DOMENICA «DEL DISCORSO DELLA PIANURA»
VI del Tempo per l’Anno C
«Siate felici…». La nostra società dei consumi pretende di assicurare la felicità, ma è facile rendersi conto che non ne è capace. Eppure il nostro cuore si lascia irretire dalle cose, come un gatto che gioca con un gomitolo di lana e finisce per trovarsi preso in un groviglio che non riesce più a districare. Ben diversa è la prospettiva delle beatitudini. Ai poveri, agli affamati, a quelli che piangono, ai perseguitati, Gesù dice: «Beati voi! E non lasciatevi scoraggiare!». Ai ricchi, ai potenti, ai furbi, a quelli che sono sazi, Gesù invece dichiara: «Fate attenzione a voi stessi state sbagliando tutto!».
Dio ha deciso di salvare gratuitamente i poveri, ma la grazia contrariamente a quanto si pensa, non è gratuita: ciascuno deve fin d’ora pagarne il prezzo. Quanto alla felicità, potremmo dire che è come un ospite: bisogna accoglierla bene, altrimenti non torna più. La felicità esiste. Fin da oggi ci attende la beatitudine del regno, presente e futura nello stesso tempo, che già raggiunge gli uomini nella persona di Gesù Cristo, il povero, il perseguitato per eccellenza, che ha sposato, con la povertà, la causa di tutti gli infelici del mondo.
La Chiesa non può stare dalla parte dei potenti. Oggi più di quanto non sia mai avvenuto nel corso della sua storia, essa accoglie uomini di tutti i continenti, folle immense di poveri del terzo e del quarto mondo. Sazio e indifferente, il mondo occidentale continuerà a sprofondare nella sonnolenza della digestione? Tocca alla Chiesa risvegliarlo, invitandolo ad offrirsi a Dio, che riscriverà su di esso, in lettere di fuoco, il suo evangelo, e chiamandolo a lasciarsi penetrare dallo spirito delle beatitudini, a comprendere che la povertà ha preso il posto, quaggiù, del paradiso perduto. Altrimenti al giudizio della storia si aggiungerà, più tardi, anche il giudizio di Dio.
Dall’eucologia:
Antifona d’Ingresso Sal 30,3-4
Sii per me difesa, o Dio, rocca e fortezza che mi salva,
perché tu sei mio baluardo e mio rifugio;
guidami per amore del tuo nome.
Nel Signore l’Orante trova l’Aiuto, la Fortezza inespugnabile, la sua sola salvezza (v. 3b). Solo il Signore è invocato quale Forza e Rifugio (Is 25,4; Ger 16,19), in virtù dell’alleanza fedele. Così il Signore per amore del Nome suo (Sal 22,3) è il sicuro e stabile Condottiero dell’Orante e di noi oggi che lo invochiamo, l’unico da cui l’umanità trae la sussistenza vitale, il cibo (v. 4).
Canto all’Evangelo Cf Mt 11,28
Alleluia, alleluia.
Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi
e io vi ristorerò, dice il Signore.
Oppure: Lc 6,23
Rallegratevi ed esultate, dice il Signore,
perché la vostra ricompensa é grande nei cieli.
Alleluia.
Le due proposte richiamano il ristoro e la gioia della ricompensa abbondante, già predisposte, per coloro che a causa delle persecuzioni sofferte, provocate dagli uomini empi in odio ai discepoli del Signore sono oppressi e stanchi.
Se le letture di Domenica scorsa, fra le altre cose, ci hanno fatto riflettere sulla nostra condizione umana, giungendo alla conclusione che siamo povere creature dalle labbra impure e dalle mani fragili, i brani odierni ci rivelano il duplice atteggiamento dell’uomo di fronte a tale constatazione. C’è chi, riconoscendo la propria limitatezza, si affida con fiducia all’onnipotenza di Dio; altri, al contrario, cercano la propria sicurezza confidando nelle loro doti naturali e nei beni che possiedono, con la convinzione di potersi affermare e di costruirsi un futuro di benessere e di felicità. In sintesi abbiamo orientamenti che possiamo definire verticali o soltanto orizzontali.
Se la libertà di scelta dell’uomo rimane sacra ed inviolabile, tuttavia, a dispetto della “par condicio” di cui si fa spesso un gran parlare, la liturgia, sin dalle prime battute, indica le sue preferenze.
