto; in ebraico il termine  «spirito» e «soffio» coincidono, ricordiamo Gv 19,30. La missione, il dono dello Spirito, il potere di rimettere i peccati sono dati all’intera comunità, che però si esprime attraverso coloro che detengono il ministero apostolico.

vv.24-25: Siamo davanti alla prima testimonianza ecclesiale e al suo primo insuccesso; Tommaso non crede (per conoscere la personalità di questo apostolo si legga 14,5; 11,16), di questo apostolo abbiamo l’idea di un uomo concreto che vuol vedere con i suoi occhi e toccare con le proprie mani. Il dubbio dei discepoli in Giovanni è affrontato nella cruda realtà, mentre in Mt 28,16-20 e Lc 24,34-43 è affrontato in maniera solo enunciata ed anonima.

«uno dei dodici»: Nel IV° Evangelo, come presso i sinottici, i «dodici» indicano gli apostoli. Il brano della vocazione di questi discepoli più intimi appare significativo: dal gruppo dei suoi seguaci il Maestro ne sceglie dodici per inviarli a proclamare l’Evangelo (Mc 3,13ss e par.). Anche in Giovanni troviamo una netta distinzione tra i discepoli in genere e il gruppo dei «dodici»:  il brano che descrive la defezione dei primi e l’adesione dei secondi a Gesù, è molto chiara in merito (Gv 6,66ss).

Ora, in Gv 20,24 siamo informati che Tommaso era uno dei «dodici» cioè uno dei dodici apostoli; questo è l’unico passo di Gv 20, nel quale si fa riferimento al gruppo dei «dodici»; nei restanti versetti si parla sempre dei discepoli (cf. Gv 20,18ss.25s), perciò si tratta di tutti i seguaci di Gesù presenti nel cenacolo e non dei soli apostoli, anche se i «dodici» occupano un posto di preminenza.

In base a questo dato esegetico si deve concludere che non solo i dodici apostoli, ma tutta la comunità dei discepoli ricevette il dono dello Spirito, per essere abilitata alla missione. In realtà, come abbiamo or ora costatato, lo Spirito Santo crea il nuovo popolo di Dio, formato non di soli apostoli, ma di tutti i seguaci del Cristo.

26-27: «Otto giorni dopo…»: Il rituale è lo stesso della prima apparizione, Gesù è sempre lui. Senza attendere risposte va da Tommaso e gli fa constatare la sua identità, calma le sue apprensioni e lo invita a non comportarsi da incredulo. Lo chiama ad approfondire la sua fede di prima, a rafforzarla, a farla crescere. Egli non deve limitarsi alla fede nel messia deve credere al Figlio dell’uomo glorificato nella sua morte.

28 «Mio Signore e mio Dio»: Tommaso perde ogni freno, quasi esagera nella sua professione di fede. In nessun punto del IV° Evangelo c’è una professione di fede così decisa e chiara.

Tra la prima professione del discepolo Natanaele (1,49) all’ultima di Tommaso è contenuto il viaggio di fede della comunità. S Gregorio Magno diceva:«Ci ha giovato più l’infedeltà di Tommaso che la fede dei discepoli credenti», perché questi ha vissuto il dramma di molti di noi, ha parlato per noi e per noi ha avuto la risposta.

Così anche la liturgia bizantina con i suoi tropari:

O straordinario prodigio! L’incredulità ha generato ferma fede. Tommaso infatti che aveva detto: Se non vedo, non credo; dopo aver palpato il costato, proclamava la divinità di colui che si era incarnato, il Figlio stesso di Dio. Ha fatto conoscere colui che nella carne ha patito: ha annunciato il Dio che è risorto, e a chiara voce ha gridato: O mio Signore e mio Dio, gloria a te.

O straordinario prodigio! Il fieno ha toccato il fuoco ed è rimasto indenne. Tommaso ha infatti messo la mano nel costato igneo di Gesù Cristo Dio, e non è stato bruciato da questo contatto; con ardore ha infatti mutato in bella fede l’incertezza dell’anima, e dal profondo dell’anima ha gridato: Tu sei il mio Sovrano e Dio, risorto dai morti.  Gloria a te.

O straordinario prodigio! Giovanni ha riposato sul petto del Verbo, Tommaso ha ottenuto di toccare il suo costato: e l’uno ne ha tremendamente tratto l’abisso della teologia, mentre l’altro è stato reso degno di iniziarci all’economia, perché chiaramente ci presenta le prove della sua risurrezione, esclamando: O mio Signore e mio Dio, gloria a te.

Con la sua destra indiscreta Tommaso ha esaminato, o Cristo Dio, il tuo vivificante costato: e giacché tu eri entrato a porte chiuse, insieme agli altri apostoli esclamava: Tu sei mio Signore e mio Dio (Kondakion).

28-29 «Beati…»: L’assicurazione accordata a Tommaso è in via eccezionale, la normalità riposa sul fondamento dell’ascolto. Il segno che conduce alla fede si è trasformato: non è più oggetto di visione diretta ma di testimonianza.

30-31: «Gli ultimi»: pur essendo la conclusione dell’intero Evangelo sono particolarmente collegati al racconto dell’apparizione Tommaso e alla beatitudine della fede. Noi che crediamo e celebriamo, ogni Domenica ci riuniamo e ci colleghiamo a questa testimonianza per riconoscere il corpo di Gesù.

«Facciamo tesoro di ciò che ogni giorno, ogni ora che passa ci insegna. Quello che ci sembra oscuro quando ci viene incontro, quando è passato riflette il sole di giustizia. Facciamo in modo di imparare, almeno per il futuro, ad avere fede in ciò che non vediamo. Il mondo sembra andare col suo solito passo. Non c’è niente di celeste sulla faccia della società; non c’è niente di celeste nelle notizie del giorno; sui volti della gente, o dei grandi, o dei ricchi, o degli affaristi, non c’è niente di celeste; e neppure nei discorsi di quelli che sanno parlare, nelle azioni dei potenti, nei consigli dei saggi, nelle decisioni dei superbi, nel lusso dei signori. Eppure lo Spirito di Dio, per sempre benedetto, è presente. La presenza del Figlio eterno, molto più luminosa e potente di quando, rivestito della nostra carne, abitava sulla terra, la sua presenza è con noi. Non dimentichiamo mai questa divina verità: più la mano di Dio è nascosta, più è potente; più è silenziosa, più è temibile… Il Signore era con Giuseppe, era con Davide, e nei giorni della sua carne era con gli apostoli: oggi è con noi nello Spirito. E poiché lo Spirito divino supera immensamente la carne e il sangue, il Signore risorto e glorioso è molto più potente di quando appariva sotto la figura di un servo; il Verbo eterno, che ha trasfigurato nello Spirito la propria umanità, può donarci virtù, grazia, benedizione e vita con più abbondanza di quando era nascosto sotto questa umanità, e sottoposto alla tentazione e alla sofferenza; la fede è più benedetta della visione; e noi siamo oggi più altamente privilegiati, più degni di essere chiamati re o sacerdoti di Dio e del Padre suo, dei discepoli stessi che vedevano e toccavano il Cristo». (J.-H. Newman)

II Colletta

O Padre, che nel giorno del Signore

raduni il tuo popolo

per celebrare colui che è il Primo e l’Ultimo,

il Vivente che ha sconfitto la morte,

donaci la forza del tuo Spirito,

perché, spezzati i vincoli del male,

ti rendiamo il libero servizio

della nostra obbedienza e del nostro amore,

per regnare con Cristo nella gloria.

Egli è Dio...