Commento al Vangelo del 18 maggio 2014 – Congregazione per il Clero

cpc

V DOMENICA DEL TEMPO DI PASQUA

A cosa pensiamo quando sentiamo la parola “Chiesa”? Ad un’istituzione, che guardiamo – speriamo – con simpatia, ma dall’esterno? Ad un edificio, che magari ci è caro per tante ragioni? Ma quanto volte invece ci capita di pensare a noi in relazione alla Chiesa, a noi battezzati come parti integranti e membra di essa? E «quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale», ci ha appena ricordato la seconda lettura.

La comunità cristiana, prima di ogni forma di organizzazione istituzionale, seppure utile, è un insieme di persone concrete, radunate da Cristo e che di Cristo fanno memoria, nell’ascolto della Sua parola e nella celebrazione dell’Eucarestia. Per questo è bello pensare alla parrocchia come ad una vera scuola di vita, o meglio, di amore alla vita. Così la desideriamo, così proviamo a raccontarla seguendo la liturgia odierna, attraverso tre parole: vocazione, famiglia, carità.

La parrocchia è una comunità di chiamati, non ci scegliamo, non siamo uniti da interessi o propositi comuni, come un “club” qualsiasi; oggi come sempre è accaduto, siamo insieme perché Gesù ci ha riuniti, per stare con Lui e, nello stesso tempo, per stare tra noi. La comunità cristiana è quindi il luogo della vocazione, quella fondamentale, che ci viene donata – spesso – quando nemmeno ce ne rendiamo conto, nel battesimo, ma anche quella cui rispondiamo coscientemente, da adulti. È nel rapporto con Gesù, ed attraverso la preghiera e l’esempio degli altri membri della comunità, che siamo aiutati a scoprire e a seguire generosamente la nostra vocazione, in modo che essa possa divenire un dono per tutti.

Da questo “sì” detto al Signore nascono le nuove famiglie, che vengono accolte in quella famiglia più grande che è la parrocchia. Infatti, la stessa comunità che ha aiutato la famiglia a formarsi, la sostiene poi con l’amorevole abbraccio di tutti i suoi membri. Se la società oggi facilmente produce «una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (EG, n. 2), come ha ricordato Papa Francesco, la parrocchia permette di costruire “gioia comunitaria”, fatta del sentirci partecipi e responsabili gli uni della vita degli altri. Come in una famiglia, facciamo esperienza della bellezza del sostenerci, dell’aiutarci ed anche del fare festa insieme, uniti come siamo da quel Gesù che è ben più forte e fedele di ogni mutevolezza di umore e situazioni.

Non vivendo soli, ma camminando insieme ad altri, che sono partiti prima di noi, ci è facile vedere le fatiche e, soprattutto, la bellezza che la vita riserva. L’appartenenza ad una comunità parrocchiale concreta, in qualunque forma si realizzi, è un prezioso strumento, con il quale il Signore ci chiama ad uscire da noi stessi, dai nostri “orticelli” egoisticamente coltivati, per vivere in mezzo agli altri con amore e generosità e per portare agli altri i frutti dei doni che Dio ci ha dato. Così, con gioia, una comunità fa festa per ogni suo membro che scopre la vocazione a formare una nuova famiglia nel matrimonio, o a seguire il Signore in maniera speciale, nel sacerdozio o nella vita consacrata, o a spendersi per qualcosa, dando forma al Vangelo con la propria vita.

[ads2]

Alla fine, tutto si riassume nell’amore di Dio, nella carità. Pensiamo alla prima lettura; persone diverse, anche per nazionalità e cultura, attraverso Gesù, costituiscono una comunità, non ideale, ma concreta, nella quale si presta attenzione ai bisogni di ogni giorno. È una comunione di vita, che porta coloro che hanno di più ad accorgersi ed a farsi carico dei bisogni dei più deboli, le vedove, in quel particolare contesto storico. Si tratta di un buon esempio di chiamata di Dio e risposta dell’uomo, attraverso il linguaggio comune dell’amore. Nei bisogni dei più deboli Dio si fa presente, su di essi richiama l’attenzione di coloro che credono in Lui. Chi vede, sente di essere chiamato e nel nome di Dio si attiva, per un’«assistenza quotidiana». Di fronte ai bisogni della comunità non tutti fanno le stesse cose, ma nell’esercizio della carità si differenziano le vocazioni, secondo i carismi propri di ognuno; non si tratta di mettere in antitesi “servizio alle mense”, da una parte, e preghiera e predicazione, dall’altra, ma di articolarli in un giusto rapporto e di considerarli come parti inseparabili dell’unica comunità dei credenti.

È bella questa immagine della Chiesa e della parrocchia, intesa come comunità operosa nell’amore, che cerca il bene dei suoi membri, soprattutto dei più deboli, all’interno, e testimonia all’esterno un modo nuovo di vivere, possibile e veramente umano, perché appreso da Cristo, tramite la preghiera personale e l’incontro con Lui, nella celebrazione comunitaria dell’Eucaristia.

Oggi, possiamo ripensare alla comunità in cui siamo cresciuti e nella quale abbiamo ricevuto il dono della fede, pensiamo anche a tutte quelle persone, quelle “pietre vive”, che hanno sostenuto il nostro cammino verso il Signore, con l’esempio, l’affetto e la preghiera. E per loro eleviamo la nostra preghiera di ringraziamento a Dio, augurando che chiunque incontra o appartiene a questa comunità possa fare in essa una reale e gioiosa esperienza di Cristo.

[box type=”download” ]

Scarica il file PDF

[/box]

Read more

Local News