L’Antifona d’ingresso esprime la fiducia che il credente ripone in Dio, che considera sua difesa, rocca, fortezza, baluardo, rifugio. La Colletta traduce in preghiera l’anelito dell’uomo pio, che confida nel Signore: «O Dio, che respingi i superbi e doni la tua grazia agli umili, ascolta il grido dei poveri e degli oppressi…».
La prima lettura contrappone l’uomo superbo e indipendente a quello umile e pio. Il primo è dichiarato «maledetto» perché «pone nella carne il suo sostegno»; il secondo viene proclamato benedetto perché «confida nel Signore». La sorte del primo è lo squallore della morte, quella del secondo è la pienezza di vita nella prosperità e fecondità. Il salmo responsoriale canta le beatitudini dell’uomo che pone i suoi desideri e le sue decisioni nella Legge del Signore, che «medita giorno e notte». La composizione del salmo mostra evidenti connessioni con altri testi biblici, tuttavia occorre ricordare che questa riflessione sapienziale, posta all’inizio del salterio è come un atrio prezioso che introduce nel castello incantato, nelle sue splendide sale, i singoli Salmi e quindi nell’aula regale, il Sal 150. Infatti «Beato l‘uomo» è la prima parola (1,1) e l’ultima è «lodate il Signore!» (150,1, ed in tutti i 6 versetti); dall’uomo beato al Signore laudabile molto.
L’Evangelo riporta il brano lucano delle beatitudini, che sostanzialmente ripropone il tema delle «due vie». La seconda lettura come di consueto ha un percorso autonomo. In queste Domeniche, la liturgia ci propone il c. 15 della la Lett. ai Corinzi, che ha per oggetto una verità essenziale per la fede cristiana, la resurrezione dei morti come conseguenza logica dell’evento pasquale, cioè della resurrezione di Cristo. Un aggancio possibile con le altre due letture è che la «speranza in Cristo» giustifica il nostro impegno quotidiano per vivere le esigenze dell’Evangelo. La vittoria di Gesù sulla morte è garanzia anche per la nostra felicità nella vita eterna, altrimenti, come dice l’apostolo, saremmo «da compiangere più di tutti gli uomini». Il discorso contenuto nella pericope, che in Luca prende nome «della pianura» è considerato la Magna Charta del Regno.
Il messaggio delle beatitudini è un appello sintetico e radicale rivolto a coloro che hanno già fatto la prima scelta per Gesù e per il Regno e che ora devono impostare la loro esistenza di creature nuove (Cfr Lc 6,20). All’origine di questo proclama si deve supporre storicamente una collezione di detti di Gesù pronunciati in circostanze diverse e successivamente antologizzate dalla predicazione cristiana. Questa raccolta ha avuto perciò una finalità non tanto cronologico-biografica quanto piuttosto missionario-pastorale» Le beatitudini si leggono, com’è noto, soltanto nel primo (Mt 5,2-12) e nel terzo evangelo, in due redazioni sensibilmente diverse.
Dall’esame del contesto notiamo la cura di Luca nel presentare il Signore che si ritira a pregare tutta la notte, poi chiama i discepoli, ne «sceglie» tra loro Dodici, che chiama «apostoli» (6,12-15). La comparazione con il grande parallelo matteano, che è il «discorso della montagna» (Mt 5,1-7,29) mostra che l’evangelista Luca pur mantenendo tutto il materiale matteano, lo concentra in una sintesi molto densa. È lecito pensare che egli orienti le parole di Cristo verso la situazione della Chiesa dei tempi apostolici, conformemente al principio enunciato dal Concilio Vaticano II (Cfr. DV 19).
La pericope odierna è la parte iniziale di tutto il discorso. Il confronto sinottico ci permette di evidenziare alcune caratteristiche principali:
- le beatitudini di Luca colpiscono per la loro brevità, quattro rispetto alle nove di Matteo, compensate però da quattro «guai» paralleli assenti in Matteo;
- Luca costruisce sia le beatitudini che le minacce con la seconda persona plurale: «Beati voi..», mentre inMatteo le beatitudini hanno la forma di dichiarazioni generali, fatta eccezione per l’ultima;
- le beatitudini degli affamati e dei piangenti, con le relative minacce, sono annunciate con una specificazione temporale: «ora»;
- mentre Matteo tende a spiritualizzare alcune beatitudini («poveri in spirito» e «fame e sete di giustizia»), le espressioni di Luca sono più realistiche.
