Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 18 Giugno 2023

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DOMENICA «DELLA SCELTA DEI DODICI»

Secondo lo schema proprio a Matteo siamo davanti al 2° grande discorso di Gesù, il «discorso di missione», che si estende da 10,1 a 11,1. I vv. 35-38 sono dedicati alla sintesi del ministero messianico di Cristo; in specie mentre il v. 35 fa da sommario della sezione precedente (cfr. 8,1-9,35 la sezione narrativa conosciuta come dei «dieci miracoli»), il v. 36 è l’introduzione che spiega l’occasione in cui furono pronunciati i discorsi che seguiranno. I due testi, sintesi ed esplicitazione, formano tuttavia una stretta unità: quanto il Signore annunciò ed operò, i suoi discepoli dovranno portare al mondo, per ora ancora solo ad Israele, dopo anche alle genti in o spazio-tempo che non conosce più limiti.

Al racconto della sezione narrativa segue dunque una parte didattica presentata sotto la veste di un «discorso»; in questo discorso, rivolto come tutti gli altri ai «discepoli», sono raccolti vari ammaestramenti, impartiti da Gesù in diverse circostanze, concernenti la missione degli Apostoli (e dei discepoli in genere) e il destino che li attende.

Fin dall’inizio del suo ministero pubblico Gesù si è scelto degli uomini e li ha associati alla sua opera: nel chiamare i primi quattro, ne aveva precisato il compito: sarebbero stati «pescatori di uomini» (cfr. 4,19); più tardi il numero dei prescelti salì a dodici; le loro funzioni sono: essere «con lui», annunciare la buona novella e liberare gli ossessi (cfr. Mc 3,14-15). La «missione» degli Apostoli non è altro che il prolungamento della missione di cui Gesù stesso è stato investito dal Padre «Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi» (cfr. Gv 20,21).

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La missione di Gesù è sintetizzata nel suo itinerario esteso alla Galilea, per ora: l’insegnamento di sabato nelle sinagoghe; l’annuncio dell’Evangelo del Regno; i miracoli di guarigione (cfr. v. 35).

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Sal 26,7.9 (SFI)

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Ascolta, Signore, la mia voce: a te io grido.

Sei tu il mio aiuto,

non respingermi, non abbandonarmi,

Dio della mia salvezza.

All’inizio della celebrazione l’Orante chiede epicleticamente che il Signore esaudisca la sua voce di preghiera, con cui grida a Lui tutto il suo bisogno di aiuto e di grazia (v. 7a). E supplica l’«epiclesi per il Volto»! che il Signore non lo distolga (v. 8: cfr 68,18; 101,3, 142,7), poiché da esso vengono tutte le bendizioni e tutta la misericordia; mentre dal suo nascondimento viene l’abbandono della morte. L’Orante chiede infine che il Signore non si renda assente perché è adirato contro i suoi peccati, ma venga in suo aiuto, passando sopra al ben motivato disprezzo contro il peccatore. Questi sa che la sua unica salvezza sta solo nel Signore (v. 9).

Canto all’Evangelo Mc 1,15

Alleluia, alleluia.

Il regno dei cieli è vicino:

convertitevi e credete all’Evangelo.

Alleluia.

All’inizio della sua Vita pubblica, dopo il Battesimo e le tentazioni, il Signore esercita la prima carità, nella comunicazione della Parola divina di salvezza, e proclama che il tempo ormai è stato adempiuto da Dio secondo il suo Disegno, che il Regno sta qui, e il Regno seno Cristo e lo Spirito Santo (cfr Mt 12,28; Lc 11,20). L’accoglienza al Regno deve essere pertanto la conversione del cuore, primo e ultimo atto che accetta la salvezza donata, e credere all’Evangelo, il cui contenuto è il Figlio di Dio. Ogni discepolo del Signore ha davanti agli occhi della sua anima e per sempre queste quattro realtà nella loro inscindibile unità.

Esaminiamo il brano

v. 35 – «Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità»: Gesù percorre le città e i villaggi della Galilea insegnando nelle sinagoghe, annunciando la buona notizia del Regno e compiendo le opere del Regno, prendendosi cura dei malati che incontra, prepara un popolo ben disposto all’incontro col Padre.

9,36 – «sentì compassione»: in gr. Esplagchnisthe = ebbe viscere di misericordia, come allude il verbo splagchnìzotnai; splàgchna sono le viscere materne, modo figurato per indicare la divina Misericordia.

Come una madre è intimamente legata al figlio che le sue viscere hanno generato, così Dio è legato all’uomo, anzi «egli ti amerà più di tua madre» (cfr. Sir 4,10); «Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai» (cfr. Is 49,15).

