Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 20 Marzo 2022

626

DOMENICA «DELLA PARABOLA DEL FICO INFRUTTUOSO»

III di Quaresima C

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 24,15-16
I miei occhi sono sempre rivolti al Signore,
perché libera dal laccio i miei piedi.
Volgiti a me e abbi misericordia, Signore,
perché sono povero e solo.

Ancora l’Orante esprime la sua fede e riafferma la sua fiducia (Sal 24,15-16 SI). Egli tiene gli occhi nella perenne contemplazione del suo Signore (v. 15a; 120,1; 122,1-2; 140,8), in questo reso idoneo dal Signore stesso, che libera sempre il suo fedele dai trabocchetti nemici (v. 15b; 30,5; 123,7), e lo pone in saldo riparo. Da questo riparo il fedele adesso può innalzare l’epiclesi duplice al Signore, per essere da Lui guardato con amore, con cura, con attenzione (v. 16a; 68,17; 85,16; 118,132), e per ottenere la sua misericordia, il comportamento divino dell’alleanza (v. 16a). Infatti l’alleato minore adesso prega e confessa la sua vera condizione. Egli si trova isolato, abbandonato da tutti, è un vero povero di Dio, ossia uno che per elezione ormai può attendersi tutto solo dal suo Signore (v. 16b).

Canto all’Evangelo Mt 4,17

Gloria e lode a te, o Cristo!
Convertitevi, dice il Signore,
il regno dei cieli è vicino.
Gloria e lode a te, o Cristo!

Nella sua prima predicazione il Signore proclama a tutte le folle di ogni tempo l’imperativo a convertirsi a Dio, perché ormai con il Figlio incarnato e venuto tra gli uomini e con lo Spirito Santo è giunto tra gli uomini il Regno dei cieli, che sono le loro divine Persone (vedi qui i testi preziosi di Lc 11,20, e Mt 12,28).

Siamo ormai nel cuore del cammino penitenziale in preparazione alla Pasqua del Signore e l’invito al ravvedimento e alla conversione si fa ancora più pressante nei vari elementi che compongono la liturgia eucaristica di domani». Mentre la colletta ricapitola il senso fondamentale della conversione: «Padre santo e misericordioso… infrangi la durezza della mente e del cuore… perché portiamo frutti di vera e continua conversione», nell’acclamazione all’evangelo lo stesso motivo si trasforma in un imperativo profetico: «Fate penitenza, dice il Signore: il regno di Dio è vicino».

Dio nella sua infinita misericordia soccorre e libera chi a lui “grida” (cfr. la lett.) perché “Dio ha pietà del suo popolo” (cfr. Salmo resp.); non basta tuttavia appartenere al suo popolo, alla sua Chiesa per essere certi della salvezza (cfr. 2a lett.), occorre un ravvedimento sincero e profondo (cfr. evangelo).

La pericope di oggi fa parte del “grande inserto lucano” (9,51-19,27) dove l’evangelista si stacca dalla trama di Marco e riferisce il cammino di Gesù dalla Galilea a Gerusalemme. Non si tratta tanto d’un racconto cronografico precìso, bensì d’un “viaggio teologico” verso il “centro topografico” della Storia della salvezza per l’attuazione del progetto del Padre.

In questa sezione viene riportato un ricco materiale che per la metà circa è in comune con Matteo e per il resto è esclusivo di Luca, come ad esempio il nostro brano; il capitolo 13 ha una struttura a cipolla, il cui cuore sono le parabole del Regno (le similitudini del chicco di senape e del lievito dei vv. 18-21); anche i vv. 10-17 e 22-30, infatti, si richiamano alla salvezza che, pur essendo un dono, è insieme oggetto di fatica per ogni uomo.

Il brano evangelico inizia presentandoci due fatti di cronaca, due episodi tragici come ormai siamo soliti sentire, purtroppo, nei nostri notiziari, i quali servono come spunto per leggere la nostra storia alla luce di quella di Gesù. È chiaramente uno sviluppo del brano precedente (12,54-59), infatti nel c. 12 dopo una serie di istruzioni ai discepoli per esortarli alla vigilanza e alla fedeltà in attesa del suo ritorno (vv. 1-53), Gesù si rivolge alle folle per invitarle a riconoscere i segni dei tempi e a convertirsi in previsione del giudizio finale.

I due avvenimenti richiamano in modo esemplare il «male», ingrediente costante dell’esistenza, ciò che maggiormente scuote e costituisce una sfida per la fede del credente: la può far crollare o rafforzare, negare o cambiare di qualità.