Questi motivi ci spingono a concludere che forse il terzo evangelista ha conservato il tenore originario delle beatitudini-maledizioni pronunciate da Gesù. Mentre in Matteo le beatitudini hanno il sapore di una catechesi che vuole descrivere le condizioni etiche per entrare nel regno dei cieli, in Luca si considera piuttosto la situazione del mondo nel quale la Chiesa si trova a vivere: il punto di vista sociale in Luca è in primo piano (beati voi poveri, che avete fame, che piangete…).
Ogni affermazione di Gesù comprende:
- la proclamazione della beatitudine (maledizione);
- la categoria delle persone proclamate beate (o maledette);
- la motivazione della beatitudine promessa (o della maledizione minacciata).
Esaminiamo il brano
17 – «Disceso…»: in un piccolo quadro riassuntivo Luca prepara lo scenario per il solenne discorso di Gesù: egli discende dal monte, dove ha scelto e costituito i dodici, per incontrare la folla dei discepoli e la massa della gente.
«luogo pianeggiante»: luogo campestre, alcune traduzioni portano “si fermò su un pianoro”, per alcuni commentatori si tratta quindi di uno spazio pianeggiante, fra le colline, non dunque di una pianura vera e propria (!).
Qui Luca sembra eliminare la situazione di Mc 3,7.9 (presso il lago di Genezaret), presupponendo invece quella di Matteo, che parla del monte (Cfr. Lc 6,12). Gli esegeti tuttavia, senza impegnarsi in acrobazie topografiche, considerano l’indicazione di Luca un ritocco secondario, ispirato non da preoccupazioni di esattezza, ma intonato all’assembramento della folla e dei malati che si accalca intorno a Gesù (6,18-19) per il quale le balze di una collina sembrano meno confacenti.
«folla di suoi discepoli»: letteralmente «un popolo numeroso di discepoli». Discepolo è il più antico termine per indicare i seguaci immediati e costanti di Gesù: la denominazione «i Dodici», più collegiale e ristretta, ne è una precisazione ulteriore. Luca sembra voler insistere nella distinzione tra i dodici apostoli e i discepoli di Gesù, i quali sono a loro volta distinti dalla folla. È un modo di parlare che anticipa la descrizione della Chiesa degli Atti.
«moltitudine di gente»: sono venuti da Gesù non solo da ogni angolo della Palestina ma anche dalla vicina Fenicia.
20 – «Alzati gli occhi»: la frase iniziale “alzare gli occhi verso qualcuno ” nel linguaggio biblico significa richiamare l’attenzione del lettore su quanto sta per essere detto o descritto.
«verso i suoi discepoli»: i discepoli che stanno davanti a lui come in anfiteatro sono i primi destinatari della sua Parola. Quanto sta per dire fonda per sempre la sussistenza e il destino della Comunità che è venuto a radunare.
«Beati»: la “beatitudine ” è un genere letterario caratteristico della Bibbia, usato dai profeti e dai sapienti, per dare un annuncio di gioia che riguarda il presente o una promessa rivolta al futuro. Nell’Evangelo, oltre al discorso del monte, si trova almeno una trentina di brevi sentenze, in cui i discepoli o i credenti vengono dichiarati beati per il loro incontro con la salvezza di Dio apparsa in Gesù (Cfr. 10,23-24; 11,27-28). Non si tratta dunque di un augurio astratto o di un desiderio religioso, ma di una dichiarazione solenne, fatta con l’autorità e la forza di Dio che agisce nella storia per attuare la sua giustizia.
«voi»: le beatitudini di Luca valgono direttamente per coloro che conoscono Gesù e che si vogliono dire con verità suoi discepoli.
«poveri»: la prima beatitudine, come anche in Matteo, riguarda i poveri del Signore, gli anawim della Bibbia, quelli che sono privi di sicurezza materiale e sociale che già nei salmi sono considerati i prediletti da Dio (Cfr, Sal 72,2-4.12-14; 107,41; 113,7-8; ecc.,) e dai profeti i veri destinatari dell’intervento salvifico (Is 49,9.13; 61,lss; ecc.).
«perché vostro è il regno di Dio»: ecco ora la motivazione: ciò che Dio ha promesso per mezzo dei profeti oggi, qui ed ora, lo realizza per i poveri (deboli, sfruttati, oppressi, ecc.), contro i ricchi.