Nel N.T. il verbo si trova solo nei sinottici, quasi sempre riferito a Gesù, per indicare il moto divino di pietà per i sofferenti. Usato per sottolineare una caratteristica saliente della personalità di Gesù, è interessante esaminare come Gesù reagisce al sentimento di compassione che prova. Possiamo distinguere i brani dove Gesù ha compassione delle folle e quelli dove ha compassione di un singolo: alla compassione per le folle «disperse e senza pastore», nel brano di oggi, Matteo lega la missione dei dodici, che, come quella di Gesù non si limita a predicare, ma a guarire e scacciare i demòni; in Mc 6,34 (cfr in sinossi) alla compassione per la stessa motivazione Gesù risponde «insegnando» e moltiplicando i pani e i pesci per dare loro da mangiare, quando sono sfinite; la moltiplicazione dei pani è la risposta anche di Mt 15,32; Mc 8,2; in Mt 14,14 Gesù guarisce i loro malati. Quando Gesù ha compassione per un singolo opera un miracolo di guarigione (cfr. Mt 20,34 e Mc 1,41) o di risurrezione (cfr. Lc 7,13).

Gesù è sempre attento al dolore, alla sofferenza, allo smarrimento dei singoli e delle folle con le quali viene a contatto e si prende cura concretamente di loro. Il suo non è un atteggiamento distaccato, ma partecipe: Gesù si pone così come imitatore del Dio che si è rivelato ad Israele vicino come un padre, anzi, come dice la la lett. «attento ai suoi -piccoli come la mamma aquila con i suoi aquilotti».

«pecore senza pastore»: l’immagine è ben nota nell’A.T. specialmente presso i profeti Ger 23 ed Ez 34,2-6; è un luogo comune letterario nella Bibbia per presentare la scena di gente disorganizzata e sparpagliata, come capita ad esempio dopo una disfatta militare (cfr. 1 Re 22,17 = 2 Cr 18,16: «Il profeta Michea 15Si presentò al re, che gli domandò: «Michea, dobbiamo andare in guerra contro Ramot di Gàlaad o rinunciare?». Gli rispose: «Attaccala e avrai successo; il Signore la metterà nella mano del re». 16Il re gli disse: «Quante volte ti devo scongiurare di non dirmi se non la verità nel nome del Signore?». 17Egli disse: «Vedo tutti gli Israeliti vagare sui monti come pecore che non hanno pastore. Il Signore dice: «Questi non hanno padrone; ognuno torni a casa sua in pace!»; Gdt 11,19: «5Giuditta gli rispose: 19Io ti guiderò attraverso la Giudea, finché giungerò davanti a Gerusalemme e in mezzo vi porrò il tuo seggio. Tu li condurrai via come pecore senza pastore e nemmeno un cane abbaierà davanti a te. Queste cose mi sono state dette secondo la mia preveggenza, mi sono state annunciate e ho ricevuto l’incarico di comunicarle a te». 20Le parole di lei piacquero a Oloferne e ai suoi ufficiali») o per la mancanza di vere guide (Nm 27,17: «15Mosè disse al Signore: 16«Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo 17che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore». 18Il Signore disse a Mosè: «Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo spirito; porrai la mano su di lui, 19lo farai comparire davanti al sacerdote Eleàzaro e davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini sotto i loro occhi 20e porrai su di lui una parte della tua autorità, perché tutta la comunità degli Israeliti gli obbedisca»; Zac 10,2: «1Chiedete al Signore la pioggia tardiva di primavera; è il Signore che forma i nembi, egli riversa pioggia abbondante, dona all’uomo il pane, a ognuno l’erba dei campi. 2Poiché i terafìm dicono menzogne, gli indovini vedono il falso, raccontano sogni fallaci, danno vane consolazioni: perciò vagano come un gregge, sono oppressi, perché senza pastore»). Marco pone questa immagine a preambolo della moltiplicazione dei pani (Mc 6,34).

v. 37 – «La messe è molta ma gli operai sono pochi»: è una nuova immagine che si sovrappone a quella del gregge; anch’essa è un’immagine biblica, riferita al «compimento dei tempi» (Gl 4,12-13).