Perché Dio permette i soprusi, le violenze, i disastri, i terremoti, le malattie…

La storia con le sue ingiustizie e la natura con la sua insensatezza sembrano dominate dal maligno (cfr. 4,6 il brano delle tentazioni) o dal caso.

Gesù dà al cristiano la chiave di lettura degli avvenimenti: essi ci svelano la perdizione dalla quale ci salva la conversione al Signore.

Escludendo una lettura manichea e semplificata, che divida i buoni dai cattivi, ci viene proposto di vedere come il male sia dentro di noi, in modo da convertirci.

È un invito ad andare alla radice, discernendo qual è il lievito che muove la nostra vita: è quello dell’avversario, che ci domina mediante la paura del bisogno e ci porta all’avere di più, o quello del Regno, che ci libera nella fiducia filiale e ci porta al dono?

Conoscere i «segni del tempo» significa vedere il male ma anche il Signore che viene a salvarci chiamandoci alla conversione. Non viene esclusa la verità di altre interpretazioni intermedie; sono però meno importanti, al di là delle apparenze. Ciò che conta è un discernimento alla luce del fine; la soluzione del male non sta in una sua analisi più corretta, ma nel cambiare il lievito: mutare il senso della vita, convertendosi al Signore»

Riassumendo, davanti al negativo della storia e della natura, il cattivo discernimento divide i buoni dai cattivi in nome della giustizia, oppure considera il male come inevitabile e fatale.

Il buon discernimento apre gli occhi e fa cambiare vita.

Il brano segue uno schema assai frequente in Luca; dopo i due fatti di cronaca, un’uccisione ed un incidente con molte vittime, con una affermazione di Gesù (vv. 1-5) segue una illustrazione per mezzo di una parabola (vv. 6-9) di come Dio vede lo spazio e il tempo dell’uomo.

Le cose sono un dono del Padre (cfr. c.12) e il tempo è l’occasione per convertirsi.

Esaminiamo il brano

1 «In quello stesso tempo»: in gr. kairos; Luca usa questa parola in connessione con la venuta del Signore (cfr. 4,13; 12,42.56). È il tempo del ministero di Gesù che l’annuncio rende contemporaneo a chiunque ascolta. Per l’uomo è il tempo delle scelte fondamentali: il tempo della conversione per la salvezza (cf Cronos e aion). Non si tratta di una coincidenza ma di una scelta precisa dell’evangelista; infatti il contesto afferma un legame tra “i segni dei tempi” illustrati prima e il fatto riportato dai sopraggiunti. Kairos non è uguale a «ora» (in lat. hora ) che indica il termine del suo cammino (cfr. v. 31: «in quel momento… Erode vuole ucciderti», ma anche 7,21; 10,21; 12,12.39.40.46).

«si presentarono alcuni…»: Gesù viene messo al corrente di un fatto sconvolgente: l’eccidio di alcuni Galilei (probabilmente si tratta di zeloti) che il procuratore romano Ponzio Pilato aveva fatto trucidare nel tempio forse in occasione di una festa di Pasqua (soltanto allora a motivo dello stragrande numero di sacrifici, era permesso agli uomini di uccidere da sé gli agnelli sacrificali, mentre i sacerdoti ne versavano il sangue sull’altare). L’orribile fatto è ignoto ad altre fonti, ma non è estraneo al comportamento aggressivo e spregiudicato del procuratore, che le fonti ebraiche accusano di durezza, crudeltà, violenza e stragi continue dì inermi. Fu appunto un eccidio di Samaritani che nel 35 d.C. decise la fine della sua carriera.

2 – «Credete che quei Galilei…»: Gesù non condanna Pilato per il sacrilegio del tempio, come molti si aspetterebbero, ma sposta l’attenzione verso le vittime. I Galilei uccisi sono colpevoli dello stesso peccato di Pilato, infatti hanno tentato il suo stesso gioco, ma poiché erano più deboli hanno perso. Il fine non giustifica i mezzi; il bene infatti va perseguito con i mezzi buoni. Gesù ha rifiutato i mezzi del nemico per realizzare il Regno (cfr. 2a tentazione nel deserto di Luca). Ancora di più la morte di quei Galilei non è una diretta conseguenza dei loro peccati personali, come riteneva l’opinione popolare di quel tempo (e un pò del nostro). Ricordiamo la domanda dei discepoli di Gesù a proposito del cieco nato (Gv 9,2). Come allora, anche nel nostro caso Gesù smentisce la mentalità corrente e, superando le intenzioni e il livello dei suoi ascoltatori, prende spunto dal fatto non per formulare un giudizio sulla condotta di Pilato o dei Galilei, ma per rivolgere un invito alla intima conversione valido per tutti.

3 – «No, vi dico»: la negazione è enfatica: certamente no; l’afférmazione “Vi dico” è anch’essa solenne, come quell’«amen» altre volte incontrato che Luca non ha qui usato.

«se non vi convertirete»: lo stesso peccato, ovvio in Pilato e smascherato nelle sue vittime, è ora trasferito anche sugli uditori. Il male, visto sul volto altrui, fa da specchio al nostro e ci chiama alla conversione. La parola conversione, tipica del tempo quaresimale, è in greco “metanoia”. Il suo significato letterale è «cambiare mente», trasformare la mentalità per cui le scelte umane si rivolgono dal male al bene, dalla menzogna alla verità. È un invito a compiere una scelta radicale per il bene e per l’Evangelo.

Il congiuntivo presente del verbo indica uno stato, una condizione di continua conversione, che si deve estendere a tutti i membri della nazione: deve diventare un’attitudine di tutto il popolo.

4-5 – «quei diciotto…»: a rincalzo, Gesù cita in proprio un altro incidente, che doveva essere di data non troppo lontana: il crollo della ”torre di Siloe” che aveva fatto diciotto vittime. Anche questo episodio è noto solo dal terzo evangelo.

«Siloe»: dall’ebraico siloah = acquedotto, era il nome dell’antico acquedotto sotterraneo, nella collina sud-est di Gerusalemme (Gv 9,7), che sì riversava nella piscina dello stesso nome. Lungo il canale, scavi moderni hanno ritrovato le fondamenta di una torre, ma non sappiamo se è quella dell’incidente menzionato da Cristo.

6-9 – La minaccia è incombente, ma non implacabile, come afferma la parabola seguente del fico sterile. Luca non riporterà la maledizione del fico sterile durante la settimana santa (cfr. Mc 11,12-14.20-25); il contesto è diverso anche nei confronti di Mt 21,18-22. Infatti, mentre per Luca la parabola è ancora un incitamento alla conversione, per Marco e Matteo invece essa indica che il destino di Gerusalemme e di Israele è già segnato. Marco e Matteo parlano di un miracolo di Gesù, Luca invece fa uso di una parabola; Marco e Matteo parlano di un fico maledetto, Luca solo di un fico sterile, oggetto di nuove cure da parte dei suoi coltivatori e quindi oggetto di indulgenza e di misericordia,

«un tale»: è il Padre.

«un fico»: è l’albero domestico della terra promessa.

Il riferimento al popolo di Israele è chiaro: l’albero del fico era già dai tempi di Os 9,10; Mic 7,1; Ger 8,13; Ab 3,17 un’immagine di Israele molto in uso. Anche l’accenno alla vigna richiama Is 5,1-7 ed è una conferma alla paziente attesa di Dio.

«vignaiolo»: è il Figlio.

«son tre anni»: è possibile riconoscere in questa espressione una allusione ai tre anni del ministero di Gesù (secondo l’evangelo di Giovanni). Essi di per sè concludono la storia, e costituiscono il tempo della sua nuova venuta per il giudizio (Lc 3,8s). Il numero tre spesso indica infatti un ciclo completo, dopo il quale non c’è nulla da sperare. Da notare che i tre anni non indicano l’età della pianta, ma il tempo in cui dovrebbe già portare frutto, dopo essere convenientemente cresciuta. «Egli è Dio e non un uomo» (Os 11,9) cfr. anche 2 Sam 24,10-16. Dio ha comportamenti diversi da quelli dell’uomo è giudice di misericordia.

«taglialo»: attivo imperativo aoristo positivo: ordina di dare inizio a un’azione nuova.
È il giudizio secondo giustizia. Gesù lo esegue secondo la sua misericordia di Figlio del Padre (Lc 6,36).

«lascialo»: attivo imperativo aoristo positivo: indica ancora il compimento di un’azione nuova, il padrone deve ritornare sulla sua decisione.

«ancora quest’anno»: è l’anno di grazia inaugurato a Nazaret (cfr. 4,18-19) che giunge fino a noi; è la durata della nostra storia. La parabola pone chiarezza su due possibili equivoci: che non è mai tardi, la pazienza di Dio non si logora con l’attesa e che c’è sempre tempo, che la pazienza di Dio è senza limiti. Dio è certamente paziente, ma noi non possiamo programmare o fissare scadenze alla sua pazienza.