Questo è il modo con il quale Dio intende stabilire il suo regno e manifestare il suo potere regale. Gesù, proclamando beati i poveri, non intende dire che i poveri sono moralmente migliori degli altri; la sua affermazione si basa infatti su un presupposto teologico e non su una mera valutazione morale,
La ragione del privilegio evangelico dei poveri deve essere cercata non nelle disposizioni spirituali che essi possono avere, ma nelle disposizioni di Dio e nel modo con cui egli intende esercitare le sue prerogative regali, i poveri proclamati beati da Gesù, sono innanzitutto delle persone realmente miserabili e disprezzate; sono proclamati beati non come tali bensì in quanto sono, a motivo della loro condizione, l’oggetto privilegiato della benevolenza divina, coloro ai quali è indirizzato in primo luogo la buona notizia della salvezza.
21 – «fame»: si tratta di fame vera e propria e non solo di giustizia come in Mt 5,6,
«piangete»: Luca indirizza questa beatitudine non agli “afflitti” ma a “coloro che piangono”; del resto anche in Mt 5,4 ci si deve richiamare a tale senso concreto. La parola greca e più ancora quella ebraica, descrivono un dolore in quanto si manifesta. L’afflizione di cui si tratta non è soltanto un’intesa tristezza, ma lo è talmente che esplode al di fuori; i penthountes sono simili a persone appena colpite crudelmente nei loro affetti e che piangono un morto. Dio stesso asciugherà per sempre le lacrime dai loro occhi (Ap 7,17; 21,4)
22 – «vi odieranno…»: è lo stesso avvertimento dell’ultima cena (Gv 15,20).
23 – «Rallegratevi… esultate»: sono due imperativi aoristo positivi che come sappiamo ordinano di dare inizio a un’azione nuova. È infatti l’inizio di una gioia nuova, speciale, mai provata prima. In quell’esultare non c’è solo una gioia interiore, ma una gioia che fa sussultare anche all’esterno (Cfr. 1,41.44).
24-26 – «Guai»: alla quadruplice beatitudine diretta («voi») subentrano quattro «guai!», questi ultimi ignorati da Matteo. Gesù ricalca il modello letterario ben noto anche all’antica profezia (Cfr. la lett); Isaia nel c. 5 raccoglie ben sei «Guai!» di straordinaria veemenza e intensità. Nel contesto dell’opera lucana non sono da considerare come condanne irrevocabili ma come lamenti o meglio degli inviti forti e drammatici alla conversione (Cfr. 13,34s; 21,20-24;
23,28-31; ecc.). Da ricordare che secondo uno schema veterotestamentario dell’alleanza, ogni volta che si stipula o si rinnova l’alleanza traJ HYVH e il suo popolo, gli impegni vengono sanciti con una serie di beatitudini-promesse e di maledizioni-minacce (Cfr. Dt 11,13ss.26ss; 28,1ss).
«avete già»: lett. conseguito, separato; nel senso che avete riscosso il credito e perciò non potete pretendere più niente. Il tempo presente usato esprime il tempo della realtà e descrive un’azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.
26 – «Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti»: Luca in genere quanto alla carità, alla giustizia, ai doveri verso il prossimo, alla sequela fedele del Signore, in un certo senso è più radicale di Matteo e di Marco. Riporta detti del Signore che non lasciano spazio ai compromessi umani. Le sue comunità venute dal paganesimo avevano necessità di questa scossa salutare, come noi oggi, figli dei vecchi pagani e sempre in pericolo di paganizzarci di nuovo. La predicazione del Signore deve essere presentata nella sua autenticità e durezza evangelica. Non va edulcorata, come si fa da tanto tempo; ma neppure va usata per l’insulsa e inconcludente lotta di classe, come per omologazione alle culture correnti e per demagogia si usa spesso. Poiché essa investe anzitutto il predicatore. E Gesù il Predicatore divino ne ha vissuto tutte le conseguenze.
II Colletta
O Dio, che respingi i superbi
e doni la tua grazia agli umili,
ascolta il grido dei poveri e degli oppressi
che si leva a te da ogni parte della terra:
spezza il giogo della violenza e dell’egoismo
che ci rende estranei gli uni agli altri,
e fa’ che accogliendoci a vicenda come fratelli
diventiamo segno dell’umanità rinnovata nel tuo amore.
Per il nostro Signore Gesù Cristo…