Questo detto viene così a rafforzare l’idea della necessità di più guide capaci di orientare la folla e introduce al tempo stesso l’azione di Gesù volta a crearsi dei collaboratori. Luca usa questa espressione sempre nel contesto di un invio in missione, quella dei 72 discepoli (Lc 10,2) di cui l’evangelista Matteo non parla.

v. 38 – «Pregate»: in gr. è un’imperativo aoristo positivo che come tale ordina di dare inizio ad un’azione nuova. L’invito alla preghiera inoltre sottolinea che è Dio colui che solo può scegliere i suoi «operai», nessuno si può fare da sé «operaio di Dio». Davvero non c’è missione autentica che non sia preceduta dalla preghiera, dal desiderio orante della chiesa che il Signore faccia ascoltare la sua voce e nella sua piena libertà chiami uomini e donne. Pregare per le vocazioni significa dunque confessare che non è il singolo a scegliere, non è la chiesa a chiamare in base alle proprie necessità, né tanto meno sono calcoli mondani a suscitare vocazioni. No, ogni vocazione cristiana è vocazione dall’alto, dal Padre, attraverso il Figlio, nella potenza dello Spirito santo: la chiamata di Dio è più grande del discernimento di un bisogno e dell’assolvimento di un servizio, è un dono che dev’essere implorato con perseveranza, nella certezza che Dio solo conosce chi e che cosa è necessario per la sua messe!

10,1 – «dodici discepoli»: Cristo tra i molti discepoli (termine più antico per designare i seguaci immediati e più costanti di Gesù) ne sceglie dodici, simbolo delle tribù d’Israele, «il potere»: in gr. exousian è lo stesso potere di cui è investito Gesù (cfr. 28,18); potere di salvezza ricevuto dal Padre che si svolge nella Potenza dello Spirito. I discepoli eserciteranno tale potenza soprattutto dopo la resurrezione, nella loro missione definitiva e «a tutto il mondo» (cfr. Mc 16,17-18).

vv. 2-4 – «apostoli»: in gr. apostolon vuol dire messo, inviato. Denominazione più collegiale e ristretta, è una precisazione ulteriore del termine “discepolo”; mentre è d’uso comune negli scritti apostolici e nell’Evangelo di Luca, ricorre solo una volta in ciascuno dei tre Evangeli.

«primo»: l’aggettivo, che compare solo in questa lista di Matteo, sarebbe superfluo, se non avesse un significato particolare: esso allude al «primato» di cui l’evangelo di Matteo parlerà esplicitamente in 16,18-19: «18E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Pietro è il capo nominato e riconosciuto, portaparola degli altri con cui forma il collegio dei Dodici, che non sono gli Undici “sotto” di lui, ma saranno il nucleo fondante della Chiesa, la Comunità messianica.

«Pietro e Andrea…»: L’elenco presenta alcune particolarità interessanti rispetto agli altri elenchi (cfr. Mc 3,13-19; Lc 6,12-16 e At 1,13). Matteo cita i nomi a due a due, forse un’allusione al fatto che vennero mandati in coppia, come i 72 discepoli di Luca; oppure per rispetto di una tradizione del mondo giudaico che rendeva valida una testimonianza solo se attestata sulla parola di due o tre testimoni (cfr. Dt 19,15).

Taddeo è presente in Matteo e Marco, mentre è assente in Luca dove troviamo “Giuda di Giacomo” (Lc 6,16; At 1,13); si tratta probabilmente della stessa persona conosciuta con il doppio nome di Giuda Taddeo. Tutti sono chiamati per nome espressione di appartenenza ed intimo legame a colui che chiama: «Ti ho chiamato per nome, tu mi appartieni» (cfr. Is 43,1).

vv. 5-6 – «Non andate…non entrate»: (in gr. sono trad. con il cong. aoristo) le istruzioni del Signore sono di non dirigersi verso i pagani e le città dei Samaritani (considerati dai Giudei dei semipagani) ma di predicare solo al popolo d’Israele. Queste parole che si trovano solo in Matteo si possono relazionare con l’affermazione di Gesù di «non essere stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele» (cfr. 15,24). La salvezza messianica doveva essere offerta prima al popolo eletto e solo in un secondo tempo, cioè dopo la resurrezione e avvenuta la Pentecoste, verrà il turno dei pagani ed anche dei Samaritani (cfr. At 8 e Gv 4,9.39.40; Rm 1,16).

«Andate»: imperativo presente positivo che ordina di continuare un’azione già intrapresa.

«alle pecore perdute»: l’espressione non indica solo i diseredati, gli ultimi, i peccatori, ma l’intera nazione che Gesù ha visto come “pecore senza pastore “.

«della casa di Israele»: non si tratta di esclusivismo; la sottolineatura di Matteo mette in luce la primogenitura di Israele, che fa parte del misterioso piano di Dio. Esiste un rapporto specialissimo fra Israele e Dio, che si distingue da quello che Dio ha con gli altri popoli; nella I lett. Dio con un messaggio solenne ed impegnativo per Israele, per ben due volte dice «per me» (cfr. Es 19,5-6). Israele è proprietà particolare e personale di Dio che si è chinato su un popolo schiavo e lo ha liberato, stabilendo con lui una relazione unica. Perché proprio Israele è una domanda che anche la Bibbia si pone e alla quale l’unica risposta possibile è: per gratuito amore di Dio, la cui profondità è insondabile (cfr. Dt 10,14-15: «14Ecco, al Signore, tuo Dio, appartengono i cieli, i cieli dei cieli, la terra e quanto essa contiene. 15Ma il Signore predilesse soltanto i tuoi padri, li amò e, dopo di loro, ha scelto fra tutti i popoli la loro discendenza, cioè voi, come avviene oggi» e Dt 7,7-8: «7Il Signore si è legato a voi e vi ha scelti, non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli – siete infatti il più piccolo di tutti i popoli -, 8ma perché il Signore vi ama e perché ha voluto mantenere il giuramento fatto ai vostri padri: il Signore vi ha fatti uscire con mano potente e vi ha riscattati liberandovi dalla condizione servile, dalla mano del faraone, re d’Egitto»).

Gli evangelisti Marco e Luca, che scrivono per i gentili, omettono, per ovvie ragioni, questa proibizione.

Nei pochi vv. del salmo 99 che la liturgia propone come salmo responsoriale , un inno di lode a Dio, al quale Israele, con animo riconoscente, fa risalire la sua particolare appartenenza, troviamo un’espressione del salmista che dice: «egli ci ha fatti e noi siamo suoi» che precede la specificazione «suo popolo e gregge del suo pascolo» (cfr. Sal 99,3), che allarga la visuale a tutta l’umanità, creata da Dio. La scelta di Dio è tuttavia esigente e deve essere accettata per amore; non tutti indistintamente ma solo quanti accettano e custodiscono la sua alleanza saranno “suo popolo” (cfr. I lett. v. 5: «Ora, se darete ascolto alla mia voce e custodirete la mia alleanza, voi sarete per me una proprietà particolare tra tutti i popoli»).

La predilezione di Dio non è quindi nel senso di una superiorità rispetto agli altri, ma come un “segno” per gli altri; “scelti e inviati” per testimoniarlo davanti a tutte le genti.

Così infatti ci chiama a pregare la nuova colletta:

O Padre,

che hai fatto di noi

un popolo profetico e sacerdotale,

chiamato ad essere segno visibile

della nuova realtà del tuo regno,

donaci di vivere in piena comunione con te

nel sacrificio di lode

e nel servizio dei fratelli,

per diventare missionari e testimoni dell’evangelo .

Per il nostro Signore…

v. 7 – «predicate»: att. imperativo presente che ordina di continuare un’azione già iniziata.

«E’ vicino…»: il tema dell’annuncio è quello stesso di Gesù (cfr. 4,17) come già del Battista (cfr. 3,2).

v. 8- «Risanate; risuscitate; guarite scacciate»: sono tutti ancora degli imperativi presenti attivi che ordinano di continuare delle azioni già intraprese. I miracoli qui enumerati sono i segni distintivi del tempo messianico, come Gesù, citando Is 35,5, dichiarerà esplicitamente in 11,5: «5i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato l’evangelo».

«gratuitamente date»: qui l’imperativo è un aoristo attivo che ordina di iniziare un’azione nuova.

La vocazione, la scelta è dunque dono divino, gratuito e mai meritabile; ma l’azione, la disponibilità a cui siamo chiamati,deve essere anche nuova, soprattutto nella mentalità. Il lavoro di missione non può essere avvilito in nessun modo, ad es. considerandolo alla stregua di un lavoro da retribuire.

Il discepolo sa di avere gratuitamente ed abbondantemente ricevuto, perciò deve mettere con generosità e gratuità a disposizione degli altri quanto ha ricevuto. Qui siamo tutti chiamati, nei diversi livelli di responsabilità, a verificare se la nostra risposta è sempre stata obbedienza generosa e gratuita.

Colletta:

Dio, fortezza di chi spera in te,

ascolta benigno le nostre invocazioni,

e poiché nella nostra debolezza

nulla possiamo senza il tuo aiuto,

soccorrici con la tua grazia,

perché fedeli ai tuoi comandamenti

possiamo piacerti nelle intenzioni

e nelle opere.

Per il nostro Signore…

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano